domenica 3 maggio 2020

Salvador Dalì, incontro ermeneutico con i suoi quadri

                                                                                                      Gif animato di Sara Menchini (V SA)

L'incontro ermeneutico, secondo quanto ci dice Gadamer, è un incontro che produce verità a patto che l'opera sia rispettata per quello che è e per quello che la tradizione impone e che colui che la osserva non annulli se stesso ma si lasci coinvolgere dall'opera, portandovi dentro le sue conoscenze, i suoi pre-giudizi e pre-comprensioni. Così abbiamo pensato di realizzare una serie di incontri ermeneutici tra studenti del Liceo "A. Vallisneri" di Lucca e le opere di Dalì alla luce delle conoscenze che gli studenti hanno acquisito sulla psicanalisi. Ne è venuto fuori questo percorso in cui 50 opere di Dalì sono state interpretate da altrettanti studenti nell'aprile del 2020.


Galatea e le sfere (1952)



Il quadro è una pittura ad olio che Dalì ha realizzato in omaggio a Gala, sua moglie e musa, che era solito chiamare con diversi soprannomi, tra cui anche Galatea, ispirandosi alla musa.
Il volto di Gala, seppur riconoscibile, è rappresentato in chiave astratta: vi è infatti una esplosione di sfere che dal volto si proiettano verso l’esterno, creando una sensazione di profondità. Nel suo complesso l’immagine rimanda alla bellezza e all’armonia delle forme tipicamente rinascimentale ma – al contempo – le sfere fluttuanti rappresentano visivamente e richiamano la trasformazione della struttura molecolare del DNA. E’ un chiaro richiamo all’interesse di Dalì per la teoria dell’atomo e della disgregazione della materia. Tematica questa, ispirata alla fisica nucleare, che divenne ricorrente nella produzione artistica di Dalì a partire dal 1945, anno dello scoppio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
L’opera si colloca infatti in quella fase artistica che Dalì stesso definì del “Misticismo nucleare” in cui – fortemente preso dall’ammirazione per Einstein – espresse un forte entusiasmo per la fisica, per la biodinamica e per la struttura del DNA. A cui si accompagnava anche un grande interesse per la matematica, tanto che la sua mente scientifica e geometrica è stata spesso paragonata a quella di Leonardo da Vinci, per la sua ampia conoscenza in ambiti disparati.
Siamo di fronte dunque ad un linguaggio artistico molto complesso ed elitario, la cui comprensione – ricca di citazioni colte e di simboli – non è quasi mai semplice. Nelle sue opere molti sono i richiami ad altre discipline, come la psicanalisi e la filosofia.
·         Dalì e Freud
Quel volto di Galatea che si frantuma in tante sfere, perdendo la sua unità plastica e la sua bellezza, richiama l’idea che Dalì ha di Freud (di cui fu un grande ammiratore e che alla fine riuscì anche a conoscere personalmente), ovvero che Freud ha scoperto nel corpo umano tanti cassetti segreti che solo la psicanalisi può comprendere.
La critica sostiene che Dalì è stato il primo artista a trasferire sulla tela i contenuti inconsci della mente, le paranoie, i deliri, le pulsioni dell’uomo contemporaneo, trasformando tutto ciò in immagini iperrealistiche e allucinate. Dalì infatti sosteneva che l’inconscio esercita una grande influenza sull’uomo e sugli oggetti del mondo reale. Adotta una tecnica dal lui definita “metodo paranoico-critico”, sintetizzato in una sorta di formula matematica secondo cui paranoico=molle e critico=duro, il che – dal punto di vista della psicanalisi – significa mettere in rapporto i due elementi, attribuendo consistenza plastica agli elementi che hanno un significato temporale ed invece consistenza rigida a quelli con significato spaziale.
·         Dalì e Gadamer
Dalì era solito ripetere infatti che spesso neppure lui riusciva a comprendere le sue opere, ma che comunque ci sarebbe stato sempre qualcuno che le avrebbe interpretate, vissute e arricchite. Riprende così i concetti chiave dell’ermeneutica di Gadamer, filosofo che, dal canto suo, ha sempre rifiutato una visione puramente passiva e meramente contemplativa dell’arte, sostenendo invece che l’estetica deve risolversi nell’ermeneutica.
L’ermeneutica (= interpretazione) per il filosofo tedesco è l’unico vero mezzo di comprensione: vivere è interpretare. L’arte è rappresentazione e l’opera esiste nella misura in cui si relaziona con lo spettatore.  L’ermeneutica non solo comprende l’opera ma la arricchisce di quei valori, di quelle problematiche che magari il pittore non ha nemmeno pensato, ma che invece vengono valorizzate dai diversi “interpreti-fruitori” dell’opera. Così la conoscenza ermeneutica si trasforma in una sorta di dialogo platonico in cui gli interlocutori sono l’opera d’arte e l’interprete. Si crea cioè un “circolo ermeneutico” nel quale l’interprete comprende l’opera avvalendosi dei suoi pregiudizi (da intendersi non nella comune accezione negativa), ma come substrato ontologico di ognuno di noi (“la storia degli affetti”).
Da questo incontro con l’opera i pregiudizi si modificano, e da ciò ne deriva non solo un arricchimento dell’opera di nuovi contenuti, di nuovi significati originariamente non attribuiti dal pittore, ma anche una fusione tra presente e passato nell’interprete. Per questo Gadamer dice che il sapere ermeneutico è sempre potenziale e infinito e ciò rende l’opera immortale.

Francesca Palagi, classe V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020


Giraffe in fiamme (1937)


Uno dei quadri più famosi di Salvador Dalì è “Giraffe in fiamme" dipinto nel 1937.  Appartenente alla corrente surrealista, il dipinto faceva parte di quel periodo della pittura di Dalì definito come paranoico-critico. In questo dipinto, possiamo vedere in secondo piano una giraffa in fiamme e in primo piano due donne di colore blu: sono senza volto, le loro teste sembrano delle masse informi e si reggono sulla schiena e sulle gambe grazie a delle sottospecie di stampelle. La donna al centro ha una particolarità: dei cassetti percorrono quasi tutta la sua figura. Con questo ultimo dettaglio è chiaro l'avvicinamento dell'artista alla teoria sulla psicanalisi di Freud: i cassetti si riferiscono all'inconscio dell'uomo, a tutti quegli istinti, pulsioni e pensieri che la coscienza ha nascosto, censurato all'essere umano. L'inconscio è come dei cassetti in cui seppellire le immagini più terribili del nostro io. Nel dipinto i cassetti sono semiaperti come se Dalì volesse provare a far riemergere i contenuti del suo inconscio. Ci sono anche elementi fallici come per esempio, il mezzo con cui le stampelle sono attaccate alla schiena, altro riferimento alla teoria di Freud riguardo al carattere sessuale degli oggetti. Due sono le donne rappresentate: una potrebbe rappresentare la donna di cui era innamorato e che era la sua musa; l’altra, evincendolo dall’aspetto così misterioso e oscuro e dai colori freddi, potrebbe essere sua madre e la scena potrebbe far riferimento proprio alla morte della madre e al dolore della sua perdita (le donne sembrano dei fantasmi). La sua morte è stato uno dei grandi traumi nella vita di Dalì; egli le era molto attaccato ed era una delle poche persone che lo sostenevano. L'artista è rimasto così sconvolto dalla sua morte che potrebbe aver nascosto le sue paure e i suoi dolori nell'inconscio e senza rendersene conto potrebbe averli fatti emergere nei suoi quadri. Per Freud questo sarebbe stato un esempio per una delle sue teorie della psicoanalisi: il complesso di Edipo.                                                                                                                                
Secondo le dichiarazioni dello stesso Dalì, il quadro mostra la sua personale posizione nei riguardi della guerra allora in corso nel suo paese d'origine. Sia per i cassetti e sia per la giraffa in fiamme in secondo piano, simbolo di morte e distruzione, l'autore infatti si riferisce alla guerra civile scoppiata in Spagna prima della Seconda Guerra Mondiale. L'uomo davanti alla giraffa potrebbe rappresentare il mondo o i più deboli o l’artista stesso che davanti a una guerra possono fare poco proprio come quell’uomo che davanti ad una giraffa in fiamme può fare poco per salvarla.  Questa situazione potrebbe rappresentare la paura e l’angoscia del mondo o di Dalì; il colore blu scuro e il terreno arido potrebbero simbolizzare morte e orrore.
Il dipinto è composto da immagini che paiono non avere niente in comune, nessun legame, come si fosse dentro un sogno.
  Gaia Dinelli, classe V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020


Sogno causato dal volo di un’ape attorno ad una melagrana un’attimo prima del risveglio (1944)



Sogno causato dal volo di un’ape attorno ad una melagrana un’attimo prima del risveglio è un dipinto realizzato da Salvador Dalì nel 1944, olio su tela, attualmente esposto al Museo Thyssen-Bournemiza di Madrid, forse uno dei più importanti e significativi quadri del pittore catalano. Egli decise di realizzare l’opera dopo che un’ape l’aveva punto mentre dormiva e le immagini fantasiose e paradossali che egli ritrasse nacquero nell’inconscio proprio a seguito di quella puntura. In questo dipinto dall’atmosfera surreale e dall’ambientazione aliena, appare in primo piano il corpo nudo di una donna distesa con le braccia rovesciate dietro il corpo, che levita su di uno scoglio piatto di pietra bianca, sospeso nel vuoto. La donna è da identificare con Gala Eluard Dalì, amante prima e moglie dal 1929, modella e musa ispiratrice dei suoi quadri per tutta la sua vita. La centralità donata al corpo nudo di Gala esemplifica l’importanza che giocano le pulsioni erotiche e sessuali, quelle che, secondo Freud, si conservano nella mente di una persona sognante. Questa figura centrale, le cui forme sensuali richiamano anche alla fertilità, giace in una delle due metà orizzontali in cui è suddiviso il dipinto, ossia quella inferiore. Da un’enorme melagrana sulla sinistra, dipinta con una tecnica minuziosa e iperrealista, diparte una successione di figure, che ha origine nel frutto rosso, simbolo dell’ovaio materno, ed elemento generatore dell’intera scena. Questo simbolo è tanto importante nell’opera quanto lo è stato nella vita del pittore, il quale era molto legato alla madre, l’unica persona in grado di capirlo e capace di temperare la forte rigidità del padre nell’applicazione della disciplina. Questo melagrano può essere anche associato ad un complesso edipico mai superato dall’artista.  La successione è costruita secondo un crescendo di mostruosità e aggressività e mette in evidenza lo sviluppo della personalità eccentrica del pittore spagnolo, talvolta aggressiva e delirante. Tale personalità è senz’altro correlabile all’esperienza traumatica della morte della madre, avvenuta nel 1921, quando egli aveva appena sedici anni. Da questa melagrana spicca il volo un enorme pesce rosso, dalla cui bocca spalancata fuoriesce una feroce tigre dai denti aguzzi. Dalle fauci spalancate di questa creatura spaventosa, salta fuori una seconda tigre ancora più aggressiva e minacciosa della prima, intenta ad attaccare e colpire mortalmente la giovane donna. La sequenza si conclude con la baionetta che sfiora il braccio della donna, come ad indicare l’imminente risveglio del pittore, causato dalla puntura dell’ape.  La successione risulta formata da due polarità opposte: da una parte la melagrana rosso rubino, simbolo delle pulsioni di vita e dell’Eros, accentuato dal suo stesso colore, e dall’altra la baionetta, che allude al Thanatos, le pulsioni di morte. L’arma, però, può essere anche interpretata come una manifestazione in forma travestita e camuffata del desiderio di Dalì di penetrare la sua donna. L’intera scena è pervasa da una carica libidica forte e travolgente che nasce nella melagrana e raggiunge il suo culmine nella tigre dagli occhi infuocati di desiderio sessuale e nella baionetta, pronta a “penetrare la donna”. Le visioni delle tigri e della baionetta potrebbero, quindi, essere un riflesso onirico delle pulsioni di vita e di aggressività che sono state sublimate da Dalì nella sua arte in maniera così intensa, forse proprio in virtù del fatto che nella vita reale erano state represse da un’educazione paterna estremamente rigida e autoritaria. In primissimo piano accanto a Gala l’immagine di una seconda melagrana più piccola, intorno alla quale un’ape vola nell’intento di pungerla, può essere interpretata in due modi differenti. Da una parte l’ape è personificazione di Dalì che gira attorno alla sua amata, indicata con il frutto rosso, che richiama la passione erotica, aspettando il momento giusto per “pungerla” e penetrarla. Questa interpretazione sembra essere rafforzata dall’ombra della melagrana stessa proiettata sullo scoglio, la quale, spaccata in due metà perfette tra la superficie del mare e quella dello scoglio, allude all’amore che il pittore provava per sua moglie. D’altra parte, considerando la forte presenza di elementi riconducibili all’atto della fecondazione e all’atto generatore, l’ape può essere vista anche come un simbolo della madre di Dalì, che continua a girare intorno al frutto da lei generato, rimanendo eternamente fedele e vicina al figlio anche in seguito alla sua morte precoce. 
Un motivo ricorrente del quadro è quello del doppio. Due infatti sono le tigri, i chicchi di melograno che levitano sull’acqua e le gocce d’acqua galleggianti. L’insistenza su questo numero, a mio parere, potrebbe essere interpretata come un’indicatore della consapevolezza del pittore di avere doppia personalità, derivata dalla convinzione instillata dai genitori di essere la reincarnazione del fratello, morto due anni prima della sua nascita. Sullo sfondo è rappresentato un elefante dalle lunghissime zampe d’insetto, che sembra essere entrato nel dipinto da destra, e che cammina con noncuranza e con la leggerezza di una farfalla, nonostante il peso dell’obelisco che regge sulla schiena, senza creare la minima increspatura sulla superficie del mare. Grazie all’incongrua associazione con le zampe sottili e fragili, questi animali, noti anche per essere un tipico simbolo fallico, creano un senso di irrealtà.” L’elefante rappresenta la distorsione dello spazio, ha spiegato una volta Dalì, le sue zampe lunghe ed esili contrastano l’idea dell’assenza di peso con la struttura. Si può osservare che il dettaglio delle zampe d’insetto è riconducibile tanto all’attrazione quanto alla repulsione che il pittore provava nei confronti di questi insetti, considerati affascinanti per la loro natura alquanto surreale. E’ importante notare, infine, come la punta dell’obelisco sembra perdersi oltre il limite superiore del quadro. Potrebbe esserci, infatti, un collegamento tra l’obelisco e lo scoglio: il fatto che Gala stia galleggiando sulla superficie di uno scoglio, generalmente simbolo di pericolo, potrebbe indicare il superamento di diverse difficoltà incontrate nell’arco della vita del pittore, che riuscì ad affrontare grazie alla spiritualità e alla fede (molto care al pittore), qui rappresentate dall’obelisco che si innalza verso il divino.
  Samuele Vollert, classe V C, Liceo Scientifico “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020


Il sonno (1937)


Il sonno è un argomento molto caro a Dalì e ai surrealisti in generale, ed è il soggetto di questo suo disegno, olio su tela, del 1937. In quegli anni la Spagna, paese d'origine del pittore, era impegnata in una sanguinosa guerra civile, ed è quindi comprensibile come egli trovi nel sonno un “rifugio”, una sorta di sospensione dagli orrori che stavano stravolgendo l'intera nazione. Il sonno, in un certo senso, si può definire come la via di mezzo tra la realtà e il sogno, quell'elemento che li collega, in cui ragione e fantasia coesistono e si combattono: Dalì, in quest'opera, riuscì a rappresentare perfettamente quel coesistere di razionalità e incoscienza tipica di tale dimensione.
La tecnica impiegata è abbastanza credibile nel rendere i colori, i volumi e le ombre, nonostante realizzi un'atmosfera sfumata, che sembra comunicare un dolce tepore, quasi volesse incitare l'osservatore stesso al sonno. Ad essere surreali sono, invece, gli elementi che compaiono sui diversi piani della scena, ovvero soggetti dalle fattezze sconosciute o elementi del mondo reale il cui accostamento è, almeno all'apparenza, privo di senso.
 In primo piano è rappresentata una mostruosa faccia che dorme e cammina allo stesso tempo, una creatura in cui, forse, l'autore ha voluto rappresentare se stesso, come in altri suoi celebri dipinti; questa, nonostante l'aspetto mostruoso, non appare minacciosa allo spettatore, ma innocua, poiché sembra vagare senza meta, dispersa e immersa nella malinconia. Osservandola ci si rende conto che l'occhio, che dovrebbe essere visibile, non è volutamente dipinto, che l'orecchio è coperto da uno straccio e che naso e bocca sono come immobilizzati da bastoni: con questi dettagli Dalì ha voluto sottolineare l'annullamento parziale, o totale, dei sensi durante il sonno, focalizzando l'attenzione sulla ragione, l'unica facoltà umana ancora attiva. L'elemento centrale di tutto il dipinto sono infatti i bastoni che sorreggono e danno forma alla faccia in primo piano, con i quali l'autore, probabilmente, ha voluto rappresentare la ragione stessa, che si conserva durante il sonno e permette alla realtà di sopravvivere alla completa fantasia. I bastoni sono tutti molto esili e comunicano quindi una situazione di fragilità, che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro, provocando il risveglio.
Sullo sfondo è possibile riconoscere diversi soggetti apparentemente privi di legame, forse inseriti nello stesso dipinto per riprodurre il processo tipico dei sogni, riconosciuto dalla psicanalisi, in cui vengono accostate immagini, persone o cose il cui rapporto sfugge dalla nostra coscienza, ma vi si può risalire indagando nell'inconscio.  Il cane che si appoggia a una stampella ha forte valore simbolico: nel linguaggio dell'artista, la stampella simboleggia un sostegno, una fonte di forza e stabilità da dare ai più deboli, incapaci di sorreggersi da soli. In questo caso Dalì vuole forse richiamare l'attenzione sui civili, rappresentati dall'animale, che durante la guerra pagano il prezzo più alto; ma potrebbe anche riferirsi al fatto che il sonno è una sorta di “pausa”, una via di fuga dove riposarsi dagli orrori che si consumavano in quegli anni.
La signora dipinta dietro il cane potrebbe simboleggiare la madre dell'artista, figura molto importante per lui, un vero e proprio sostegno contro la dura disciplina impartitagli dal padre: ella incoraggiò le sue aspirazioni artistiche e morì quando lui aveva diciassette anni. Dalì ha voluto voluto inserire nel disegno quello che, forse, è un riferimento alla madre per esprimere un desiderio di conforto, il bisogno di una persona in grado di consolarlo dalla drammaticità del periodo che stava vivendo. La piccola barca, sempre sullo sfondo, si può interpretare come un riferimento alla mitologia Dantesca, di cui il pittore realizzò numerose illustrazioni a partire dal 1957, ma potrebbe averne avuto conoscenza già precedentemente. Nella Divina Commedia troviamo imbarcazioni di questo tipo sia nei canti dell'inferno che del purgatorio, le quali trasportano le anime in un preciso luogo del mondo ultraterreno: perciò essa potrebbe essere il motivo della presenza della madre nel dipinto, una sorta di collegamento con l'aldilà. Le abitazioni realizzate sulla destra, infine, rappresenterebbero un riferimento inconscio a Piero della Francesca, stando alle dichiarazioni dello stesso Dalì sul numero 10 della rivista “Minotaure”:  “a destra si distingue la villa estiva ben nota che sorge nel sogno molesto di Piero della Francesca”. Queste ultime, forse, vogliono esprimere l'ammirazione dell'autore per il grande artista del passato o sottolineare l'importanza della casa, della famiglia, il più grande di tutti i beni, da salvaguardare davanti a tutte le avversità, che l'autore avverte come “a rischio”, sia per la guerra che per i rapporti burrascosi con il padre.

    Matteo Santoni, classe V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020



Ritratto di Gala con due costolette di agnello in equilibrio sulla spalla (1933)



Nel quadro si evidenzia in primo piano, il viso di sua moglie Gala, probabilmente appoggiata sul suo petto, che per l’autore è stata la donna più importante della sua vita, nonché musa ispiratrice. Essa è rappresentata vicino a delle costolette d’agnello, ovvero, ad uno dei piatti preferiti di Dalì, il quale ha sempre dimostrato un’ossessione vera e propria verso il cibo, perché considerato in grado di fargli assaporare la vita a pieno. Tutto ciò, ambientato in una splendida e calda giornata di sole.  Il provare piacere per una donna e per il cibo possono collegarsi a due fasi freudiane: la prima è quella genitale, nota a tutti a partire dall’età adolescenziale, la seconda è proprio quella orale, associata al neonato che prova piacere attraverso le labbra e nel succhiare il seno della madre.  A questi aspetti è riservata la zona sinistra del quadro mentre la destra lascia spazio a un ambiente arido, un cortile fatiscente e abbandonato. Questo spazio potrebbe simboleggiare tutto ciò che ha sempre recato dolore a Dalì e che per questo, preferiva tenere lontano dal suo nucleo affettivo, incentrato principalmente sul suo amore per Gala ( la morte del fratello nove mesi prima che lui nascesse gli creò un forte scompenso psichico e la forte pressione esercitata dai suoi genitori dopo la sua nascita, lo convinse ad essere lui stesso una sua reincarnazione; la morte della madre all’età di soli sedici anni, alla quale l’autore associava un’essenza divina, e il poco legame con il padre, contribuirono a formare la sua personalità controversa). In questa parte del quadro troviamo principalmente tre elementi di interesse. Il primo è il pozzo, che idealmente potrebbe figurare un passaggio tra conscio e inconscio e, in particolare modo, la rottura della parte destra potrebbe alludere alla voglia stessa dell’autore di intraprendere tale esperienza, probabilmente a causa del suo interesse verso Sigmund Freud che riuscì a incontrare di persona solo nel 1938.  La seconda figura è un bambino con una bicicletta. È una figura ridotta, poco definita come un fantasma e infatti potrebbe essere il fratello dell’autore, da cui non riesce a distaccarsi. L’ultimo aspetto è la facciata della casa, che fa da sfondo al quadro, in cui hanno grande rilevanza le porte chiuse. Questo potrebbe simboleggiare una divisione tra lui e il difficoltoso nido familiare, identificabile nell’abitazione stessa.
Costanza Buoni, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020




Naso di Napoleone, trasformato in una donna incinta, passeggiando con sua ombra con malinconia tra le rovine originali (1945)



Osservando quest’opera sembra di essere spettatori di un sogno: si vedono immagini familiari fuori dal loro abituale contesto e la creazione di un mondo illogico. Tuttavia le scene di un sogno non sono casuali, ma il riflesso della psiche. Per questo Dalì identifica il suo stile con quello del movimento surrealista, che aveva il fine di rivalutare e dare spazio alla parte irrazionale dell’uomo per poter esprimere liberamente il mondo dell’inconscio. Opera del 1945, è stata creata vicino al punto di svolta della produzione artistica di Dalì: il passaggio dallo stile puramente surrealista a quello classico, durante il quale cambierà il suo metodo di interpretazione ed espressione dei pensieri. Il titolo dell’opera sembra suggerire la “trama” del sogno; Dalì stesso afferma che “il titolo spiega pienamente il dipinto”.  Infatti possiamo osservare una donna vista attraverso un’arcata che passeggia circondata da un paesaggio desertico. La cosa che cattura più l’attenzione è però la forma che il paesaggio e le figure creano: il viso di Napoleone Bonaparte. La donna diventa il naso, le montagne gli occhi, dei rami le labbra. Questa tecnica della “doppia immagine” viene utilizzata spesso da Dalì nei suoi dipinti, perché coinvolge lo spettatore che è chiamato a cogliere la doppia immagine o i molteplici significati dell’opera in base al suo “livello di paranoia”. Infatti in questo caso l’osservatore sperimenta ciò che accade ai paranoici, ovvero percepire significati multipli nelle cose che li circondano. L’immagine doppia è circondata da una struttura da cui spuntano diverse protuberanze, tra cui quella in alto a destra è chiaramente di forma fallica. Queste forme si trovano ripetute nella sensuale figura femminile a destra, e rappresentano i poteri generativi maschili. Molte di esse però sono supportate da stampelle: la stampella simbolizza qualcosa di debole e che non riesce a reggersi da solo, questo abbinato alla simbologia fallica potrebbe significare una sessualità non totalmente sviluppata, che tenta di liberarsi ma che rimane trattenuta da qualcosa, come la donna completamente nuda tranne per gli stivali e il guanto, rossi come il colore della passione. Elevato su di un piedistallo si trova Cristo in croce, che però presenta una particolarità: il seno. Anche questo potrebbe essere una rappresentazione simbolica dell’indebolimento del ruolo maschile nella società, promosso dalla religione. Inoltre la scelta della figura di Napoleone potrebbe essere spiegata da una citazione dello stesso Dalì: “A sei anni volevo fare il cuoco. A sette anni volevo essere Napoleone. E da quel momento la mia ambizione non ha mai smesso di crescere:”. Conoscendo le manie di grandezza manifestate da Dalì fin da giovane (che ad esempio l’hanno portato ad essere espulso dalla scuola d’arte) non è difficile capire perché si rispecchi in un personaggio potente ed ambizioso come Napoleone. Il generale francese è anche un simbolo di forza e virilità, e sembra che cerchi di contrastare le figure che lo circondano. In realtà, mentre la donna e Cristo sono figure rappresentate in carne ed ossa, Napoleone è una statua di cui è rimasto solo il volto e un’ombra: un’ideale perduto ed ormai irraggiungibile.
Rebecca Francesconi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020



Disintegrazione rinocerontica di Illussos di Fidia (1954)



Questo quadro fu composto da Dalì nel 1954, quando si era trasferito di nuovo in Spagna dopo aver passato diversi anni negli Stati Uniti.
La prima cosa che ho notato di questo quadro in relazione alla psicoanalisi è lo scoglio presente nello sfondo. Associandolo inevitabilmente all’iceberg freudiano che divide conscio e inconscio, a mio parere svolge questa medesima divisione nel corpo in primo piano. Il corpo che è fuori dall’acqua, infatti, è la punta dell’iceberg, ovvero la parte dominata dal conscio e dalla razionalità: ciò si percepisce dal fatto che al posto del cuore, simbolo della passionalità e dell’istintività, c’è una figura geometrica solida, simbolo del rigore e della logica. L’uomo, quindi, si comporta razionalmente e logicamente per la maggior parte della sua vita, anche grazie alle regole civili e morali imposte dalla società in cui vive. Quando però ci si immerge sott’acqua, negli abissi dell’inconscio, il corpo umano si sgretola in tanti corni di rinoceronte. Dalì rappresentò spesso il rinoceronte nelle sue opere, per lui animale simbolo di forza e di virilità, ma concentrò il suo interesse nel corno. Uno dei motivi di tanto interesse è perché esso si erige in una curva in sezione aurea (che per Dalì rappresentava la geometria divina), ma soprattutto perché è un segno erotico con forma fallica, di potenza sessuale: è una figura convessa che si contrappone alla forma concava dell’universo femminile. L’essenza afrodisiaca del corno, quindi, sta a indicare come nell’inconscio le pulsioni sessuali (soprattutto quelle represse), i desideri e gli istinti prendano il sopravvento.
Francesca La Motta, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020



Il volto della guerra (1940)


L’opera viene eseguita quando Dalí si trova negli Stati Uniti dopo essere fuggito dall’Europa in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale. Il soggetto presente al centro del quadro rappresenta un volto scheletrico, privo d’identità. Le cavità orbitali e la bocca contengono al loro interno dei teschi che a loro volta ne presentano altri, come se questi si susseguissero all’infinito, nella medesima espressione di dolore, di angoscia, come un urlo che riflette una terribile disperazione. Il quadro raffigura l’idea di terrore della guerra, (probabilmente la guerra civile spagnola del 1936, che egli visse in prima persona) portatrice di morte e sterminio. Una morte perpetua, che si ripete, come se la guerra fosse una condizione propria dell’uomo, un qualcosa di cui non può fare a meno e che si protrae nel tempo. I colori predominanti sono diverse tonalità di giallo e grigio, che conferiscono un’atmosfera desolata, desertica, al di fuori della realtà. Inoltre importante è la presenza di una fonte luminosa a noi ignota, che si proietta da destra, al di fuori della nostra visuale, per poi colpire il teschio e evidenziarne i tratti spigolosi, la fronte corrugata, l’espressione di terrore; una luce che rende l’immagine immobile, al di fuori del tempo, come bloccata e immutabile. Un altro elemento sono i piccoli serpenti che  avvolgono il volto, probabilmente serpenti velenosi il cui morso può rivelarsi mortale e così contribuiscono a enfatizzare ulteriormente il tema della morte imminente. Da notare l’impronta di una mano nell’angolo in basso a destra, a simboleggiare le tracce di una  presenza umana, o la popolazione civile spagnola oppure l’umanità stessa il cui destino è stato segnato dagli orrori della guerra. Da un punto di vista psicanalitico questa sua opera si materializza e si impone al nostro sguardo proprio come se si trattasse di un sogno, una visione tra realtà e sogno che richiede un vera propria interpretazione. In chiave psicoanalitica possiamo dire che quella percezione, quel sentimento che si evoca in noi nell’osservare l’opera, possa riflettere lo stato d’animo di chi ha vissuto la guerra sulla propria pelle, chi ha subito gli orrori oppure chi ne ha provocati. Può essere legato ad un trauma o ad un ricordo passato appartenente a questo periodo e che Dalí cerca di far riaffiorare indirettamente attraverso la sua espressione artistica. L’orribile e il ripugnante sono caratterizzati da un’esecuzione formale costituita da elementi quali una luce materica, che provoca un senso di vuoto ma contemporaneamente è in grado di conservare l’immagine al centro del quadro e proiettare quel disegno onirico, frutto ed espressione dell’interiorità dell’artista. Così come la psicoanalisi non si affidò più all’acume dell’interprete dei sogni ma lasciò questo compito al sognatore stesso interrogandolo sulle associazioni per ogni singolo elemento onirico, così l’artista adopera immagini e simboli la cui traduzione deve essere compiuta dall’osservatore.
Irene Romani, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Poesia d’America (1943)



Dalì ha dipinto il quadro negli Stati Uniti, dove si era trasferito durante la seconda guerra mondiale.
In primo piano ci sono due uomini: uno nasconde il viso tra le braccia, l'altro non ha testa e braccia. Dall'uomo di destra nasce una bottiglia di Coca Cola che potrebbe essere un simbolo di modernità. I colori dei due personaggi sono quelli della bandiera americana (bianco, rosso e blu) e sullo sfondo si intravede una cartina geografica dell'Africa che si sta sciogliendo; questo potrebbe essere un segno premonitore di Dalì sulle difficoltà che sarebbero nate tra uomini bianchi e di colore (gli afro americani) dopo la guerra.
Nel quadro l'uomo di spalle potrebbe rappresentare l'inconscio, quello di sinistra il super io o il consumismo americano. Dall'uomo vestito di bianco esce un cassetto e questo potrebbe significare che vuole liberare qualcosa che lo sta opprimendo e, una volta liberato, è felice. Questa felicità potrebbe essere rappresentata dal personaggio che esce dalla sua schiena, il quale tiene in mano un uovo che sta a simboleggiare la rinascita. Visto con gli occhi di oggi potrebbe rappresentare un'America che preda di profondi dissidi si avvia verso una rinascita, dopo la guerra, ma anche verso uno sfrenato consumismo (la Coca Cola e il petrolio in cui pare liquefarsi).

Elena Giannecchini, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



L'Enigma Di Guglielmo Tell (1933)



Il pittore per me ha voluto rappresentare il rapporto conflittuale che ha avuto col padre nel corso della vita. Per capire ciò si può fare riferimento anche al complesso edipico di Freud (che Dalì conobbe di persona), e che prevede nei primi anni di vita del figlio un atteggiamento di gelosia per il genitore di sesso opposto e di ostilità nei confronti di quello dello stesso sesso. L'uomo, protagonista dell'opera, ha la faccia di Lenin, Padre della Nazione russa e figura di spicco nella Rivoluzione bolscevica ed assimilabile alla figura del padre di Dalì. Egli è trafitto da una lama, segno di distacco e ripudio per la sua figura. Inoltre si nota che l'uomo ha una natica e un cappello sproporzionati sorretti da stampelle. Questi due elementi sono riconducibili alla sessualità, alla virilità, alla volontà del padre di prevalere e prevaricare sul figlio; le stampelle sono sorrette con difficoltà perché difficili da sopportare. Dalí era in contrasto col padre anche perché quest'ultimo non approvava la sua relazione con una donna. Questo malcontento è dimostrato dalla minuscola culla situata sotto i piedi dell'uomo che sembra volerla schiacciare. I corvi sono anch'essi simbolo della sessualità repressa del figlio. Infine il titolo del quadro (scritto sopra un grande plinto) ci riporta anch'esso al padre tramite la storia di Guglielmo Tell che doveva centrare una mela sulla testa del figlio.
Rebecca Bolognino, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Il ragno della sera promette speranza (1940)





Ad un primo sguardo il dipinto può sembrare confuso, le figure non sempre sono riconoscibili e molti dettagli che possono aiutarci sono difficilmente individuabili, contestualizziamo dunque l’opera. Dipinta nel 1940 l’opera nasce in un clima molto cupo, la guerra era in pieno svolgimento e Dalì si trovava esiliato negli Stati Uniti dopo essere fuggito dalla Francia, in conseguenza dell’invasione nazista. Il dipinto mostra le paure del pittore riguardanti il presente ed il futuro tramite una composizione che richiama quella dei sogni; esso è dominato da una figura femminile stesa sul ramo di un albero appassito che richiama la morte, essa regge un violoncello, che secondo l’interpretazione psicoanalitica rappresenta la femminilità, anche in questo caso morta. Un cherubino, simbolo della purezza, indica la figura innaturalmente scomposta e piange di fronte agli orrori della guerra, che prende la forma di un cannone sostenuto da una stampella. Dalì era affascinato dalle stampelle, sin da quando ne trova una nella soffitta di casa sua da bambino; esse rappresentano per lui la stabilità e conferiscono forza, ma in questo caso potrebbero personificarsi nel genere umano che ha fatto della guerra uno strumento usuale per risolvere le questioni generali. Il cannone spara un cavallo in via di decomposizione, uno dei cavalli dell’Apocalisse: esso è quindi la guerra che porta discordia; la vittoria, rappresentata dalla Nike di Samotracia, dà le spalle e sembra non interessarsi all’avvenimento, rendendo così inutile la vittoria di fronte alla distruzione. Visibili, nel paesaggio arido e deserto, ci sono due figure, dei possibili Adamo ed Eva, costretti a far ricominciare il genere umano dopo la catastrofe. Dalì in tutto questo si ritrova nel volto della donna, come un palloncino sgonfiato, quindi arreso, si trova per terra con gli occhi chiusi sormontato da delle formiche, un'altra fissazione giovanile, impegnate a mangiare ciò che è morto, di conseguenza a pulire ciò che rimane, dando inizio ad un nuovo ciclo vitale. Nonostante le paure della guerra, della morte e del nuovo inizio Dalì sembrerebbe rimanere speranzoso, ponendo un insetto, chiamato “Daddy Longlegs” sulla propria faccia, secondo una tradizione popolare francese che credeva che esso fosse un buon auspicio.
Andrea Secchi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Il ragno della sera promette speranza (1940)


Salvator Dalì, pittore spagnolo surrealista, potrebbe essere definito un esteta dannunziano per il tipo di vita che lo caratterizzò. Nella sua produzione artistica Dalì trasferisce i concetti di Freud in campo artistico partendo dall’effetto che uno stimolo esterno produce sul sogno stesso. La tela diventa per il pittore il luogo dove quasi in trans riproduce il contenuto manifesto delle sue visioni, dove l’inconscio esplicita, attraverso forme e simboli, le più remote fantasie, speranze e preoccupazioni.
L’opera “Il ragno della sera promette speranza” venne dipinta tra il 1939-1940, tra la fine della guerra di Spagna e l'inizio della Seconda guerra mondiale. E' questo il periodo in cui Dalì, scappato in America con sua moglie Gala per non dover assistere alle atrocità della guerra, dipinge quadri molto più cupi e con più riferimenti alla tematica bellica. L’atmosfera cupa del dipinto introduce già quelle che sono il tema e le sensazioni riversate nel quadro. Lo sfondo rappresenta un paesaggio arido e desolato dove si stagliano due piccole figure, un uomo e una donna, che appaiono lacerate. Il riferimento potrebbe essere ad Adamo ed Eva, metonimia per fare riferimento all’umanità in generale, di cui rimane solo la parte inferiore probabilmente come conseguenza agli effetti psichici devastanti della guerra sugli uomini. In questo quadro convivono l’eros e il thanatos per sottolineare l’ambivalenza nell’animo di Dalì. Questa ambivalenza si rispecchiava anche nella sua posizione politica, poiché esteriormente aveva sempre dichiarato di essere un apolitico, “Né staliniano, né hitleriano ma Daliniano” e poi in concreto simpatizzava con il dittatore Francisco Franco con il quale ebbe anche un incontro in prima persona. Davanti però alle atrocità prodotte dalla guerra anche lui non  poteva rimanere indifferente, generandosi in lui sensazioni di disgusto e orrore. La figura del cupido riposta in un angolo del quadro, simbolo dell’amore e quindi di eros, potrebbe rappresentare il Super Io del pittore. Questo si copre gli occhi incapace di guardare le atrocità che stanno di fronte a lui, quasi vergognandosi delle posizioni politiche. Di fronte a lui si stagliano infatti diversi simboli rappresentati il Thanatos, la guerra: sulla sinistra si staglia un cannone con la bocca rivolta verso l’altro cannone da cui esce un cavallo con la faccia da scheletro; l’albero sulla destra ormai privo di vita e rinsecchito, le formiche che camminano sul volto deformato della donna. La stampella posta sotto la bocca del cannone per sorreggerlo, simbolo dei difetti della nostra materialità, necessaria però alla nostra stessa sussistenza, potrebbe fare riferimento all’opportunismo mostrato da Dalì nel sostenere per esempio personaggi come Franco. Quando infatti l’esercito di questo prese potere nel paese, il pittore per assicurarsi un sicuro rientro in Spagna dopo la guerra cambiò parere sul dittatore. Il cavallo, generalmente simbolo di forza e di libertà sessuale, si staglia verso il cielo liberandosi da qualsiasi freno lo tenga saldo alla terra. Allo stesso tempo però la faccia trasformata in un teschio reprime le pulsioni erotiche convertendole in impulsi di morte e assumendo una valenza negativa come portatore di morte (riferimenti al cavallo della “Guernica” di Picasso, e al cavallo ne “L’incubo” di Fussli).
In contrasto con tutti questi simboli ci sono due figure femminili: la prima è quella della Nike di Samotracia, simbolo di vittoria bellica, ritrasformata e amputata di un’ala; il secondo è invece il corpo femminile in primo piano che si copre pudicamente con un violino, simbolo della musica, e poggia sui seni due calamai, simbolo della letteratura. Questi due elementi sono, in confronto anche al corpo stesso della donna, ancora intatti, non deformati, forse a voler sottolineare l’immortalità e l’intoccabilità dell’Arte anche di fronte ad eventi esterni come la guerra. Il ricorso all’utilizzo di una figura femminile con valori positivi, in antitesi con il resto del quadro, potrebbe essere legato all’attaccamento di Dalì alla madre, persa troppo prematuramente. L’unica parte che rimane illuminata del quadro, quasi uno spiraglio di vita e di speranza, è rappresentato dal ragno che è il vero protagonista dell’opera. Secondo le mitologie antiche il ragno di notte è portatore di buona speranza, probabilmente incarna per il pittore l’unico spiraglio di luce che vede. Questa speranza è però turbata dalle formiche che lo accerchiano, simbolo invece di preoccupazioni e impedimenti, forse perché si rendeva conto di quando l’Europa era ben lungi dal ritornare alla tranquillità. Questo gioco di contrasti, luce oscurità, figure di eros e di thanatos, rispecchia la concezioni freudiana secondo cui l’inconscio di ognuno di noi è diviso in due parti, una buona e una cattiva, che coesistono.
Sabrina Caprara, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Self Portrait by Steve Kaufman 
(il quadro è stato interpretato come se fosse di Dalì)


Il quadro sembra raffigurare il pittore spagnolo Dalì, considerato uno dei più importanti artisti del XX secolo ed uno degli esponenti di punta del Surrealismo, intento in quella che si potrebbe chiamare “autodistruzione” di se stesso.
Dal suo corpo emergono diverse braccia: una dipinge in aria reggendo un pennello, un’altra regge la grattugia dove l’ultimo braccio (“l’ultimo” raffigurato fisicamente) sta man mano scomparendo lasciando un lago di sangue nella vasca che lo raccoglie.
Conoscendo la vita di Dalì e la corrente artistica del Surrealismo, movimento artistico e letterario d’avanguardia, che afferma l’importanza dell’inconscio nel processo di creazione in contrapposizione al dominio della ragione, si può ipotizzare che nella figura di Dalì raffigurata “siano rappresentati” lui, pittore e il fratello morto nove mesi prima della sua nascita a Figueres l’11 maggio 1904.
Dalì crebbe per tutta la vita influenzato da ciò che gli fu insegnato dai genitori: egli era la reincarnazione del fratello ed infatti aveva il suo stesso nome (Salvador).
L’esperienza traumatica può essere associata al quadro notando che, se il fratello, che vive spiritualmente nella persona del pittore-Dalì, distrugge il suo corpo “fisico”/terreno e fa spuntare la mano “distrutta” sotto forma di ombra sopra il petto di Dalì (a questo proposito il pittore stesso affermò di essersi immedesimato a tal punto nella figura del fratello da “sentire la sua ombra in decomposizione”), il pittore stesso dipinge “sopra” al sangue del fratello “sparso” a cui egli si appoggia tramite la stampella. Questa (situata sulla sua spalla sinistra) è un elemento ricorrente nella pittura di Dalì e rappresenta dunque un “feticcio” della sua pittura che simbolizza il sostegno e la forza per qualcuno debole e incapace di reggersi da solo. Questo sottolineerebbe il fatto che Dalì non abbia ancora superato i traumi infantili, sentendosi in qualche modo responsabile della morte fratello mai conosciuto, di non aver appagato le volontà del padre, perpetuando un rapporto pessimo con lui lungo tutta la vita, e frantumando così il clima familiare già segnato dal tremendo lutto.
Gli stessi oggetti affilati, numerosi nel quadro (come, per esempio, quello che poggia sulla clessidra aperta) potrebbero essere simbolo delle “pulsioni di distruzione” (Thànatos).
Sullo sfondo è presente una torre a forma “fallica”, rappresentante “le pulsioni di vita” (Eros) che potrebbe essere associabile, per quanto su detto e considerando la morte precoce della madre, nel 1921, ad un “complesso edipico” mai superato. Essa (la torre) è circondata da specchi levitanti per aria che potrebbero richiamare l’egocentrismo del pittore; a questo proposito citiamo la sua celebre frase: ”Ogni mattina mi sveglio e, guardandomi allo specchio, provo sempre lo stesso ed immenso piacere: quello di essere Salvador Dalì.”
Infine proprio dalla “scia” di sangue lasciata dal pennello cade una goccia che sembra essere stata preceduta da un’altra riflessa dallo “specchio molle” segno di una “condizione fuori dal tempo e dallo spazio”. L’immagine, in questo senso, è rafforzata dalla presenza della clessidra priva dell’estremità inferiore (perde la sua funzione di misurare lo scorrere del tempo) e dall’ambiente stesso dipinto come alieno, atemporale e senza confini, in cui emerge il “perturbante”.
Erasmo Pacini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



The painter's eye (1941)
Illustrazione per S.C. Johnson & co.


Secondo Freud l’uomo nasconde nell’inconscio fatti traumatici che vengono respinti dalla coscienza. La persona attiva una sorta di reazione di difesa e manifesta questi istinti inconsapevolmente solo nei sogni nei quali i desideri vengono camuffati e creano una sorta di opera d’arte che necessita di un’interpretazione. In questo caso l’opera d’arte è questa stampa “ The painter’s eye” del 1941 di Salvador Dalì.    Nel Surrealismo l’immagine dell’occhio occupò un posto centrale come si vede in quest’opera in cui diviene il soggetto principale. Al centro del quadro si trova il pittore con in mano un pennello e tutto il suo corpo è rappresentato proprio dall’occhio che è lo strumento che l’artista utilizza per mostrare allo spettatore le “cose invisibili”. Dall’occhio scende una lacrima che rappresenta la tristezza per gli orrori che stavano accadendo in Europa quegli anni; la Seconda guerra mondiale stava per scoppiare e Dalì, insieme alla sua compagna, si rifugiava negli Stati Uniti. Il telefono legato ad una delle ciglia potrebbe voler rappresentare un richiamo per gli uomini, all’umanità. Il braccio del pittore è sorretto da una stampella che dà al pittore sostegno, forza e sicurezza, la stessa che dava a Dalì quando da ragazzo trovò una vecchia stampella in soffitta e ne fu immediatamente affascinato. La stampella simbolizza anche un qualcosa che sostiene importanti valori umani che in quegli anni si stavano perdendo. L’albero con le radici rappresenta la famiglia ed in particolare sua madre che ha i rami brutalmente spezzati, dato che è morta per un tumore nel 1921, lasciando un vuoto incolmabile nella sua vita. Il cassetto e le porte che si aprono dalla corteccia rappresentano i segreti dell’animo che la donna cerca di reprimere nell’inconscio. Dalle due porte escono due teschi, uno si nasconde e rappresenta gli impulsi sessuali da nascondere alla società e uno si sporge perché mostra quegli aspetti che la coscienza umana può accettare. Nel cassetto in basso a sinistra si trovano dei pulcini appena nati che sono appena usciti dal loro uovo. Essi rappresentano la vita intrauterina e sono un piccolo segno di speranza. In alto si può notare un’ auto  che è proprio la vettura che Dalì e sua moglie, la sua musa ispiratrice, hanno comprato nel 1941. Di fianco all’autovettura è rappresentata una figura umana con il corpo fatto di mattonelle instabili e con la faccia sostituita da un orologio. La testa di questa figura è chinata e da essa spuntano alberi ed uccelli; tutto ciò vuole rappresentare, collegandosi alla teoria sul relativismo di Einstein, che il tempo non è rigido ma è fluido e senza limiti, la percezione umana del tempo cambia a seconda dell’umore e l’orologio non ha più senso di esistere. Nel petto della sagoma  è presente un’entrata buia che può rappresentare il rifugio dei desideri profondi negati dall’IO dell’uomo. In basso a destra sembra rappresentata una piccola chiesa che può riportare alla mente del pittore i ricordi delle notti in cui andava a pregare sulla tomba del fratello, morto nove mesi prima della sua nascita.
Sabrina Kollobani, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


La persistenza della memoria (1931)


Sono molti gli eventi che hanno scandito la vita di Salvador Dalì ed è per questo che si ritrovano molto spesso nei suoi elaborati; questo dipinto è ricollegabile ad alcuni di essi. Significativo per il pittore è stato il cattivo rapporto che ha sempre avuto con il padre, il quale, a seguito di una scritta oltraggiosa che il figlio ha collegato al Sacro Cuore, lo caccia da casa. In relazione a questa opera non è tanto il rapporto conflittuale ad essere significativo quanto ciò che ne è derivato, cioè il trasferimento di Dalì e della sua compagna di vita, Gala, a Port Lligat, luogo che rappresenta l'ambientazione dell'opera. Gli elementi che portano a fare questo collegamento sono l'ulivo (è celebre infatti a Port Lligat una visione della baia attraverso degli ulivi) e le scogliere in lontananza che caratterizzano la costa spagnola, a lui molto cara. Altri eventi significativi sono stati la morte del fratello maggiore e la morte della madre ed è per questo che si può considerare la morte come un tema significativo per l'artista, che riporta anche in quest'opera. Infatti, al contrario dei fiorenti ulivi di Port Lligat, qui è rappresentato un ulivo in punto di morte, avente un solo ramo senza foglie, e il volto che, pallido e avente l'occhio chiuso, giace a terra  circondato da un terreno molto scuro, in contrasto con il giallo ocra molto acceso del paesaggio. Questo viso è probabile che appartenga alla madre i cui occhi non si apriranno più. Ulteriore elemento collegabile alla morte sono le formiche che sovrastano quell'unico orologio chiuso, poiché questi  insetti sono sempre state una delle più grandi fobie di Dalì e che, come simbolo di morte, riporta anche nel cortometraggio "Il cane andaluso" da lui sceneggiato insieme al surrealista Bunuel, dove queste fuoriescono dalla mano di un uomo. Tutto questo è messo in contrasto con la luminosità dello sfondo riconducibile alla luce della sua vita: Gala, che, incarnata dalla baia ricca d'acqua, rappresenta la sua fonte di vita. Tuttavia, tutto il dipinto si concentra sui cosiddetti "orologi molli" che Dalì ha dipinto dopo aver osservato del formaggio Camembert che si stava sciogliendo e che lo hanno fatto riflettere sulla relatività e fugacità del tempo. Gli orologi non hanno infatti una consistenza solida ma liquida per due motivazioni, una teorica e una stilistica. La ragione teorica è collegata alla teoria della relatività di Einstein secondo la quale la percezione del tempo non è universale ma cambia a seconda del soggetto e ciò, nell'immaginario di Dalì, si ha soprattutto nei sogni, regolati dall'inconscio. La ragione stilistica dipende dal fatto che, da surrealista, Dalì era portato a dipingere i suoi soggetti trasportandoli in mondi irreali, visti da lui come un via di fuga dalla realtà e dal mondo che non lo rispecchiano. È qui rappresentato un mondo, molto probabilmente un sogno appunto, nel quale il tempo si decompone (come indicato dalla mosca sull'orologio) e perde quindi la sua validità. Il titolo fa comprendere la visione che Dalì aveva del tempo e cioè come questo sia sconfitto dalla memoria che riesce prescindere il suo scorrere e quindi persiste; è infatti un orologio quello dipinto sul volto, presumibilmente della madre, come stando a significare che il tempo è passato ma lui di lei non perde il ricordo. 
Benedetta Marraccini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Il gioco lugubre (1929)


“Il gioco lugubre” dipinto da Salvador Dalì nel 1929 fu la sua prima opera appartenente al movimento dei surrealisti, opera che provocò disapprovazione e sconcerto tra i componenti del movimento. Dalì per dipingere adottava  il metodo paranoico-critico (da lui stesso inventato), per potersi immergere al meglio nel proprio inconscio e tirarne fuori un’opera d’arte. Sigmund Freud fondatore della psicoanalisi avrebbe potuto psicanalizzare i suoi dipinti come se fossero dei sogni, le vie privilegiate d’accesso all’inconscio. Infatti, andando a psicanalizzare l’opera citata in precedenza possiamo distinguere tre blocchi di elementi: la statua a sinistra, il volto al centro e le due figure maschili a destra. Partendo dal primo blocco la nostra vista viene canalizzata sull’enorme mano della statua, simbolo dell’autoerotismo maschile, mentre il senso di vergogna provocato dalla masturbazione è messa in evidenza dall’altra mano che va a coprire il volto. Ai piedi della statua vediamo una figura nera, seduta con un oggetto cilindrico flaccido in mano, potrebbe essere un’allegoria dell’impotenza maschile nell’avere un’erezione. Infine il leone simbolo di forza, probabilmente riferito al padre di Dalì. Nel secondo blocco notiamo un enorme volto dormiente, probabilmente femminile fluttuante con una cavalletta posata sulle labbra, la cavalletta è una delle fobie di Dalì, insetto che compare in molti altri dei suoi dipinti. Il fatto che sia sulle labbra, simbolo erotico del sesso femminile, può significare un senso di paura nel relazionarsi col sesso opposto. Al di sopra del volto, l’autore raffigura un agglomerato di sogni uscenti dalla testa. Nell’ultimo blocco a sinistra vediamo una prima figura maschile con le mutande macchiate di escrementi (elemento che causò scalpore tra i surrealisti); esso potrebbe far riferimento alla seconda fase dello sviluppo psicosessuale, quella anale dove il neonato prova appagamento sessuale, quasi gratificante, dal controllo autonomo del proprio sfintere. Nella mano della persona, possiamo inoltre notare uno straccio insanguinato, simbolo della castrazione. Infine abbiamo una figura umana con un foro sulla testa, avente una forma che ricorda quella di una vagina, la quale è penetrata dall’indice della mano, simbolo dell’autoerotismo femminile.
Federico Marchetti, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Baccanale (1939)



Bacchanale è il primo di nove balletti ideati da Salvador Dalì, essi furono presentati a New York tra il 1939 e il 1949. La scena del dipinto rappresenta il monte Venere, sullo sfondo vi è il luogo di nascita di Dalì. Guardando questo quadro mi ha stupito subito la figura del cigno in primo piano: questo animale si può ricondurre al mito di Leda, secondo il quale Zeus, trasformatosi in cigno,  si accoppiò con Leda, generando due uova.  Non avendo nessuna fonte certa, ho dedotto che queste due uova potessero rappresentare Dalì e suo fratello maggiore, tesi confermata dal fatto che, essendo morto il fratello, il cigno ha una sorta di porta oscura  rappresentante forse un cimitero.  Di solito il cigno è associato  alla purezza, alla bellezza e alla pace. Tuttavia, in  questo caso, c’è un contrasto con la visione tradizionale dell’animale: sia il paesaggio arido sullo sfondo, sia le ossa, sia il cigno stesso rappresentato senza  occhi e con delle crepe, trasmettono un senso di angoscia.  Il monte rappresenta, a mio parere, la divisione freudiana tra conscio e inconscio: il primo, rappresentato sullo sfondo, presenta degli uomini su cui governa la coscienza, mentre in primo piano l’inconscio è rappresentato da questo cigno il quale, se da una parte come detto precedentemente simboleggia la morte, potrebbe rappresentare anche la vita come dimostra il ramo che spunta dall’ala, simbolo di una nuova vita dopo la morte.                                                                                                                                     Carlo Meschi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020

Madonna di Port Lligat (1950)



Questo è uno dei pochi quadri di Dalí a tema religioso, in cui ritrae la Madonna col bambino, inserendoli nel paesaggio visto dalla sua casa a Port Lligat e stravolgendo la composizione delle cose com’era sua consuetudine e che caratterizzava il suo surrealismo. La peculiarità del quadro, è che gli elementi sembrano fluttuare nell’aria, come se fossero attratti l’un l’altro ma non potessero instaurare un contatto. Qui lo si vede bene con il bambino e la madre. Il bambino è sulle sue gambe ma non vi poggia, così come è davanti a lei e al suo ventre, ma non vi è all’interno, nonostante vi sia una cavità. È come se percepissimo che il bambino voglia distaccarsi dalla madre ma non possa per il cordone ombelicale che ancora lo tiene ancorato a lei. Tuttavia secondo me emerge un forte attaccamento del bambino alla madre, identificabile con il complesso freudiano di Edipo, proprio per il fatto che il bambino manifesti l’attaccamento materno quasi come se si trovasse ancora nella fase di gestazione, quando il bambino è nella pancia della madre. Le mani in posizione di preghiera della madre fanno come da protezione al suo corpo, come se lei stessa non fosse pronta a lasciarlo, come se fosse ancora parte di lei. Il non contatto tra i loro corpi è la fase iniziale di un loro distacco inevitabile dovuto alla crescita del bambino, che entrambi non sono pronti ad affrontare.
Anche il bambino al tempo stesso presenta una cavità nel suo ventre. Dalì sceglie di rappresentarvi un pezzo di pane, e pone nelle mani del bambino due oggetti: una sfera e un libro. Dando un’interpretazione religiosa a questi elementi, sorge spontaneo ricondurre il pezzo di pane alla tradizione cristiana di Gesù e dell’ultima cena, mentre la sfera, secondo me è associabile al nostro pianeta Terra, scuro perché avvolto dal male, e nell’altra mano il libro, il Vangelo, con la funzione di redimere l’uomo dal peccato, quindi uno strumento di cui si deve avvalere il Signore, il futuro bambino, per portare il bene nel mondo. Un’interpretazione più interessante invece può essere quella di tipo psicanalitico: il pane nel ventre del bambino, in quanto cibo, può rappresentare la pulsione di fame e per estensione le pulsioni in generale, che sono parte dell’inconscio umano, e rappresentano un’esigenza che l’uomo ha ed è costretto a soddisfare, agendo d’istinto come se fosse un animale. Queste pulsioni innate sono compensate dall’educazione e dal rigore morale che l’uomo riceve dall’esterno, rappresentato dagli oggetti che tiene in mano perché elementi costanti della sua vita, che sono la logica, simbolo della sfera, e la razionalità, simbolo del libro.
Siglinde Tofanelli, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020

Il ritratto di Picasso (1947)



Hans-Georg Gadamer, famoso filosofo tedesco, affermava che l'arte ha regole proprie.  Dalì, come Picasso e come tantissimi altri esponenti di diverse correnti artistiche, prima fra tutte il Surrealismo (movimento artistico sorto nel 1924 con il fine di rivalutare la parte irrazionale dell’uomo, per poter esprimere liberamente il mondo dell’inconscio, della fantasia, del sogno e dell’istinto), esprime a pieno questo concetto nella sua arte. Attraverso essa, Dalí desidera dichiarare come l’inconscio sia presente nella vita quotidiana. Ferreo sostenitore delle teorie di Sigmund Freud, il pittore pone particolare attenzione al sogno: la via per accedere all'inconscio. Nel tocco artistico di Dalì è evidente il suo desiderio di evadere da una realtà banale e conformista.

Ad un primo sguardo, il "Ritratto di Picasso"  pare composto da elementi alienanti, quasi come fossero un'accozzaglia di oggetti volti a formare un intero. Sopra il capo è disegnato un insieme di pietre e massi, non direttamente poggiati sulla sua testa, che potrebbero essere interpretati come una corona, dato che sappiamo che, nonostante la complessa relazione tra questi due grandi artisti, Dalì e Picasso godevano di reciproca stima. Picasso in questo ritratto presenta l'attributo di un seno femminile, elemento che, nel linguaggio di Dalì, rappresenta l'antipatia che l'artista prova verso il soggetto.  Scorrendo lungo il seno troviamo un fiore, forse segno della vita che rinasce, della speranza  o della fertilità. La forma dei capelli ricorda un serpente, e questo forse può essere riconducibile alla simbologia di Medusa, figura mitologica greca con il potere di pietrificare chiunque incroci il suo sguardo. Questo serpente penetra nella testa del personaggio, guardando fuori dalla sua bocca, questo potrebbe stare a significare che le parole di Picasso, ciò che ha sempre cercato di comunicare (magari anche attraverso la sua arte) è sempre stato frutto di un elaborato processo di ragionamento, oppure potrebbe significare che il gesto artistico parte prima di tutto dal cervello. Se osserviamo questa caratteristica con un occhio freudiano, invece, essa potrebbe essere il Super-Io, ovvero la coscienza morale, con i modelli ideali di comportamento, che quindi guida attraverso l'inconscio la parte cosciente in grado di comunicare. L'estremità del serpente diventa un cucchiaio su cui giace un minuscolo mandolino; sulla base del busto, invece, si trova un fiore rosso. Mandolino e fiore potrebbero essere essi stessi simboli dell'arte, il mandolino come strumento capace di creare arte (musica), il fiore come fonte di ispirazione. Insomma, quest'opera lascia grande spazio all'immaginazione e all'interpretazione di ognuno, e in questa libertà risiede l' "incremento di essere" della filosofia di Gadamer: quando interpretiamo un quadro, diventiamo artisti, in grado di attribuire e creare innumerevoli significati ad ogni caratteristica di un'opera d'arte, permettendo ad essa di non morire mai. Sia Picasso che Dalì erano personalità forti, con il gusto dello scandalo, che rivoluzionarono l'arte: forse è proprio questa comune caratteristica che Dalì ha voluto evidenziare ritraendo in modo così eccentrico Pablo Picasso.

Asia Russo, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Singolarità (1936)


Il quadro ‘Singolarità’ del 1936 probabilmente a prima vista ci trasmette poco, quindi in che modo andrebbe interpretato? Noi non seguiremo il modo giusto ma quello che potremmo intuire entrandoci in relazione, nella concezione di Gadamer, e vedere quale sia la nostra versione. Intanto proviamo a capire dove ci troviamo e come è suddiviso il quadro. Si potrebbe suddividere in tre parti principali: la costruzione rossa sulla sinistra, i personaggi e i mobili in primo piano e la scena che si svolge sullo sfondo. Come potremmo collocarci in uno spazio o in un tempo? Intanto l’orologio molle sulla destra, uno dei simboli di Dalì, e il cielo stellato ci suggeriscono una realtà temporale distorta probabilmente un sogno. Questa parola ci riporta ad uno di coloro che Dalì considera padre della sua pittura: Freud. Prendendo per vera questa ipotesi possiamo aiutarci con alcuni riferimenti alla sua metodologia psicoanalitica. Partiamo dalla scena in primo piano dove troviamo un simil-divano rosso, con due sagome, e davanti ad esso vediamo solo, sulla destra, una figura femminile con vari elementi naturali mentre, sulla sinistra, quello che rimane di una pianta appassita. Già dalla formica sull’orologio molle, simbolo in Dalì di declino e istinto sessuale, possiamo intuire che la donna sia Gala, moglie dell’artista e sua musa, che presenta piante e fiori rigogliosi probabilmente simbolo della sua florida attività sessuale extraconiugale. A questo punto non possiamo che teorizzare che il tronco marrone sia il pittore e sua sessualità morente, rispecchiando un matrimonio quasi totalmente privo di rapporti fisici. Quindi in primo piano ci resta soltanto un piccolo puf rosso vuoto che potrebbe alludere alla mancanza di un figlio. La seconda sezione sullo sfondo invece ci presenta una montagna, simbolo di una personalità incombente, con due fori uno inferiore, dall’idea freudiana di simbologia femminile, e uno superiore che assomiglia ad un triangolo, ricordo dell’infanzia di Dalì che metteva del pane triangolare in testa quando era bambino e che riproporrà in più opere. Realizziamo che questa potrebbe simboleggiare la madre solo vedendo una figura adulta e un bambino ai suoi piedi, il pittore e il padre. Notiamo anche il bambino indicare il pianoforte simbolo di peso e cassa, forse la cassa da morto del fratello.  La terza sezione sulla sinistra invece rappresenta una struttura rossa, dove riappare il triangolo, sormontata da tre busti: il primo con un cassetto, rappresentazione di segreti e pulsioni nascoste ormai venute a galla, la seconda con un orologio, NON fuso, che potrebbe indicare la realtà e la terza con un’espressione atroce e un pane in testa, a suggerire il rimando ad un’infanzia traumatica. Questi elementi ci portano a giudicare i peli bianchi, come purezza di istinto infantile, chiusi da una zip a rappresentare (forse) una famiglia rigida e repressiva. Altra simbologia connessa alla casa paterna è la sedia che se ne sta fuori come a simboleggiare un’uscita dalla famiglia, pur rimandone legata, che potrebbe indicare il fratello, di cui gli è stato fatto credere di essere la reincarnazione. Inoltre la luce puntata verso l’alto sembra indicare l’ascesa verso il cielo. Seguendo questa riflessione sull’opera possiamo dire di aver fuso le nostre idee con quelle dell’autore dandogli nuovi significati e lasciando qualcosa di noi al suo interno.
Sara Menchini, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Bambino geopolitico guarda la nascita dell'uomo nuovo (1943)


Dato che Dalì compose questo dipinto durante il suo soggiorno in America (1940-1948), in cui era sbarcato per sfuggire al regime totalitario di Francisco Franco, sia il titolo che l’aspetto estetico possono ricondursi a tale soggiorno. Egli rappresenta sé stesso, attraverso un uomo di cui non è visibile il volto, rinchiuso all’interno di un enorme uovo su cui sono rappresentati i continenti , il quale, come cadendo  giù dal cielo (forse come una bomba in guerra) avesse subito un impatto tale da schiudersi parzialmente e strappare l’involucro di stoffa che lo conteneva, il quale si è scisso a sua volta in una parte per terra e un’altra parte in aria come se fosse tenuto da qualcosa (forse semplicemente l’aria o addirittura la mano di Dio).
L’uomo non riesce a schiudere del tutto tale contenitore, e ne resta ancora imprigionato nonostante continui a dimenarsi (dettaglio evidenziato dalla deformazione dell’uovo a sinistra), come a indicare la nostalgia di casa dell’autore, ma in opposizione alla consapevolezza di non potervi fare ritorno fino alla fine della guerra, i cui effetti sembrano resi noti dall’ambiente desertico simile a quello di un paese povero dell’Africa o del medio-oriente, dati i monumenti e le poche figure che appaiono.
Tra le figure che si possono notare di più, vi sono un nativo del luogo (presumibilmente un indigeno) di sesso non definibile (dati i genitali coperti dalla foglia), senza indumenti e dall’aspetto scheletrico e trascurato, il quale indica con un dito il fenomeno sovrannaturale, mentre stretto alle sue gambe, alla ricerca di protezione, appare suo figlio, un bambino impaurito e confuso da tale avvenimento.
L’Ambiente, come nella gran parte dei dipinti di Dalì, viene reso  più “alieno”, ossia più estraneo possibile all’osservatore, come a indicare il mondo dei sogni, in cui veniamo trasportati nostro malgrado in ambienti, talvolta, indefiniti  e infinitamente vasti.
Questa esperienza che Dalì ha vissuto potrebbe definirsi appunto come una rinascita, vista dalla prospettiva dell’autore raffigurato all’interno dell’uovo, come a indicare letteralmente la nascita del nuovo uomo nel Nuovo Mondo (termine originariamente usato per riferirsi all’America in cui tra l’altro si è stanziato), ma anche rispetto al resto dell’umanità tenendo conto dell’effetto globale della Seconda guerra mondiale che ha cambiato la vita di tutti i giorni.
Nel complesso questo quadro rappresenta un’allegoria, se non addirittura una parodia, di tale conflitto: la prima spaccatura viene fatta dal braccio dell’uomo, che fuoriesce da dove è raffigurata l’America del nord, la quale però esercita pressione sull’Europa, schiacciandola  e dando più risalto all’America del Sud (resa esteticamente più grande come segno della crescente importanza del terzo mondo rispetto alle precedenti potenze) evocando anche il ruolo degli Stati Uniti, secondo lui provvidenziale e necessario per determinare la fine Seconda guerra mondiale.
Per la costituzione di questo quadro potrebbe essere determinante l’influenza delle teorie psicanalitiche di Freud, oltre a quelle riguardanti le visioni oniriche, che vengono rappresentate in molte delle altre sue opere, in quanto carattere principale dello stile surrealista.
In questo caso si potrebbero evidenziare alcune caratteristiche del trauma della nascita, comune per tutti, ma sempre rimosso nel nostro subconscio: prima di nascere i bambini sono tranquilli, in costante fase di nutrimento e senza pensieri o problemi di alcun tipo, ma quando escono provano la sofferenza data dalla durezza della vita e del mondo che li circonda; allo stesso modo Dalì potrebbe aver raffigurato la sua volontà di tornare a casa, ma anche quella di sfuggire agli orrori della guerra, i cui effetti devastanti, come detto in precedenza, potrebbero essere evocati dall’ambiente desertico e ostile al di fuori dell’uovo, in cui è costretto a rimanere parzialmente rinchiuso.
L'opera inoltre potrebbe raffigurare il continuo sviluppo dell’uomo, e quindi la continua rinascita dell’uomo moderno, quello bianco appartenente alle terre più modernizzate, in continuo contrasto con l’uomo delle terre d’origine, quello di colore appartenente alle zone equatoriali .
Partendo dallo specifico Freud ritiene che l’uomo dalla nascita sia dominato dal complesso edipico (o di Elettra per le donne), ossia dalla tendenza a sopraffare il proprio genitore dello stesso sesso, con un sentimento di odio, per potersi tenere quello di sesso opposto; ma in questo caso l'ostilità edipica si ha da parte dell'uomo occidentale verso ciò che rimane dei propri progenitori, provenienti dall’Africa, la culla dell’umanità, per ottenere il predominio sul mondo. 
 Eugenio Cerri, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Gradiva (1931)



Gradiva significa “Donna che cammina”.  Per la prima volta venne realizzata sotto forma di bassorilievo, tra il secondo secolo A.C. e il secondo secolo D.C., adesso situato nei musei vaticani. Questo bassorilievo, in un libro scritto da Wilhelm Jensen nel 1903, colpisce un archeologo a tal punto da apparire con regolarità nei suoi sogni.

Il libro fornì molti spunti a Sigmund Freud per la sua analisi psicoanalitica, spingendolo ad affrontare i temi del rapporto tra sogno e delirio, e dei sogni “non sognati, ma inventati da poeti”.

Questi elementi, soprattutto quelli deliranti sono molto presenti nella pittura surrealista,
e un altro ad interpretare questo tema fu Salvador Dalì. La figura protagonista, a differenza del bassorilievo, non sta propriamente camminando, bensì pare che si stia lentamente alzandosi da quello che sembra in tronco di un albero, e che divide in due parti il dipinto, quella sinistra, colma di luce e colori, e quella destra, scura, indefinita, quasi tetra se vogliamo. La Gradiva rappresentata potrebbe essere Gala, la donna conosciuta due anni prima della realizzazione dell’opera e con la quale conviveva da un anno. Durante quel periodo, Dalì venne cacciato di casa dal padre, e il loro rapporto si incrinò rovinosamente. Il padre non approvava la sua sempre maggiore vicinanza al movimento surrealista, e soprattutto la relazione con Gala.
Potrebbe venire da pensare che la donna, nuda con solo il mare a coprirla, si stia lentamente muovendo dal tronco verso la zona luminosa, e questo possa essere un’allegoria della vita dell’autore, che tramite l’incontro con la sua amata, si muove da un passato che ormai da molto tempo non lo aggradava verso un futuro, che almeno nei pensieri dell’autore sarà roseo e felice, come in una sorta di sogno che forse non è mai stato sognato, ma inventato dall’autore.
La “donna che cammina” passa da essere un soggetto anonimo ad essere una donna ben precisa, che non solo camminerà, ma accompagnerà l’autore per il resto della sua vita 
Samuele Nucci, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Ritratto di una femmina passionale, le mani (1945)



Dalì si accosta a diverse correnti e movimenti artistici per l’intero arco della sua vita ma, sicuramente, l’influenza più grande fu quella del Surrealismo. Durante questo periodo basa molte sue opere sul metodo “paranoico-critico” che consiste nell’esplorare il subconscio per raggiungere un maggiore livello di creatività. Dal surrealismo riprende anche il concetto di fondere il mondo del conscio con quello dell’inconscio: incontro reso spesso possibile dalla figura di sua moglie Gala. 
L’intera opera risulta nel suo complesso ordinata e positiva, concetti sottolineati dalla presenza di colori chiari e un asse passante tra le due mani. Esse, elementi principali dell’intero dipinto, sono di proporzioni smisurate per rimarcarne l’importanza.
Le mani, che si suppone siano della moglie, Dalì decide di rappresentarle leggiadre e sensuali, ma comunque segnate dal tempo. Esse, sfiorandosi, formano una specie di arco che racchiude quasi tutti gli elementi sottostanti, come un portale che rimanda ai ricordi vissuti dall’artista. Il paesaggio è l’unico punto d’incontro con il mondo reale ma anch’esso è movimentato da sagome più simili a immagini evanescenti che ad elementi veri e propri.  Le unghie laccate di rosso, chiaro simbolo di passionalità, aggraziano ulteriormente le mani, rappresentazione della femminilità e inno dello stesso artista all’ammirazione per l’amata. Sono presenti, inoltre, stampelle a sostegno della mano e delle dita. Esse sono un evidente simbolo di bisogno di sostegno: la fragilità delle passioni nel tempo ha bisogno di un supporto che spesso si cerca di nascondere attraverso l’eleganza e la frivolezza dell’esteriorità. I polsi sono entrambi ornati con gioielli color oro che richiamano, anch’essi, al concetto di eleganza ma, su quello di sinistra, è presente qualcosa di molto più significativo: la riproduzione di orologi molli è molto frequente nelle opere di Dalì che, con essi, tende a richiamare il concetto di tempo come qualcosa di soggettivo e non rigido. Il fatto che l’orologio venga rappresentato molle, sottolinea che la sua funzione perde di ogni significato, come se le figure bianche fossero intrappolate in un tempo al di fuori di quello scandito nella realtà ma presente solo nella percezione umana: quella del ricordo.
È inoltre presente una formica, altro simbolo utilizzato molteplici volte nei suoi quadri, che incarna sia l’irrefrenabile desiderio sessuale, che si lega immediatamente alle mani, ma anche la morte e il declino umano basato sulla temporaneità. La morte è un concetto che accompagna la vita di Dalì fin dall’infanzia, per colpa di un trauma legato alla morte del fratello prima della sua effettiva nascita. Ma essa, forse, è intrinseca nella sua mente anche per un altro motivo: essendo Gala undici anni più grande, probabilmente, l’inconscio dell’artista vive nella continua paura di perdere ciò che lui definiva quasi un’ossessione: la sua compagna e musa.
L’intero quadro è quindi la raffigurazione sia della paura sia della presa di coscienza dell’artista di perdere le passioni e i momenti passati, non riuscendo a bloccarli all’interno del tempo.
Sara Candida De Matteo, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile (1936)


Per analizzare l'opera penso sia utile partire dalla descrizione che Dalì stesso diede del proprio quadro: ''Nel quadro rappresentai un enorme corpo umano che irrompeva all'esterno con numerose escrescenze di braccia e gambe che si laceravano in un delirio di autostrangolamento''. A partire da questa definizione si è formata l'interpretazione più accreditata: Dalì in questa opera, mostrando due parti separate dello stesso corpo in un conflitto mortale, sta parlando della Spagna, nella quale, a causa guerra civile che darà origine alla dittatura di Francisco Franco, persone dello stesso paese intraprenderanno una guerra fratricida. Indubbiamente questa interpretazione è fondata ma penso che dall'opera e dalle parole del poliedrico surrealista sia possibile dare una diversa interpretazione: penso che l'opera rappresenti un conflitto interiore, quel conflitto continuo presente nell' uomo fra forze opposte dello stesso sistema, quello fra Super-Io ed Es. Sotto la superficie del conscio di ognuno di noi, i nostri impulsi atavici sfidano le proibizioni morali in un continuo duello segreto dove sta all'Io fare da arbitro. Nel quadro  credo siano presenti tutti e tre gli aspetti della topica di Freud: l' Es è la composizione superiore, fatta da un seno e da un viso, del quale è difficile capire l'espressione; è un momento di dolore o di piacere? Il Super-Io più in basso che si trasforma in radice cercando di impedire una sorta di fuga dell'Es. Volendo possiamo identificare l'Io nel piccolo uomo in basso a sinistra, di forma più realistica ed umana; essendo la parte più definita ed ordinata della nostra psiche. Penso che questo tipo di interpretazione possa essere tanto interessante quanto quello più comune perché ci dà una particolare interpretazione del personaggio di Dalì. Io credo che il conflitto nel quadro  sia un conflitto particolarmente presente nell'autore e che questo conflitto sia l'origine della singolare personalità di Dalì. Per capire l'origine del conflitto bisogna andare, come  Freud insegna, nell'infanzia. Salvador è nato nove mesi  dopo  la morte del fratello, anch'esso chiamato Salvador. Dalì stesso dirà ''Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti''. I  genitori gli  fecero credere di essere una reincarnazione imperfetta del fratello morto; credo  che questo avvenimento, insieme all'atteggiamento fortemente severo e moralista del padre ( il cui influsso è stato sicuramente più forte dopo la dipartita della madre) ha radicato nell'artista l'idea di essere inadeguato, incapace. La paura che questa idea  sia vera, ha spinto Dalì a fuggire da essa. Ha quindi creato una Persona (prendo in prestito il termine Junghiano) che, abbracciando l'Es, si sottrae dai canoni morali e sociali che sono visti come un possibile pericolo. In conclusione,  è possibile, leggere l'opera come una rappresentazione del conflitto, presente nell'autore, fra un Super-Io ossessivo e un Es che cerca di compensare con gesti eccentrici e anticonvenzionali.
Mauro Giannecchini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile (1936)




Questa composizione fu completata dall’artista spagnolo Salvator Dalì pochi mesi prima dello scoppio della rivoluzione spagnola, e si propone di essere un grottesco, rivoltante ma interessante miscuglio di parti umane che cercano di combattersi a vicenda come previsione della guerra che coinvolse i cittadini spagnoli. La cruenta scena è stata gentilmente addolcita dall’autore con l’inserimento di qualche fagiolo bollito buttato qua e là.

Dalì fu uno dei maggiori esponenti del Surrealismo, movimento artistico dedito a liberare il potere creativo della mente inconscia, grazie all’utilizzo di strane immagini prive di un apparente senso logico tipico dei sogni.
L’artista non si trattiene dunque a rappresentare, anche in maniera esplicita, le proprie pulsioni e perversioni sessuali: una delle due figure che afferra con violenza la tetta dell’altra, il fondoschiena della figura in basso sorretto da un piede scheletrico, la presenza di una grande figura moscia e rossa appoggiata sulla figura in basso che potrebbe ricordare una lingua o un fallo, senza tener conto della quantità di fagioli bolliti sparsi in giro.
Spicca però nella parte bassa del quadro una cassettiera che sorregge una delle due figure: si tratta di un’influenza diretta da parte del simbolismo appartenente alla teoria psicanalitica di Freud, secondo la quale i cassetti rappresentano i desideri nascosti e la sensualità segreta delle donne, che solo la psicanalisi è in grado di aprire.
Notiamo inoltre che uno dei due cassetti è leggermente aperto, non si tratta di un dettaglio lasciato al caso, bensì di un messaggio da parte di Dalì: i segreti che esso contiene, grazie alla psicanalisi, sono conosciuti e non c’è più bisogno di temerli.
Giulio Gargani, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Televisioni - Comunicazione. Le sette arti viventi  (1957)



Ho fatto fatica a trovare un punto d’incontro tra il vissuto dell’autore cioè di Salvador Dalì e il mio vissuto per andare incontro ad una fusione dei nostri orizzonti, ampliando la mia visione del mondo e allo stesso tempo riuscendo a conoscere in maniera più profonda me stessa. Ma prima di giungere a questo punto di arrivo, ho cercato di individuare il contenuto manifesto ovvero come si presenta l’opera ai miei occhi e il cosiddetto “contenuto latente” di cui parla Freud dato che le opere di Dalì proiettano delle visioni oniriche  sfruttate dall’ inconscio  per comunicare un desiderio dell’individuo nascosto, di cui si vergogna o di qualcosa che non riesce ad accettare e che è stato rimosso dalla sua  psiche. L’opera è stata realizzata nel 1936, anno in cui Dalì si trovava all’esposizione surrealista di Londra, dove secondo alcune fonti incontrò il suo amico e cliente Edward James che divulgò le sue opere in tutto il mondo occidentale.


Osservando lo sfondo, vediamo delle giraffe che bruciano inserite in un ambiente cupo, grigio che non ricorda l’habitat naturale in cui vivono questi animali e questa caratteristica va ad amplificare ancora di più il concetto di sogno poiché ci troviamo in un ambiente inusuale e bizzarro. Questi soggetti sono molto frequenti nelle opere dell’autore basta guardare il quadro “giraffa infuocata”, dove la figura della giraffa richiama il periodo della guerra civile spagnola dato che anche se l’artista non si trova in Spagna nel momento in cui realizza queste sue opere, tale situazione lo tocca personalmente e con queste tele trasmette il suo disagio e la sua angoscia che prova per un evento di così grande interesse e timore per lui.
In primo piano vi è sulla destra una strana figura, una specie di cyborg che al posto della testa possiede un occhio; il busto è in legno e ricorda la struttura che rappresenta la base della cornetta di un tipico telefono degli anni 30 e la parte inferiore è costituita da gambe umane caratterizzate da un colore scuro sfumato tra il nero e il verde. Le lunghe ciglia del “monocchio” alla fine delle quali si trovano dei telefoni, si attorcigliano attorno ad una donna coperta da un velo solo nella parte inferiore. Questo quadro evoca il caos, la confusione delle comunicazioni, nella società e nella vita di tutti i giorni.
Sul busto di legno dell’uomo robotizzato, notiamo un cassetto semiaperto e da un punto di vista psicoanalitico potremmo pensare che è lì dentro che sono contenuti i nostri segreti, i tabù e le nostre paranoie e l’artista come un ladro ha il compito di rubarne il contenuto e di scoprire qual è la vera essenza dell’uomo. Il cassetto come vediamo è aperto e sembra quasi che l’artista stesso voglia mostrarci, tirare fuori  i suoi pensieri e i suoi sogni che  in questo caso potrebbero essere erotici,  legati quindi alla sessualità femminile. Il grande occhio, che rappresenta Dalì ma anche qualunque altro uomo, osserva con molta attenzione e cura una donna, semi nuda che non assomiglia per nulla a Gala, sua moglie, che era stata per lui una musa ispiratrice fin dal primo momento che l’aveva vista  ma allude forse alla femminilità in generale o al ricordo di una delle sue vecchie amanti e se fosse davvero così tale pensiero sarebbe proibito visto che era un uomo sposato e potrebbe essere per questo che è contenuto all’interno del cassetto ed è mostrato come contenuto latente di un sogno.
Purtroppo non sono riuscita a trovare dei significati e delle visioni specifiche, ma ho cercato di basarmi sul maggior numero di notizie che ho trovato di altre opere allegando delle mie visioni personali, cercando di completare il procedimento interpretativo di cui parlava il filosofo Gadamer.
L’occhio potrebbe alludere ad un simbolo fallico dato che da esso fuoriesce un liquido chiaro (sperma) che va a colpire la donna che è imprigionata dalle ciglia dell’autore come se il soggetto che la guarda non volesse smettere di farlo, come se fosse una fissazione, una mania di cui non riesce a liberarsi.
 Le cornette in fondo alle ciglia potrebbero rappresentare la comunicazione o più in senso generale  lo sviluppo  della tecnologia che controlla e manovra  non solo la donna del quadro ma tutto il genere umano, come se Dalì volesse fare una previsione per il futuro, spingendoci a riflettere sul fatto che l’uomo ha creato macchinari sempre più potenti e che prima o poi questi ultimi prenderanno il sopravvento senza che noi riusciremo più a manovrare la situazione che forse sarà  ancora peggiore della guerra tra gli uomini (che vediamo rappresentata nello sfondo come se l’avesse fatto volontariamente per conferirle una “minore” importanza rispetto a ciò che vediamo in primo piano); perché non ci sarà nessun vincitore tra gli esseri umani e sarà una guerra senza una fine.
Non ho potuto fare a meno di notare che la donna di questa opera mi ricorda molto quella del “Progress americano” di John Grast che è una rappresentazione allegorica del Destino manifesto il quale rappresenta la convinzione che gli stati uniti d’America abbiano la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e di democrazia. Questa opera risale al 1872 ed è come se Dalì avesse riutilizzato questo soggetto molti anni dopo per rappresentarne l’evoluzione e la degradazione di questa visione, ora la donna non ha più un aspetto angelico, la tunica le scende dal corpo e si trova imprigionata e bloccata senza che ella possa continuare il suo cammino, ma ciò verso cui va incontro può essere solo caos, distruzione e una profonda decadenza universale
Caterina Cerri, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



La metamorfosi di Narciso (1937)



La metamorfosi di Narciso è un dipinto realizzato tra il 1936 ed il 1937 da Salvador Dalì, il quale, dopo il suo viaggio di Italia, si appassionò alla mitologia e all’arte classica. Esso è il primo quadro in cui utilizza del tutto il suo metodo “critico-paranoico”, che consiste nel dipingere delle scene che derivano dall’incomprensibile agitarsi del suo inconscio, che si traduce in un momento di follia e paranoia, dal quale però riesce a far emergere dei contenuti razionali e sensati. In questo caso Dalì cerca di dare una propria interpretazione a un tema che già è stato affrontato diverse volte nella storia dell’arte e della letteratura: il narcisismo.


Nel dipinto l’artista descrive la trasformazione di Narciso da sinistra verso destra: la figura a sinistra ci viene presentata con colori vivi, che stanno a evidenziare la bellezza del giovane, il quale si trova in una posizione fetale, come se il soggetto rimpiangesse quella solitudine protetta in cui si era trovato prima di nascere. Inoltre essa assomiglia in maniera particolare ad una roccia, poiché, secondo il mito, Narciso dopo essersi specchiato sarebbe morto fossilizzandosi. In basso si può vedere il suo riflesso nell’acqua, quello di cui si innamorerà. La conclusione di questo “amore impossibile” tuttavia è preannunciata dall’altra figura dominante sulla destra, in cui Narciso assume le sembianze di una mano che stringe un uovo dal quale nasce il fiore a lui omonimo. Da notare le figure presenti sullo sfondo, che l’artista sembra voler inserire per la sua nuova passione per l’arte classica, in particolare è rilevante quella della statua sul piedistallo, raffigurante probabilmente lo stesso Narciso.
A primo impatto si può osservare subito che le due figure presentano una certa somiglianza dal punto di vista estetico, ma se si analizza meglio l’opera si può vedere che c’è anche dell'altro; Dalì infatti, come in molte altre sue opere, sceglie di inserire l’uovo, che per lui è simbolo di speranza, amore e protezione, e per questo in riferimento alla figura a sinistra, l’uovo si identificherebbe come l’embrione da cui rinasce la nuova forma di Narciso, ovvero un fiore.
Tuttavia per sottolineare la conclusione della vita di Narciso prima della sua rinascita in un’altra forma, Dalì inserisce le formiche sulla mano; esse sono simbolo di morte e di declino, di qualcosa di mostruoso e alieno che l’uomo non può conoscere in maniera profonda . Come rafforzativo dell’idea della vita che viene distrutta, sulla destra raffigura un animale, che assomiglia ad un lupo, che divora una carogna. L’interpretazione che lui dà alle formiche non è a caso ma presenta un carattere psicanalitico, poiché sembra l’artista sembra aver avuto una sorta di “trauma infantile”:  all’età di cinque anni rimase sconvolto nel vedere una torma di formiche divorare un insetto di cui rimase solamente il guscio.
Per quanto concerne l’ambiente, Dalì, come fa nella maggior parte dei suoi quadri inserisce luoghi sconosciuti, innaturali, alieni, che non si possono trovare nel mondo esterno. Sembra quasi che egli abbia dipinto su tela la rappresentazione di un sogno, in cui apparentemente niente ha un senso (anche se si sa che non è così).
Tuttavia l’artista probabilmente ha voluto in qualche modo dare una rappresentazione di sé stesso attraverso il personaggio mitologico di Narciso: basta pensare al fatto che egli per tutta la sua vita ha sempre amato stare al centro dell’attenzione, non adeguandosi mai ai pensieri degli altri e quindi mostrandosi anticonformista, sempre in cerca di temi ed elementi innovativi che potessero elevare la sua arte per renderla la più bella. Ciò si vede bene dalla sua esperienza all’interno del gruppo dei surrealisti, con cui Dalì non condivideva molte cose, in particolare le loro posizioni politiche di sinistra, e fu per questo che venne cacciato. Dalì aveva una personalità stravagante ed eccentrica e cominciò a riflettersi nei suoi dipinti, cercando continuamente consenso; aveva bisogno degli ammiratori, della stampa, della televisione. Una celebre frase sottolinea questo aspetto della sua personalità: “Ogni mattina, al risveglio, provo un piacere supremo, il piacere di essere Salvador Dalì.” Inoltre Narciso non ha mai amato nessuno se non sé stesso, rimanendo sempre nella solitudine. In un certo senso Dalì gli assomiglia anche per questo aspetto: infatti in termine freudiani si può dire che l’artista ha avuto delle esperienze che hanno fatto sì che si potesse fidarsi di poche persone, sentendosi spesso solo. Probabilmente alcune di queste sono rappresentate dal fatto che la madre morì quando Dalì era piccolo, il quale per il resto della sua vita non ebbe mai un buon rapporto con il padre. Anche a Narciso mancava la figura paterna, tant’è vero che è sua madre che ha sempre cercato di proteggerlo.
Il dipinto potrebbe anche essere una stessa critica alla società, che diventa sempre più narcisistica in cui ognuno pensa solamente a sé stesso e non agli altri: in questo caso ciò si può vedere non solo dalla figura di Narciso ma anche dal resto delle persone che non si degnano neanche di andare a vedere cosa stia succedendo al giovane.
Tuttavia non è da negare che nel dipinto si trova anche una forte componente sessuale: la mano potrebbe essere simbolo della masturbazione, idea che è data anche dalla presenza delle formiche, che oltre alla morte, per l’artista sono simbolo di un irrefrenabile desiderio sessuale (poiché nel divorare le loro prede, esse non sembrano mai essere sazie). L’elemento sessuale si può vedere anche dalle figure nude sullo sfondo. Dalì ama esprimere liberamente la sua idea di sessualità all’interno delle sue opere. Tale punto di vista è inoltre perfettamente associabile al personaggio stesso di Narciso, poiché secondo il mito, tutti gli uomini e donne provavano nei suoi confronti dei desideri sessuali, anche se, come già detto precedentemente, il giovane non li ricambiava poiché li provava solamente per sé stesso. 
Un’altra interpretazione che non è da escludere potrebbe legarsi al fratello, che Dalì purtroppo non conobbe mai: fin da quando era piccolo, l’artista è stato convinto di essere la reincarnazione di quest’ultimo, il quale per motivi di salute era morto qualche anno prima della sua nascita. Egli quindi per tutta la sua vita si è sempre sentito il peso di dover rivestire un ruolo importante non solo per la sua famiglia, ma per il mondo stesso che gli aveva fatto il dono della vita. Probabilmente è anche per questo che fin da piccolo inizia a disegnare, cercando di dimostrare il suo valore e utilizzando l’arte come uno sfogo per i suoi sentimenti: l’arte in questo contesto non è più una manifestazione delle cose presenti nel mondo esterno, ma uno strumento per esprimere le esperienze e i ricordi che sono seppelliti nell’inconscio, non rappresentabili a parole. In sintesi, facendo riferimento al dipinto, probabilmente Dalì si sente come quel fiore di Narciso appena sbocciato, pronto per affrontare una nuova vita, diversa da colui che lo ha preceduto.
Costanza Cerri, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



La metamorfosi di Narciso (1937)


Nel 1937 Salvador Dalì dipinge “Metamorfosi di Narciso” una delle sue opere più famose realizzata con il suo tipico stile critico-paranoico.
Il soggetto del dipinto ritrae Narciso nei suoi ultimi momenti di vita, infatti nella parte sinistra il corpo si vede ancora in modo molto delineato mentre nella destra appare completamente trasformato in questa mano che maneggia un uovo dal quale sboccia un Narciso. Ma qual è il significato che l’autore ha voluto dare all’opera e con quale intento?
Sicuramente l’intento è quello di portare l’osservatore a porsi delle domande e poi tramite l’introspezione darsi anche delle risposte infatti soffermandosi un secondo a ragionare emerge che Narciso ha sostanzialmente sconfitto la morte poiché rinasce sotto forma di fiore dall’uovo  (simbolo della nascita).
L’idea principale da cogliere è che una volta morti tutti rinasceremo come fiori e quindi non serve avere timore nel domani ma vivere l’oggi; questo quadro, anche se dai colori molto cupi, è un inno alla speranza e al non arrendersi mai e questo fiore che appena nato deve lottare per la sopravvivenza (infatti si trova nel deserto) ne è la chiara testimonianza.
Inoltre ci sono anche altri riferimenti alcuni sessuali come le formiche simbolo sia di morte che di irrefrenabile desiderio sessuale (animale molto azzeccato per Narciso che per raggiungere il suo riflesso nell’acqua perde la vita), oppure la mano stessa simbolo dell’ autoerotismo mentre altri sempre collegati all’idea della morte come il cane che si divora una carcassa .
Christian Secchi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


L'invenzione dei mostri (1937)


Inventions of the monster è un un quadro di Salvador Dalì realizzato nel 1937 nel momento in cui esso si trovava nella località montana di  Semmering in Austria alla vigilia dell’Anschluss , annessione dell’Austria alla Germania nazista.  Inoltre nello stesso periodo impazzava la guerra civile in Spagna (nel 1937 verrà bombardata Guernica), tutti questi avvenimenti ebbero un ruolo cruciale sulla psiche e sull’umore di Dalì il quale perse il senso di sicurezza e stabilità; nel quadro infatti notiamo come la terra sia diventata motivo di angoscia e come il pittore quasi profetizzi l’arrivo della Seconda guerra mondiale .
In primo piano (in basso a sinistra) viene mostrata una situazione di certezza simboleggiata dalla  inevitabilità della morte, che è simboleggiata dalla farfalla e dalla clessidra, e dalle sicurezze familiari e infantili simboleggiate rispettivamente dalla presenza di Dalì e sua moglie Dala e dalla presenza di un uovo retto da una mano (che simboleggia per Dalì la situazione intrauterina e quindi di sicurezza e protezione).
Proseguendo nell’analisi in secondo piano vengono mostrati i primi mostri, al centro, l’angelo-gatto che simboleggia il mostro eterosessuale divino e la donna-cavallo con le sue simili (in alto a destra) che simboleggiano i mostri dei fiumi; più in alto a destra viene mostrata una giraffa in fiamme, figura cara a Dalì, che simboleggia il mostro apocalittico maschile il quale si trova davanti a delle montagne fumanti ed incandescenti; la posizione nella composizione data a quest’ultimi due elementi deve essere letta come una profezia, come se il pittore sentisse l’arrivo della guerra in un mondo ormai privo di sicurezza in cui i mostri appunto si materializzano ovunque.
Giacomo Braglia, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Cigni che riflettono elefanti (1937)


“Il fatto che neppure io, mentre dipingo, capisca il significato dei miei quadri, non vuol dire ch’essi non ne abbiano alcuno: anzi, il loro significato è così profondo, complesso, coerente, involontario da sfuggire alla semplice analisi dell’intuizione logica”. Con questa frase Dalì riassume in poche parole il senso del suo metodo paranoico-critico. Con questa tecnica, che usa dall’inizio degli anni 30, le scelte di Dalì, infatti, sono dettate principalmente sul suo inconscio. Anche il quadro che mi è stato assegnato, “Cigni che riflettono elefanti” del 1937, è stato dipinto con questa tecnica, dunque inserendo elementi del proprio inconscio all’interno del dipinto. Sono diversi i temi che si possono affrontare, a partire dal riflesso degli elefanti; quello dell’elefante è un simbolo che si presenta più volte nelle opere di Dalì. L’elefante, che rappresenta con la proboscide anche un noto simbolo fallico, grazie all’incongrua associazione tra le zampe sottili e fragili e la goffaggine e la grandezza dell’animale stesso crea un senso di irrealtà. Se ci soffermiamo proprio sul riflesso, e sul fatto che il riflesso dei tre cigni e degli alberi spogli dia sul lago l’immagine di tre elefanti, possiamo fare una considerazione generale, ovvero che non sempre ciò che vediamo corrisponde alla realtà, ma possiamo anche trovare riferimenti della vita dell’artista, in particolare della sua infanzia; Dalì non conobbe mai suo fratello, morto di meningite 9 mesi prima della nascita del pittore, e all’età di 5 anni, quando i genitori lo portarono per la prima volta sulla tomba del fratello, i genitori stessi gli fecero credere di essere la sua reincarnazione. Dalì si convinse di ciò e da qui partirono i suoi deliri. In relazione a ciò mi sento di dire che probabilmente, essendosi convinto di essere la reincarnazione del fratello, Dalì, potrebbe aver rappresentato il cigno e il suo riflesso, come lui stesso (nel dipinto il cigno) che dall’esterno si vede in maniera diversa (nel dipinto il riflesso dell’elefante) ovvero come la reincarnazione del fratello. Oppure, interpretandola in maniera totalmente differente, si potrebbe pensare che Dalì cerca di riflettere, evidentemente non riuscendoci, l’immagine e il comportamento del fratello. Inoltre, del fratello Dalì disse: "Ci somigliavamo come due gocce d'acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi. Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti". A mio parere, in questo caso, si può notare facilmente la relazione tra la frase pronunciata da Dalì e il quadro, in quanto come in “Cigni che riflettono elefanti” l’attenzione dello spettatore è focalizzata sul riflesso “falso e ingannevole” dei cigni sul lago, anche quello dei due fratelli, a detta di Dalì uguali in tutto e per tutto, si può considerare ingannevole. Sempre in relazione alla reincarnazione del fratello di Dalì in Dalì stesso, e dunque in relazione al dualismo dell’artista, si può notare come l’uomo raffigurato sulla sinistra sia indifferente e di spalle al cigno ed al suo riflesso e dunque, dando un’interpretazione alla scelta di questo personaggio, come la società (o forse il padre) sia indifferente e si volti dall’altra parte rispetto al sofferente dualismo vissuto da Dalì.
Alessandro Rosi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



L'apoteosi di Omero (1947)


Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso, così ha lasciato scritto Gadamer in Verità e metodo. Anche se non siamo di fronte ad un testo, per immergersi più a fondo è necessario abbandonare noi stessi a ciò che ci troviamo davanti.
Il quadro nel quale ci “tuffiamo” è l’Apoteosi di Omero, realizzato nel 1945 da Salvador Dalí.
Pur non avendo grandi basi da cui partire, poiché non è una delle opere sue più famose, possiamo analizzare questo quadro cercando di capire cosa vogliono dirci i simboli.
In primo piano troviamo una grande statua, essa è riconducibile ad un linga: presso la religione induista, il Liṅga consiste in un oggetto dalla forma ovale, simbolo fallico considerato una forma di Śiva. Esso rappresenta il termini metafisici, l’assoluto trascendente senza inizio ne fine.
Conoscendo la vita dell’autore un minimo, esso può richiamare il matrimonio lungo 53 anni con Gala Eduard, rapporto fatto di amore, sesso, creatività e di eccessi.
Sempre questo richiamo al sesso, è tirato in ballo dalla donna senza vestiti sdraiata per terra, alla quale non è stata disegnata nemmeno la testa; il corpo così richiama ancora di più l’atto sessuale corporeo.
Di diversa natura invece sono gli altri due simboli che individuo nel quadro: “l’albero” sulla destra e i cavalli in mezzo al mare.
Andando per interpretazione propria senza avere un qualche documento a cui rifarmi per controllare se le mie impressioni sono giuste, posso dire che “l’albero” può richiamare in qualche modo i cinque sensi dell’uomo, avendo come foglie un orecchio o un volto umano.
Gli uomini che stanno cascando di cavallo possono indicare molte cose, ognuno da una propria interpretazione, la mia è quella che la natura sarà sempre più forte dell’uomo.
Sebastiano Doberti, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Leda atomica (1949)


In Leda atomica è rappresentata la storia mitologica di Zeus che, trasformatosi in un cigno,
riuscì a possedere la Dea Leda. In realtà le due divinità rappresentano rispettivamente Dalì
e la sua amata, Gala, musa e grande fonte d’ispirazione dell’autore che si riteneva suo "figlio,
amico, servo e compagno". La figura della donna è nel quadro, così come anche nella vita di
Dalì, perfettamente centrale (come può suggerire la presenza del righello nell’angolo destro)
e posta su un piedistallo su cui però non poggia, quasi come a volerne evidenziare la
preziosità. Gala rappresentata in tutta la sua nudità, è soprattutto l’incarnazione del potere
immaginifico dell’Eros e rispecchia l’ideale di perfezione e armonia che Dalì fece trasparire
dall’utilizzo della sezione aurea. Le due figure sono gli unici elementi a non avere un’ombra,
in quanto essendo divinità, sono immortali così come lo è il loro amore. L’importanza che
ricoprì Gala nella vita di Dalì può essere riconducibile alla perdita di sua madre, evento che
fu definito dall’autore come il suo male più grande e per la quale è plausibile avesse
sviluppato il complesso edipico fin dall’infanzia visto il rapporto conflittuale con il padre. Di
conseguenza l’amata non solo sarebbe stata la moglie di Dalì ma avrebbe allo stesso tempo
ricoperto il ruolo di un’importante figura mancante della sua vita. Nel quadro infatti, la donna
abbraccia il cigno senza però afferrarlo come se ne fosse impossibilitata e i colori dello
sfondo potrebbero indicare la fusione tra il mondo celeste (l’orizzonte) a cui appartiene la
madre e quello terreno (la spiaggia) appartenente al cigno. Un altro indizio riconducibile alla
figura materna è l’uovo schiuso, posto all’estremità centrale, che suggerirebbe una ciclicità
nel rapporto madre-figlio; nonostante la morte della donna i due si sono ricongiunti così come
quando il figlio era nel grembo materno. 
Leda dunque raffigura Gala e la tela vuol esprimere il rapporto d’amore tra i due ma allo
stesso tempo l’amore provato per quest’ultima è identificabile per l’amore materno che non
può più ricevere; per questo motivo Gala diventerebbe il “centro gravitazionale” dell’autore,
attorno al quale tutto fluttua poiché ne è attratto.
Domitilla Lattanzi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



La nascita del nuovo mondo (1942)


Nel 1942 Salvador Dalí dipinse ‘La nascita del nuovo mondo’ in cui dà un’interpretazione surrealista della nascita di Cristo. In questo periodo della sua vita Dalì si avvicinò molto alla dottrina cattolica, come si può notare dalla scelta del soggetto del dipinto: ”la nascita di Cristo”. Dalí, nel quadro,  utilizza colori contrastanti come quelli freddi (verde, azzurro) e quelli caldi (marrone, rosso e arancione). Tale  contrasto conferisce all’opera una dimensione onirica tipica del surrealismo.
Un altro aspetto tipico di questa corrente è la stretta connessione con l’analisi interiore dell’uomo, per questo nell’opera si può ritrovare materializzato lo stato che l’uomo vive nella propria interiorità. Nel lato destro del dipinto si trova una figura che si presuppone sia Giuseppe, che nella psicoanalisi freudiana  rappresenta il super-io.
Il super-io  è coscienza morale e può essere rivisto nella figura paterna di Giuseppe, che come esso, ha la funzione e il compito di controllare le azioni morali, tanto del figlio quanto di se stesso.
Sugli scalini, al centro del dipinto si trova Gesù, la personificazione dell’io, colui che è razionale ma non è cosciente di essere sotto l’influenza del super-io, ma anche dell’es. La figura del bambino è circondata da elementi che ricordano questa influenza, come per esempio il vortice centrale che sembra come catturarlo o rilasciarlo dal dietro, senza che lui abbia nessuna possibilità di scelta.
L’es, nel dipinto si può rivedere nella figura umana con addosso un manto rosso in primo piano a sinistra, ed è colui che agisce in profondità, l’inconscio, la parte dove sono presenti le pulsioni profonde che premono sull’io.
Infine, ciò che resta del dipinto, è il mondo esterno, altra componente che mette sotto pressione l’io.
Gaia Chiocca, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020




“Afgano invisibile con apparizione sulla spiaggia del volto di Garcia Lorca in forma di un piatto di frutta con tre fichi”  (1938)





Osservando per la prima volta il quadro si nota subito la presenza di un volto, che come espresso dal titolo appartiene al celebre scrittore spagnolo omosessuale Federico Garcia Lorca che era un amico molto intimo di Dalì e data la sua natura molti sostengono che i due erano un po’ più che amici (a riguardo è stato realizzato nel 2008 un film “Little Ashes”). Dando un secondo sguardo al dipinto, il volto sparisce e al suo posto si forma una fruttiera con 3 fichi, lo spettatore incredulo guarda il quadro una terza volta con più attenzione e stavolta nota che anche la fruttiera è sparita e adesso è rimasta solo una spiaggia con degli uomini, una donna e dei paguri. Gli occhi del volto diventano le teste degli uomini sulla spiaggia mentre naso bocca e mento formano rispettivamente testa braccia e gonna della donna, la fruttiera diventa una parte di mare e i tre fichi compongono delle isole. Il dipinto, dunque, ripropone a ogni occhiata il proprio enigma senza fine. Non v'è certezza; ogni forma, appena percepita, è subito polverizzata e contraddetta. Probabilmente l’artista vuole avvisarci che anche i nostri stessi occhi sono in grado di ingannarci. Il quadro sembra sia stato dipinto in onore dell’amico Garcia Lorca che il 19 agosto del 1936 venne fucilato durante la notte per la sua tendenza omosessuale e il suo corpo non venne mai ritrovato; presumibilmente la figura celata nell’ombra nella parte sinistra della spiaggia rappresenta il giustiziere di Garcia e, a parer mio, il fumo che sale dai paguri simboleggia l’incenso che purifica e guida l’anima dell’amico verso il cielo. Un altro elemento facilmente riconoscibile è la donna velata di bianco, formata dal naso, bocca e mento del volto o dalla base della fruttiera, che può rappresentare, o la madre di Dalì la quale rispetto al padre rigido e freddo, lo incoraggiò a sviluppare le sue doti artistiche, oppure la moglie Gala che lo accompagnò per tutta la sua vita.

Michele Suffredini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020




Cena da Gala (1973)



Questa è una illustrazione che fa parte di un libro di cucina illustrato da Dalì. Al centro dell'illustrazione sono collocate due uova cotte poste su un piatto. L'uovo, dall'esterno duro e dall'interno molle, riporta alle immagini prenatali, simboleggiando la speranza e l' amore. Nel quadro viene rappresentata la parte molle dell' uovo che ha una valenza principalmente sessuale. La metafora sessuale è sintetizzata dalle due uova, allusive all' anatomia femminile e della deformazione del piatto. Il piatto si deforma in modo circolare e, creando un semicerchio sorretto da un ramo, si dissolve formando una specie di forma fallica, lasciando cadere delle gocce. Le gocce possono essere collegate allo sperma maschile, le quali non cadono nel piatto ma sono raccolte in un recipiente. Questo può riportare ad un fatto accaduto nella vita di Dalì, dopo un litigio con il padre quest' ultimo minacciò il figlio di diseredarlo e gli intimò di non mettere mai più piede nella casa paterna. Dalì rispose mettendo in mano al padre un preservativo contenente il suo sperma dicendo “tieni, ora non ti devo più nulla”. Sopra il semicerchio formato dal piatto è presente una lumaca che riporta di nuovo al dualismo tra molle e duro. Durante l' incontro con Freud, Dalì vide una lumaca su una bicicletta davanti alla casa del filosofo, collegò l' animale alla testa di Freud. Il dualismo degli opposti emerge tra il guscio forte ed il suo interno fragile. Questa contrapposizione per l' artista simbolizzava la mente, la psiche dello stesso Freud. Dalì era molto attratto dalle teorie di Freud e della sua psicoanalisi, con il suo surrealismo amava sognare rappresentando il suo mondo onirico colmo di paure, ansie e pulsioni contrastanti. Ad esempio nel quadro ci si può ricondurre ai due concetti freudiani di Thànatos ed Èros. Sullo sfondo si può notare una zona dove la luce schiarisce improvvisamente, questo può essere collegato al concetto di Éros, cioè quelle pulsioni erotiche e generalmente sessuali. Invece le ombre molto allungate, completamente scure e il pesce morto al di fuori del piatto riportano all' idea del Thanatos cioè quelle pulsioni che tendono a distruggere e uccidere e che sono quindi aggressive. La cornetta del telefono che si trova sopra il piatto, con il filo spezzato molto probabilmente rimanda ai litigi continui con il padre e il rapporto pieno di contrasti che non è riuscito mai a risaldare. L'ulivo secco che tiene la cornetta del telefono sollevata, rievoca l'idea che il trascorrere del tempo porta con sé distruzione e decadenza.
Giacomo Francesconi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020




Giovane vergine autosodomizzata dalle corna della sua stessa castità (1954)




Le scarse notizie, dovute alla minor fama di quest’opera rispetto alle altre del pittore surrealista, mi spingono a non partire nell’interpretare questo quadro dalla sua raffigurazione, bensì dalla frase che lo stesso pittore utilizzò per descrivere quest’opera: “Paradossalmente questo dipinto, che ha un apparenza erotica, è il più casto di tutti”


Dalì è il genio onirico del surrealismo. Egli più di chiunque altro ha messo su tela le proprie paure e ansie, dipingendo i suoi sogni e concependo la tela come il suo psicologo, sul quale trasferire una serie di stati d’animo (di amore e odio), insiti nel suo profondo (come avviene nel processo di transfert). Dalì dipingendo, lascia in disparte la razionalità, liberandosi dalle sofferenze, svegliando il suo inconscio e raffigurandolo.
È per questo che la frase del pittore, che inizialmente ci appare paradossale o ironica, descrive in realtà correttamente la vera natura del quadro. Il dipinto potrebbe rappresentare, come alcuni critici hanno ipotizzato, la sorella Ana Maria, il quadro richiama infatti un’opera precedente in cui l’artista aveva raffigurato la sorella in posa alla finestra. Dalì parrebbe quindi voler punire la sorella, forse proprio per aver pubblicato, in quel periodo, una biografia del fratello, rappresentandolo negativamente.
Un’altra possibile interpretazione è quella secondo cui la donna sarebbe la moglie del pittore, Gala, di undici anni più grande. Quest’interpretazione troverebbe un riscontro nel fatto che per Salvador, come scrive Dominique Bona in "Une vie de Gala", la moglie fosse “una pura forza sessuale”. La verità è che non importa, a riprova di ciò possiamo osservare come la donna sia girata a guardare fuori e sia impossibile riconoscerla. Dalì, pittore onirico del surrealismo, questa volta crea un quadro che potremmo definire esplicito, talmente esplicito da risultarci scandaloso. Il quadro manca delle paure e angosce a cui solitamente Dalì dava vita, raffigurandole attraverso il metodo paranoico-critico e creando delle vere fotografie dell’irrazionale. La donna affacciata al balcone, pur non essendo visibile in volto, ci appare serena mentre scruta incantata il cielo. La posizione delle sue gambe ricorda quella di una bambina (impressione rafforzata dal dettaglio delle scarpe) che ingenuamente osserva il cielo e spera in un qualcosa o sogna ad occhi aperti. Lo sguardo della ragazza è assorto nell’osservare il cielo in cui si trova un corno di rinoceronte volante, che per Dalì rappresenta la castità, ma probabilmente allo stesso tempo, un’allusione al fatto che la donna, stia sognando una perversione sessuale. Il solo pensare ad una perversione si materializza nella perversione in sé, che Dalì dipinge contrapponendo le natiche a dei simboli fallici dai quali derivano le corna e i due corni che stanno per sodomizzare la ragazza. In questo modo si spiega il titolo dell’opera, la casta ragazza, sognando quei corni dalla forma fallica in cielo e dunque una perversione, viene sodomizzata dagli stessi corni, simboli della sua castità.
L’esplicita violenza sessuale di quest’opera mi fa pensare ad un collegamento con la violenza del film di Stanley Kubrick  “Arancia meccanica”, in particolare il corno mi ricorda fortemente, anche per il suo colore chiaro, la scultura di forma fallica presente nella casa della prima vittima del terribile gruppo capitanato da Alex.


Leonardo Da Prato, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



La scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo (1958)


Quest’opera d’arte è stata creata dal cosiddetto “Padre del Surrealismo”, un movimento nato agli inizi del ‘900 che si basa sulla rappresentazione pittorica e non solo della dimensione più pura dell'irrazionale che è il sogno che, come ci ha insegnato il maestro della psicanalisi Freud, è una realtà superiore, incontrollabile in cui la mente inconscia è totalmente libera di manifestarsi nella forma più pura, senza poter essere limitata dalla moralità. Dalì inventa il metodo paranoico-critico, in cui riesce a tradurre razionalmente su tela l’aspetto incosciente e irrequieto della paranoia, tecnica usata quindi anche in questo unico dipinto che unisce la storia spagnola (Colombo considerato catalano dalla presenza delle bandiere), la religione, l'arte, e il mito. L'evento è rappresentato metaforicamente e la non distinzione del cielo e del mare, suggerisce la dimensione del sogno. Colombo è raffigurato come un adolescente in una veste classica, (così come il resto dei personaggi) a simboleggiare l'America come un continente giovane, verso cui portare il cristianesimo, la vera chiesa per il nuovo mondo. Al tempo stesso compaiono la figura di Gala, moglie e musa del pittore, raffigurata in modo angelico come una Santa sullo stendardo e Dalì stesso, che si è dipinto come monaco inginocchiato con in mano un crocifisso. Quest’ultimo è rappresentato rannicchiato come se fosse un bambino, in totale contrasto con la moglie, il cui volto a differenza del resto dei personaggi è definito. La grandezza con cui essa viene rappresentata indica  l’importanza che ha avuto nella vita del pittore, tant’è vero che viene associata alla Vergine Maria, che allude in modo evidente alla madre, persona importantissima venuta a mancare al pittore. Per Freud essa è una figura centrale nel “Complesso di Edipo”, una delle prime tappe nello sviluppo emotivo di un bambino che prova quasi ostilità nei confronti del padre a causa di una propensione amorosa nei confronti del genitore del sesso opposto. 
Altri elementi onirici che rimandano alla simbologia Freudiana sono gli assi allungati delle croci e delle bandiere che sottintendono l’organo genitale maschile e la nave al centro dell’opera che sembra ti stia per assalire e aggredire presupponendo un rapporto sessuale connesso probabilmente alla sua personale “scoperta dell’America”, grazie alla sua musa.
Infine, sulla destra, notiamo una specie di occhio azzurro in mezzo al mare, non tagliato come nel film “Un chein andalou“ (di Luis Buñuel) una probabile allusione all'idea che sia rappresentato un sogno.
Ornella Shau, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Il Dio della baia delle rose (1944)


In questa opera ho riscontrato tre aspetti che si potrebbero psicoanalizzare:
1.            Il fatto che ci sia un gigante ermafrodito sopra un altare indica probabilmente il fatto che ricevere una educazione impartita dai due genitori (in maniera che nessuno prevalga sull’altro) porta alla felicità e all’equilibrio (tra IO, SUPER IO E ES), gioia che si può osservare al di sotto dell’ altare dove tutti festeggiano, ballano e si dedicano alla pazza gioia.
2.            A destra vi è un enorme megalite che è un simbolo fallico; ciò sta a indicare che un’educazione impartita solo dal padre porterebbe alla sterilità e rigidità della vita (ciò è messo in risalto dal fatto che non vi è nessuno ai piedi del megalite solo dietro vi è la sua grande ombra [ciò rappresenta a sua volta la freddezza]. Dalì ha messo in risalto questo per via dei suoi legami, non molto amichevoli col padre.
3.            Il fatto che ci sia probabilmente un autoritratto dell’artista su una nuvola ( rappresentante i suoi desideri che non poteva più realizzare) implica il fatto che quest’ultimo, volendosi raffigurare sull’estrema sinistra dell’opera, avrebbe preferito avere un’educazione più equilibrata (in quanto reduce dell’esperienza del "megalite").
Il fatto che il gigante ermafrodito stia a mezz’aria, mentre il megalite stia fermo e ancorato saldamente al terreno, sta a simboleggiare la volatilità dei suoi desideri in quanto il passato è fermo e ancorato saldamente alla nostra mente.
Davide Scardigli, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Orologio molle al momento della prima esplosione (1954)


Per comprendere a pieno le opere di uno dei più grandi pittori Surrealisti di tutti i tempi, Salvador Dalì, dobbiamo fare un passo indietro ai suoi capolavori e focalizzarsi sulla sua vita estrapolando da essa i messaggi, le analogie e i temi che riempiono i suoi quadri.
Anche i suoi famosi orologi che si sciolgono sono frutto di un esperienza quotidiana del pittore : egli si ispirò a essi osservando un pezzo di formaggio sciogliersi lentamente al sole durante una calda giornata estiva.
Ma oltre l’immagine del formaggio c’è il  simbolismo dell’artista, il messaggio che vuole trasmettere: la vita in fuga e il tempo che fugge.  Il tempo come nemico e la voglia di combattere contro lo scorrere dei secondi erano tali da dichiarare addirittura che “il tempo è la dimensione delirante e surrealista per eccellenza”.
La lotta contro il tempo forse derivava dall’opprimente azione di esso sull’artista e sulla sua mente insieme al ricordo ossessivo, che lo divorava da dentro, della morte del fratello, antecedente alla nascita del pittore, e successivamente della morte prematura della madre quando egli aveva solo 16 anni. I genitori gli fecero credere di essere la reincarnazione del fratello morto, egli se ne convinse e questa è la ragione per la quale fu cosi afflitto dalla sua morte che lo fece impazzire. Riguardo la madre, egli disse che la sua morte fu la disgrazia più grande che gli fosse mai capitata nella vita.
Nel quadro è rappresentato un orologio che con una sorta di esplosione si frantuma; il tempo è tutt’altro che rigido, è appunto molle, come il nome del quadro esplicita, e sembra diventare un tutt’uno con lo spazio circostante. Otre alla fugacità del tempo, l’esplosione potrebbe rappresentare la fine del tempo ma anche il suo inizio o addirittura l’inizio e la fine dell’umanità e del mondo: un cosiddetto nuovo Big Bang, dall’ esplosione di qualcosa nasce qualcosa di meraviglioso.
Filippo Simonetti, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Atavismo al crepuscolo (1934)


Questo dipinto è una delle tante rivisitazioni che Dalì, nel corso della sua vita, ha fatto dell’Angelus di Millet, da lui conosciuto molto bene poiché vi era una copia del quadro nella scuola elementare che frequentava. Inoltre il pittore stesso ha confermato, nel Le mythe tragique de l’Angelus, che tale dipinto gli è apparso in mente senza nessuna associazione o ricordo e, addirittura, afferma che non gli è apparso in maniera veritiera bensì in maniera del tutto modificata. Da quel momento, il quadro diventa per Dalì una ossessione ed inizia, in questo modo, il così detto periodo del metodo paranoico-pittorico, dove l’artista sfrutta l’arte come occasione per far emergere il suo inconscio, ovvero gli permette di conoscere i fenomeni causati dal delirio e quindi di valutarli e interpretarli per poi poterli raffigurare sulla tela. A primo impatto il quadro sembra raffigurare due persone, una di fronte all’altra: una donna, che è leggermente china, quasi nell’atto di una preghiera, e un uomo, il quale, al posto del volto, ha un teschio. Ma, in realtà, il dipinto ha una forte componente psicoanalitica, ovvero la passività dell’uomo e la distruzione della sua riproduttività. Questa componente è data da diverse figure: in primo luogo, l’uomo, molto probabilmente Dalì stesso, che si copre le parti intime con un cappello, in secondo luogo, la carriola attaccata alla testa della figura maschile che, nella simbologia di Dalì, prelude al piacere che distrugge la virilità, e, infine, dalla donna che, a detta del pittore, assume la posizione della mantide religiosa nel momento che precede l’atto sessuale, paragone non causale in quanto la mantide, dopo il rapporto, uccide il maschio. Pertanto la donna è una sorta di “mostro” che cannibalizza la riproduttività dell’uomo. Idea associabile al concetto di Thanatos, ovvero queste pulsazioni distruttive, personificate dalla donna, nei confronti, in questo caso, di quelle sessuali, che l’uomo vorrebbe ma non riesce ad averle.
L’arte, di conseguenza anche questo quadro, non è una cosa surreale ma racconta una verità, come direbbe Gadamer, e, infatti, in questo dipinto è rappresentato il rapporto tra il pittore e la madre, dove quest’ultima rappresenta una sorta di Super-Io per Dalì, ovvero una coscienza morale, un insieme di proibizioni che vengono acquisite da un individuo nei suoi primi anni di vita. Basti pensare che la madre, quando l’artista era un bambino, gli vietò di avvicinarsi a una pianta di latte, che per metafora si collega all’ambito sessuale, e, nello stesso periodo, alcuni compagni di scuola raccomandavo a Dalì di non strofinare le sue parti intime sulla pianta, perché si sarebbero ingrossate fino a causare la morte. Pertanto questo trauma infantile ha condotto l’artista a provare terrore nei confronti dell’atto sessuale, trauma che poi gli causerà l’impotenza nell’età adulta.
Valentina Paladini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Il grande masturbatore (1929)


Al centro di questo quadro vediamo un viso umano, di profilo, che guarda verso il basso, probabilmente un autoritratto in cui Dalì si rappresenta deformato; il motivo potrebbe essere il rimorso o addirittura l'odio verso se stesso. La figura femminile che esce da dietro la testa potrebbe essere Gala, la musa di Dalí, che rappresenta la fantasia sessuale di masturbazione suggerita dal titolo; la bocca della donna infatti è molto vicina alle zone intime della figura maschile, mostrata dalla taglia in giù e vestita in modo leggero. Il leone accostato alla donna potrebbe rappresentare la sensualità non appagata e la lingua tesa del leone simbolo fallico. Viene anche ricordato il tema freudiano che vede nella testa della Medusa il simbolo della castrazione. L’autore descrive la sua paura per la castrazione sessuale, dettata dal simbolismo del sangue che scorre sulle gambe dell’uomo (ciò ha a che fare con un episodio dell'infanzia quando il padre lasciò a Salvador un libro con immagini esplicite di uomini che soffrivano di malattie veneree, in stati gravi, per “educarlo”). Queste immagini sconvolsero Dalí, motivo per cui continuerà ad associare l’atto sessuale con il dolore e la putrefazione. Sotto la figura principale si trova una cavalletta, insetto che Dalí utilizzerà spesso nei suoi quadri; essa rappresenta avidità e desiderio e la scia di formiche che stanno divorando il suo ventre fanno riferimento alla morte e al declino, ricordando la mortalità dell’essere umano e la temporaneità. Le formiche rappresentano inoltre l’irrefrenabile desiderio sessuale. Quindi vediamo come per Dalí sessualità e morte coincidevano, come l''Eros e il Thanathos coincidono in Freud. Più giù abbiamo altri due personaggi, vicino a un uovo, simbolo della fertilità. Le due figure sono messe in modo tale da formare un’unica ombra; probabilmente le due figure sono i genitori che hanno avuto un forte impatto nella vita di Dalí; penso infatti che sia questo il motivo per cui le due figure creano un’unica ombra: il carattere rigido e severo del padre che si mescola con l’amore e la comprensione della madre con cui Salvador aveva un forte legame. Una terza figura appare più lontana.
Dietro alla testa al centro si trova una struttura con due pietre e una pianta secca nel vaso. La pianta è messa su una delle due pietre mentre la seconda pietra si trova in modo surrealista sulla pianta secca.
Questo potrebbe significare il bisogno di Dalì di scappare dalla realtà. Il gancio attaccato alla testa sono le paure e le ansie che sono attaccate al suo subconscio e le porta con sé.
Andreea Murariu, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Caravan 


Dalí considerava i sogni e le immaginazioni come chiavi fondamentali per la conoscenza del pensiero umano. Guardando il quadro la mia attenzione viene catturata  dalle gambe degli elefanti. Come in un fenomeno onirico gli animali sono deformati, hanno zampe lunghe e sottili.
Questa caratteristica accentua il contrasto tra la robustezza del corpo e la fragilità delle gambe.
Questa concezione mi ha subito portato a pensare alla teoria freudiana dell’IO, oppresso dal SUPER-IO.  Quest’ ultimo non è altro che la coscienza morale, l’insieme di tutte le proibizioni instaurate nell’uomo dalla sua educazione che lo inibiranno nel corso di tutta la sua vita. Dalì esprime questa concezione attraverso il peso portato elefanti: simboli  religiosi, istituzioni legislative.
Il Super-io è anche rappresentato dagli stessi uomini che legano con le corde l’animale. Le gambe, l’io, è soppresso, non ha via di fuga. Cosa genera il Super-io troppo rigido? Provoca la rimozione, così i desideri e le passioni si rifugiano nell’inconscio. Infine  percepisco una inibizione anche in ambito sessuale, l’elefante è oppresso, mi sembra che non sia libero di avere rapporti sessuali, di godere e di provare piacere.
Ma, proprio perché è un sogno, un’immagine della nostra mente, l’animale lo inganna nascondendo il suo desiderio. Come? Respingendo tali pulsioni nelle sue gambe. Esse dritte e lunghe sono più di un semplice sostegno, sono l’appagamento camuffato.
Asia Bianchi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Lo spettro del sex appeal (1934)


Due   stampelle   tengono   in   piedi      un ammasso di membra umana cadenti, lacerate, consumate da una misteriosa lebbra, scorticate fin all'osso.  La poderosa apparizione è osservata da un Dalì bambino. Nell'orrenda   e   delirante   anatomia   fantasmatica, le singole   parti   del   corpo   si allungano, si rigonfiano, si assottigliano fin quasi a spezzarsi, oppure assumono le forme di altre membra, come il braccio sinistro che si trasforma in un dito inanellato alla base dell'unghia. L’opera ha una netta relazione alla teoria del "Sex Appeal Spettrale" elaborata dallo stesso Dalì: il fascino sessuale delle donne deriva dalla possibilità di usare separatamente i pezzi del proprio corpo, come se fosse un corpo smontabile che è l'aspirazione e la verifica gelida dell'esibizionismo femminile, che diventerà furiosamente analitico, permettendo di mostrare ogni parte separatamente. La teoria prevede un’evoluzione del potere seduttivo femminile e la capacità di conservare o rivendicare il proprio ruolo. Inoltre la disposizione e l’orientamento dei vari arti richiama alla struttura triangolare, elemento classico. Il bambino vede la figura anche come una pulsione da soddisfare, in particolare in ambito orale, sottolineato dai due avvolgimenti di carne al posto del seno che diventano salami; quindi Dalì necessita di soddisfare un suo desiderio associabile alla fase orale, in cui può aver subito un trauma.  L’anello sul dito può riferirsi ad un’intromissione paterna nel rapporto madre-figlio, un rapporto difficile, segnato dal fatto che l’anello è quasi sulla punta del dito, oppure legato al fatto che dopo la morte della madre di Dalì il padre sposò la sorella della defunta moglie. La figura gigante in confronto al piccolo Dalì può essere compresa nell’insieme delle sue paranoie, sentendosi così piccolo e attratto da ciò che è il sesso, pur avendo dei complessi, come rappresentato dalla corda del bambino che induce ad una rappresentazione fallica, in cui si mostrano delle difficoltà nell’erezione e quindi nel rapporto. Inoltre nel 1929 conobbe Gala, la sua musa, che ha sempre idolatrato e amato; quindi questa relazione lo ha influenzato. La figura gigante viene da molti considerata quella di un’anziana e vista la differenza di età tra Gala e Dalì è probabile che sia stata rappresentata la compagna. Ciò fa riflettere, considerando l’ambigua fantasia di Dalì, i suoi pensieri alternativi, e il fatto che il rapporto con Gala fosse aperto e non incentrato sul sesso: Dalì può essersi sentito inferiore all’incredibile sex appeal esercitato dalla compagna, da non sentirsi all’altezza in un rapporto sessuale. Oppure ancora, le stampelle, simbolo di morte, ma anche di resurrezione, possono alludere sia alla morte della madre (rievocata anche dal paesaggio, molto probabilmente dell’infanzia di Dalì), sia alla resurrezione con il fidanzamento con Gala, la quale ha ricoperto anche il ruolo di madre; il cuscino (almeno penso sia questo), lo si può intendere come la necessità di un affetto e di sicurezza.
Mirko Del Cimmuto, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


La casa di un erotomane (1932)


Maison pour érotomane (1932) risale al primo periodo Surrealista di Dalí e raffigura un paesaggio catalano, in cui le rocce, elemento ricorrente nei quadri del pittore, si trasformano in un paesaggio onirico; infatti queste composizioni sembrano quasi raffigurare il regno del subconscio umano.
Quest'opera molto probabilmente fa riferimento al famoso dipinto del diciannovesimo secolo “L'Angelus” di Jean-Francois Millet che ha inspirato molti quadri di Dalì. Le due rocce antropomorfe sembrano dominare il paesaggio circostante: la roccia di destra ha le sembianze di una donna raffigurata di profilo; due lance che si estendono a partire dall'altra roccia, la quale sembra rappresentare una figura maschile, cercano di penetrarla anche se questa sembra essere intangibile.
Le due figure potrebbero simboleggiare Dalì e Gala; infatti questo tipo di paesaggio ospita uno dei primi incontri tra i due e le lance, che non riescono a tangere la roccia, potrebbero rappresentare il fatto che il matrimonio del pittore raramente fu sessuale.
Inoltre I due personaggi in basso a sinistra potrebbero rappresentare l'incuranza dell'amore di fronte al cambiamento. Il cavallo bianco proprio per il suo colore potrebbe rappresentare un animale a servizio del bene mentre la parte nera dell'altra roccia simboleggia il male in opposizione.
Angelica Sani, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Cannibalismo autunnale (1937)


Per interpretare al meglio un quadro, un testo o un opera d’arte in generale bisogna prima lasciare che sia l’opera a “parlare”, bisogna capire cosa vuole trasmetterci. Per far si che ciò avvenga bisogna collocare l’opera temporalmente e geograficamente e per lo meno avere qualche nozione di base su di essa e sull’artista che l’ha prodotta. L’opera “cannibalismo autunnale” sappiamo essere stata prodotta da Dalì allo sgorgare della guerra civile spagnola, probabilmente questa cosa è ricollegabile alla parola “cannibalismo” nel titolo; l’artista vede nella guerra civile la lotta insensata tra due fazioni che appartengono alla stessa nazione, come se due uomini si mangiassero uno con l’altro invece che amarsi ed andare incontro al prossimo. Nel quadro possiamo infatti vedere le due persone che sono quasi in simbiosi, si assorbono reciprocamente e, nonostante questo, provano a mangiarsi. Dalì riporta in questo quadro il suo pensiero sulla guerra civile: vede l’atrocità e soprattutto l’inutilità della guerra. Nel titolo l’aggettivo “autunnale” invece è probabilmente spiegato dall’uso prevalente dei colori marrone e giallo che appunto creano un atmosfera autunnale che provoca un senso di tensione e paura; senza dubbio l’aggettivo “autunnale” è dovuto anche al fatto che il quadro è stato fatto in autunno, precisamente nell’autunno del 1936, proprio agli inizi della guerra civile. Dopo aver spiegato brevemente il titolo possiamo passare alla descrizione del quadro; una prima cosa che non salta subito all’occhio ma che a mio parere non è assolutamente da sottovalutare è il fatto che il quadro in primo piano è sorretto da un cassettone. Per poter capire un collegamento abbastanza evidente bisogna sapere che Salvador Dalì è sempre stato un grande estimatore di Freud tanto che il suo sogno era quello di incontrarlo di persona; Dalì stesso disse che nelle sue opere voleva scuotere le menti offuscate degli osservatori ed esprimere il forte legame tra realtà e sogno dichiarando che l’inconscio è presente nella vita quotidiana esercitando continuamente un potere sull’uomo e sugli oggetti da lui creati nel mondo reale; questa opera è l'ennesima prova di quanto la psicoanalisi Freudiana sia presente nei quadri di Salvador Dalì. Ritornando al nostro quadro possiamo dire che Dalì ribadisce la sua ammirazione nei confronti di Freud basando questo dipinto (come molti altri) su dei cassetti, cassetti segreti di cui il corpo umano è pieno e che, secondo Dalì, solo lo psicoanalista è in grado di aprire. Sopra questi ci sono una figura maschile e una femminile che si abbracciano quasi morbosamente e nel frattempo tentano di mangiarsi l’uno l’altra e, come detto prima, potrebbero rappresentare le due fazioni della guerra civile che fanno parte della stessa nazione unita ma si combattono tra loro. Inoltre vi è anche un altro collegamento con Freud poiché questo “abbraccio” può essere visto come una idealizzazione della pulsione sessuale. Il rapporto di reciproco interesse dovuto all’abbraccio morboso e mutua aggressione tra le due figure culmina in un cannibalismo erotico che, in questo caso, trasforma gli abbracci affettuosi in atti di crudele cannibalismo. Un’altra volta la filosofia di Freud offre dei preziosi spunti per comprendere al meglio il rapporto tra la pulsione di crudeltà e sessualità quando vengono a creare un’unione tra sadismo e masochismo, ovvero l’inclinazione a infliggere sofferenza all’oggetto sessuale o a riceverne da esso. Sempre vicino alla coppia possiamo trovare altri due simboli cari a Dalì; il primo sono le formiche come simbolo di morte e decadenza, l’altro è il pane che è probabilmente riferito alla paura della fame e della povertà; entrambi questi oggetti sono ricollegabili alla paura della guerra e della distruzione che essa causa. Sempre inerente a questo tema possiamo dire che, con ogni probabilità, la casa bianca sulla destra, circondata da un lago di sangue, rappresenta la situazione della Spagna durante la guerra civile che è piena di carneficine, morti e sangue; l’atmosfera tesa è resa tale anche grazie ai pezzi di carne, uno dei quali è brutalmente inchiodato al legno dei cassetti. Senza alcun dubbio la mela sulla testa della figura maschile rievoca la figura del figlio di Guglielmo Tell nel quale Dalì si è identificato più volte; le seguenti sono parole dell’artista stesso: “Mio padre, sempre furente verso di me, cercava di renderci la vita impossibile laggiù, giudicando la mia vicinanza una sventura, così mi posi sul capo la mela del figlio di Guglielmo Tell, simbolo dell’appassionata ambivalenza cannibalistica che presto o tardi conclude la paterna vendetta.” Non c’è molto da aggiungere a queste parole che descrivono al meglio il rapporto conflittuale ed edipico tra Dalì e suo padre. Concludo dicendo che in questo, come in ogni quadro di Dalì ci sono simboli e particolari ambigui e di difficile percezione che non necessariamente portano ad una interpretazione univoca e “corretta” dell’opera.
Andrea Tintori, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Donna con testa di rose (1935)


Il dipinto si compone di un piano di giacitura innaturalmente piatto con linee di pavimentazione il cui punto di fuga corrisponde con il volto di un uomo in lontananza, rappresentazione dell’artista stesso. Su questa superficie si dispongono una serie di figure. Una donna in primo piano, dall’accentuata snellezza, è vista di spalle nell’atto di leggere un foglio di carta, segue una strana sedia e quindi la donna con la testa di rose che dà il titolo al quadro, figura ambigua e leggermente inquietante, ha un vestito che lascia scoperta una gamba, che ci appare come parte di un manichino inanimato. Alla vita e ad un braccio le si intrecciano delle implausibili cinture a forma di mani maschili che ricordano quelle che apparivano nei primi dipinti surrealisti dell’artista. Secondo alcuni storici dell'arte, i fiori in questo dipinto rappresentano il disgusto per i ricchi che era comune nel gruppo surrealista. Segue un tavolinetto che, come la sedia, ricorda le architetture di Gaudì; sul tavolo è appoggiato un uovo, simbolo molto utilizzato dal pittore per rappresentare l’utero femminile e, più in generale, la fertilità. In lontananza si può vedere, oltre all’uomo già citato, una roccia a forma di testa di leone, sulla quale si innalzano degli alberi. Il tavolo e la sedia con solo tre gambi sono oggetti di puro arredo, senza alcun fine pratico; questo, assieme ai fiori che l’artista avrebbe utilizzato per esprimere il proprio disprezzo per i ricchi, hanno fatto sì che l’opera sia stata tradizionalmente interpretata come una denuncia all’ostentazione della classe nobiliare.
Si possono però individuare anche diversi simboli che rivelano un significato nascosto, collegato alla vita del pittore. Innanzitutto è emblematico il fatto che l’artista si rappresenti come un uomo solo e senza punti di riferimento, che si scorge in lontananza. I genitori infatti gli avevano fatto credere, fin dalla più tenera età, di essere la reincarnazione del fratello, morto nove mesi prima della sua nascita e del quale portava il nome. Questa stravagante idea ha inevitabilmente complicato in Dalì la costituzione di una identità personale, il pittore si sentiva dunque disorientato e solo come la figura in lontananza. La donna con la testa di rose rappresenta invece la sessualità come si può capire sia dalle rose, simbolo comunemente utilizzato per rappresentare l’organo sessuale femminile, che dalle mani maschili che avvinghiano la figura. In questa opera, come in “Ritratto di Gala con due braciole di anello” e in altre opere dell’artista, la donna è concepita come mero oggetto, come dimostra sia l’assenza di un volto, che la sostituzione della gamba sinistra con un manichino. Interessante è il confronto con l’altra figura in primo piano che, voltata di spalle, raccolta su sé stessa e con la mano davanti al volto sembra quasi vergognarsi, rappresentando così l’innocenza femminile, tuttavia la brillante cintura rossa che la avvolge rimanda nuovamente alla sessualità. Alla sfera sessuale allude anche l’uovo sulla panca, che, come già detto, Dalì utilizza per rappresentare la fertilità e l’utero femminile. La roccia e il bosco sopra di essa sono invece il simbolo di un ostacolo, al quale rimanda anche la figura accasciata ai piedi della roccia che, evidentemente, non lo ha superato. L’artista, centro visivo del dipinto, è quindi ostacolato nel raggiungimento della sessualità e per comprendere quali possono essere le cause di questa difficoltà è necessario riferirsi alla biografia del pittore. Innanzitutto la sua vita fu segnata dalla precoce morte della madre che ha probabilmente impedito il completo superamento del complesso edipico, come dimostra anche la forte conflittualità con il padre che lo accompagnerà per tutta la vita. La mancanza di una completa maturazione può essere quindi la causa del mancato raggiungimento di una vita sessuale serena. Dobbiamo anche considerare la rigida educazione etica e religiosa che fu impartita all’artista dal padre che potrebbe aver creato un forte senso della coscienza morale, il Super Io, che avrebbe limitato gli istinti dell’Es, la parte pulsionale della psiche, lasciandogli libero sfogo solo nelle opere d’arte, che sono spesso incentrate sulla tematica sessuale. In tal senso è emblematica la forma a testa di leone della roccia, a questo felino era associato infatti, nella simbologia medievale, il peccato della lussuria. Il dipinto assume così le caratteristiche di un ritratto della sfera inconscia dell’artista, tormentata dalle difficoltà nella costituzione di una ben definita identità personale e dall’impossibilità di vivere una vita sessuale serena.
Niccolò Francesconi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



La tentazione di Sant'Antonio (1946)


“La tentazione di sant’Antonio” è un quadro dipinto da Salvador Dalì nel 1946. Il quadro può essere diviso in due sezioni; a sinistra troviamo un uomo, sant’ Antonio, che nudo solleva un crocifisso, a destra un cavallo imbizzarrito e quattro elefanti che trasportano elementi dalla connotazione erotica sul loro dorso. Il titolo del quadro e l’immagine rappresentata risultano alquanto eloquenti: si tratta di un uomo che combatte contro le sue passioni e i suoi desideri. Il cavallo imbizzarrito rappresenta l’ira e l’aggressività, gli elefanti portano con loro degli elementi che richiamano la sessualità, sono infatti presenti sia donne nude che strutture verticali, come un obelisco e una torre, ovvero simboli fallici. Sono rappresentate sia le pulsioni che Freud aveva indicato con thanatos, ossia quelle aggressive e distruttive, sia le pulsioni che coinvolgono l’eros, genericamente sessuali. Dalì ha rappresentato quindi una chiara sintesi di ciò che Freud aveva identificato con l’Es, l’insieme delle pulsioni e dei desideri che “tentano” l’uomo. Ma essendo l’Es, proprio della psiche di ogni uomo, nessuno può liberarsene totalmente, però deve essere controllato. Infatti il fatto che sant’Antonio sia nudo dimostra come anche dentro di lui si trovi una parte che tende verso la soddisfazione del piacere. Dalla biografia di Dalì si evince subito come il suo rapporto con il concetto di piacere sia sempre stato difficile, infatti sin dalla tenera età gli fu impartita una rigida disciplina che lo portò a credere che il raggiungimento del piacere lo avrebbe portato alla morte. Di conseguenza il suo rapporto con la moglie Gala fu raramente sessuale, e lei ebbe molti amanti. Per fuggire dalle tentazioni sant’Antonio si affida alla religione, simbolicamente solleva un crocifisso contro gli animali. La religione per Freud consisteva nella realizzazione di uno dei desideri più reconditi dell’uomo, la necessità di sentirsi protetti contro i pericoli della vita. Ma rappresentava anche la proiezione del legame padre-figlio nel legame uomo-dio. Il crocifisso rappresentato nel quadro è fatto di rametti tenuti insieme da una corda, sant’Antonio è minuscolo rispetto al cavallo e agli elefanti, ed è solo contro di loro. Sapendo che il legame tra Dalì e suo padre è stato molto turbolento si può intuire come, nonostante le incomprensioni, Dalì ricerchi l’approvazione e l’aiuto del padre, e come si senta solo e abbandonato. Il cavallo bianco infatti potrebbe non solo rappresentare il concetto di violenza inteso come pulsione generica, ma potrebbe essere il simbolo dell’evento più violento che ha colpito l’intera umanità in quegli anni, la Seconda guerra mondiale. Proprio con lo scoppio della guerra Dalì si riavvicina alla religione cattolica, e rimane enormemente turbato dalla distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Per questo Dalì cerca nel quadro di assopire ciò che per Freud sarebbe l’Es, attraverso delle norme o delle regole, che ricerca nella religione e nella figura paterna, che andrebbero a rappresentare il Super-io. 
Maria Franchi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020


Agonia dell'amore dell'unicorno (1978)




In questo quadro l’autore vuole rappresentare l’amore nel suo aspetto più cupo e violento. La situazione descritta è surreale, l’unicorno occupa gran parte del dipinto e rappresenta la ricerca spirituale e la conoscenza; è questo personaggio che mette in movimento il dipinto compiendo l’azione di trafiggere un cuore formatosi nel buco del muro, a significare la fragilità dell’amore e la sua facile rottura ma allo stesso tempo la sua resistenza materializzata nel muro. Da questo cuore esce del sangue come a volerlo personificare e renderlo umano. Nella parte bassa del quadro troviamo una donna stesa a terra, come morente, a rappresentare la sofferenza. In sostanza proprio come ci suggerisce il titolo questo dipinto vuole la nauta più cruda dell’amore, la sua capacità di portare sofferenza nell’animo umano. Si può però percepire un barlume di speranza dato dai sottili raggi solare rappresentati, che infondono luce alla scena. Un altro aspetto che si può trarre è inoltre quello della conoscenza, spiritualità e purezza (unicorno) che prende il sopravvento nell’uomo eliminando o consolando la perduta passione amorosa.

Teseo Paolinelli, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



Mercato di schiavi con busto di Voltaire (1940)


Il dipinto è una nota illusione ottica a causa della quale si può vedere o una coppia di donne vestite da suore in piedi al centro del dipinto, o la testa di Voltaire. Gli osservatori raramente possono vedere entrambi in una sola volta e la scena sembra cambiare solo quando il cervello cerca di interpretare quello che si sta guardando. Dalì ha dipinto, a mio parere, questo quadro con l'unico e principale intento di confondere lo spettatore; è infatti risaputo come lui abbia notevolmente amato la tecnica dell'illusione ottica, la quale è stata riprodotta in molteplici sua opere. Il resto della scena pare essere di secondaria importanza e anch'esso volutamente riprodotto in modo confuso, per accentuare il gioco ottico. L'unica parte che risulta essere più “precisa” e con figure maggiormente delineate e riconoscibili, è quella in primo piano (più vicina allo spettatore) ed è proprio in quella parte di dipinto che mi è parso di vedere alcune figure riconducibili alla vita del pittore. La prima, meno importante, riguarda l'antico bicchiere/recipiente spezzato nel punto dove esso si dirama in larghezza, in questo modo è possibile vedere soltanto il collo, simbolo fallico. Simbolo che ritengo, però, essere abbastanza fine a se stesso, nel senso che non lo attribuirei ad un ricordo di suo padre o di un'altra persona in particolare, è un simbolo inconscio inserito nel quadro. Analisi diversa per la figura immediatamente a sinistra dell'oggetto precedentemente trattato; la donna. Questa donna è a noi mostrata seminuda, con il ventre in bella vista, cosa che potrebbe ricondurre al mondo femminile del pittore. La donna non suscita però attrazione erotica, sembra essere stanca o triste e guarda quella scena svogliatamente come se fosse obbligata a farlo anche se non le interessa, questo suo atteggiamento e il fatto che sia girata, trasmette un senso di lontananza e pure una lieve tristezza. Tutto questo può essere ricondotto alla madre di Dalì, che come sappiamo è morta quando l'artista aveva sedici anni procurandogli un dolore incredibile, questo elemento femminile non si ha infatti la possibilità di vederlo ed è vicino allo spettatore, ma allo stesso tempo lontano, poiché  essendo un quadro non colmerà mai lo stato della realtà fisica, procurando una sensazione di tristezza in quanto, come un defunto, non potrà mai più essere li con lui.
Federico Farnesi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020



 Romeo e Giulietta


Questa è una delle illustrazioni realizzate da Salvador Dalí per un’edizione speciale di Romeo e Giulietta della Rizzoli. Nella scena è rappresentata figurativamente la lotta tra i Montecchi e i Capuleti in primo piano come omini stecchiti che lottano tra di loro ostacolando il matrimonio tra Romeo e Giulietta rappresentato dalla chiesa in secondo piano.
Potrebbe rappresentare la lotta fra Eros e Thanatos con la lotta tra gli omini stecchiti e la proibizione delle pulsioni rappresentata dalla chiesa rannicchiata e circondata da mura e fortificazioni in secondo piano.
Liu Zhengxin, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020