Gif animato di Sara Menchini (V SA)
L'incontro ermeneutico, secondo quanto ci dice Gadamer, è un incontro che produce verità a patto che l'opera sia rispettata per quello che è e per quello che la tradizione impone e che colui che la osserva non annulli se stesso ma si lasci coinvolgere dall'opera, portandovi dentro le sue conoscenze, i suoi pre-giudizi e pre-comprensioni. Così abbiamo pensato di realizzare una serie di incontri ermeneutici tra studenti del Liceo "A. Vallisneri" di Lucca e le opere di Dalì alla luce delle conoscenze che gli studenti hanno acquisito sulla psicanalisi. Ne è venuto fuori questo percorso in cui 50 opere di Dalì sono state interpretate da altrettanti studenti nell'aprile del 2020.
L'incontro ermeneutico, secondo quanto ci dice Gadamer, è un incontro che produce verità a patto che l'opera sia rispettata per quello che è e per quello che la tradizione impone e che colui che la osserva non annulli se stesso ma si lasci coinvolgere dall'opera, portandovi dentro le sue conoscenze, i suoi pre-giudizi e pre-comprensioni. Così abbiamo pensato di realizzare una serie di incontri ermeneutici tra studenti del Liceo "A. Vallisneri" di Lucca e le opere di Dalì alla luce delle conoscenze che gli studenti hanno acquisito sulla psicanalisi. Ne è venuto fuori questo percorso in cui 50 opere di Dalì sono state interpretate da altrettanti studenti nell'aprile del 2020.
Galatea e le sfere (1952)
Il
quadro è una pittura ad olio che Dalì ha realizzato in omaggio a Gala, sua moglie e
musa, che era solito chiamare con diversi soprannomi, tra cui anche Galatea,
ispirandosi alla musa.
Il
volto di Gala, seppur riconoscibile, è rappresentato in chiave astratta: vi è
infatti una esplosione di sfere che dal volto si proiettano verso l’esterno,
creando una sensazione di profondità. Nel suo complesso l’immagine rimanda alla
bellezza e all’armonia delle forme tipicamente rinascimentale ma – al contempo
– le sfere fluttuanti rappresentano visivamente e richiamano la trasformazione
della struttura molecolare del DNA. E’ un chiaro richiamo all’interesse di Dalì
per la teoria dell’atomo e della disgregazione della materia. Tematica questa,
ispirata alla fisica nucleare, che divenne ricorrente nella produzione
artistica di Dalì a partire dal 1945, anno dello scoppio delle bombe atomiche
su Hiroshima e Nagasaki.
L’opera
si colloca infatti in quella fase artistica che Dalì stesso definì del “Misticismo nucleare” in cui – fortemente
preso dall’ammirazione per Einstein – espresse un forte entusiasmo per la
fisica, per la biodinamica e per la struttura del DNA. A cui si accompagnava
anche un grande interesse per la matematica, tanto che la sua mente scientifica
e geometrica è stata spesso paragonata a quella di Leonardo da Vinci, per la
sua ampia conoscenza in ambiti disparati.
Siamo
di fronte dunque ad un linguaggio artistico molto complesso ed elitario, la cui
comprensione – ricca di citazioni colte e di simboli – non è quasi mai
semplice. Nelle sue opere molti sono i richiami ad altre discipline, come la
psicanalisi e la filosofia.
·
Dalì e
Freud
Quel
volto di Galatea che si frantuma in tante sfere, perdendo la sua unità plastica
e la sua bellezza, richiama l’idea che Dalì ha di Freud (di cui fu un grande
ammiratore e che alla fine riuscì anche a conoscere personalmente), ovvero che
Freud ha scoperto nel corpo umano tanti cassetti segreti che solo la
psicanalisi può comprendere.
La
critica sostiene che Dalì è stato il primo artista a trasferire sulla tela i
contenuti inconsci della mente, le paranoie, i deliri, le pulsioni dell’uomo
contemporaneo, trasformando tutto ciò in immagini iperrealistiche e allucinate.
Dalì infatti sosteneva che l’inconscio esercita una grande influenza sull’uomo
e sugli oggetti del mondo reale. Adotta una tecnica dal lui definita “metodo paranoico-critico”, sintetizzato
in una sorta di formula matematica secondo cui paranoico=molle e critico=duro,
il che – dal punto di vista della psicanalisi – significa mettere in rapporto i
due elementi, attribuendo consistenza plastica agli elementi che hanno un
significato temporale ed invece consistenza rigida a quelli con significato
spaziale.
·
Dalì e Gadamer
Dalì
era solito ripetere infatti che spesso neppure lui riusciva a comprendere le
sue opere, ma che comunque ci sarebbe stato sempre qualcuno che le avrebbe
interpretate, vissute e arricchite. Riprende così i concetti chiave
dell’ermeneutica di Gadamer, filosofo che, dal canto suo, ha sempre rifiutato
una visione puramente passiva e meramente contemplativa dell’arte, sostenendo
invece che l’estetica deve risolversi nell’ermeneutica.
L’ermeneutica
(= interpretazione) per il filosofo tedesco è l’unico vero mezzo di
comprensione: vivere è interpretare. L’arte è rappresentazione e l’opera esiste
nella misura in cui si relaziona con lo spettatore. L’ermeneutica non solo comprende l’opera ma
la arricchisce di quei valori, di quelle problematiche che magari il pittore
non ha nemmeno pensato, ma che invece vengono valorizzate dai diversi
“interpreti-fruitori” dell’opera. Così la conoscenza ermeneutica si trasforma
in una sorta di dialogo platonico in cui gli interlocutori sono l’opera d’arte
e l’interprete. Si crea cioè un “circolo ermeneutico” nel quale l’interprete
comprende l’opera avvalendosi dei suoi pregiudizi (da intendersi non nella
comune accezione negativa), ma come substrato ontologico di ognuno di noi (“la storia degli affetti”).
Da
questo incontro con l’opera i pregiudizi si modificano, e da ciò ne deriva non
solo un arricchimento dell’opera di nuovi contenuti, di nuovi significati
originariamente non attribuiti dal pittore, ma anche una fusione tra presente e
passato nell’interprete. Per questo Gadamer dice che il sapere ermeneutico è
sempre potenziale e infinito e ciò rende l’opera immortale.
Francesca Palagi, classe V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020
Giraffe in fiamme (1937)
Uno dei quadri più famosi di
Salvador Dalì è “Giraffe in fiamme" dipinto nel 1937. Appartenente alla corrente surrealista, il
dipinto faceva parte di quel periodo della pittura di Dalì definito come
paranoico-critico. In questo dipinto, possiamo vedere in secondo piano una giraffa
in fiamme e in primo piano due donne di colore blu: sono senza volto, le loro
teste sembrano delle masse informi e si reggono sulla schiena e sulle gambe
grazie a delle sottospecie di stampelle. La donna al centro ha una
particolarità: dei cassetti percorrono quasi tutta la sua figura. Con questo
ultimo dettaglio è chiaro l'avvicinamento dell'artista alla teoria sulla
psicanalisi di Freud: i cassetti si riferiscono all'inconscio dell'uomo, a
tutti quegli istinti, pulsioni e pensieri che la coscienza ha nascosto,
censurato all'essere umano. L'inconscio è come dei cassetti in cui seppellire
le immagini più terribili del nostro io. Nel dipinto i cassetti sono semiaperti
come se Dalì volesse provare a far riemergere i contenuti del suo inconscio. Ci
sono anche elementi fallici come per esempio, il mezzo con cui le stampelle
sono attaccate alla schiena, altro riferimento alla teoria di Freud riguardo al
carattere sessuale degli oggetti. Due sono le donne rappresentate: una potrebbe
rappresentare la donna di cui era innamorato e che era la sua musa; l’altra,
evincendolo dall’aspetto così misterioso e oscuro e dai colori freddi, potrebbe
essere sua madre e la scena potrebbe far riferimento proprio alla morte della
madre e al dolore della sua perdita (le donne sembrano dei fantasmi). La sua morte
è stato uno dei grandi traumi nella vita di Dalì; egli le era molto attaccato
ed era una delle poche persone che lo sostenevano. L'artista è rimasto così
sconvolto dalla sua morte che potrebbe aver nascosto le sue paure e i suoi
dolori nell'inconscio e senza rendersene conto potrebbe averli fatti emergere
nei suoi quadri. Per Freud questo sarebbe stato un esempio per una delle sue
teorie della psicoanalisi: il complesso di Edipo.
Secondo le dichiarazioni dello
stesso Dalì, il quadro mostra la sua personale posizione nei riguardi della
guerra allora in corso nel suo paese d'origine. Sia per i cassetti e sia per la
giraffa in fiamme in secondo piano, simbolo di morte e distruzione, l'autore
infatti si riferisce alla guerra civile scoppiata in Spagna prima della Seconda
Guerra Mondiale. L'uomo davanti alla giraffa potrebbe rappresentare il mondo o
i più deboli o l’artista stesso che davanti a una guerra possono fare poco
proprio come quell’uomo che davanti ad una giraffa in fiamme può fare poco per
salvarla. Questa situazione potrebbe rappresentare
la paura e l’angoscia del mondo o di Dalì; il colore blu scuro e il terreno
arido potrebbero simbolizzare morte e orrore.
Il dipinto è composto da immagini
che paiono non avere niente in comune, nessun legame, come si fosse dentro un
sogno.
Gaia Dinelli, classe
V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020
Sogno causato dal volo di un’ape attorno ad una melagrana un’attimo prima del risveglio (1944)
Ritratto di Gala con due costolette di agnello in equilibrio sulla spalla (1933)
Naso di Napoleone, trasformato in una donna incinta, passeggiando con sua ombra con malinconia tra le rovine originali (1945)
Sogno causato dal volo di un’ape attorno ad una melagrana un’attimo prima del risveglio (1944)
Sogno causato dal volo di un’ape
attorno ad una melagrana un’attimo prima del risveglio è un dipinto realizzato
da Salvador Dalì nel 1944, olio su tela, attualmente esposto al Museo
Thyssen-Bournemiza di Madrid, forse uno dei più importanti e significativi
quadri del pittore catalano. Egli decise di realizzare l’opera dopo che un’ape
l’aveva punto mentre dormiva e le immagini fantasiose e paradossali che egli
ritrasse nacquero nell’inconscio proprio a seguito di quella puntura. In questo
dipinto dall’atmosfera surreale e dall’ambientazione aliena, appare in primo
piano il corpo nudo di una donna distesa con le braccia rovesciate dietro il
corpo, che levita su di uno scoglio piatto di pietra bianca, sospeso nel vuoto.
La donna è da identificare con Gala Eluard Dalì, amante prima e moglie dal
1929, modella e musa ispiratrice dei suoi quadri per tutta la sua vita. La
centralità donata al corpo nudo di Gala esemplifica l’importanza che giocano le
pulsioni erotiche e sessuali, quelle che, secondo Freud, si conservano nella
mente di una persona sognante. Questa figura centrale, le cui forme sensuali
richiamano anche alla fertilità, giace in una delle due metà orizzontali in cui
è suddiviso il dipinto, ossia quella inferiore. Da un’enorme melagrana sulla
sinistra, dipinta con una tecnica minuziosa e iperrealista, diparte una
successione di figure, che ha origine nel frutto rosso, simbolo dell’ovaio
materno, ed elemento generatore dell’intera scena. Questo simbolo è tanto
importante nell’opera quanto lo è stato nella vita del pittore, il quale era
molto legato alla madre, l’unica persona in grado di capirlo e capace di
temperare la forte rigidità del padre nell’applicazione della disciplina.
Questo melagrano può essere anche associato ad un complesso edipico mai
superato dall’artista. La successione è
costruita secondo un crescendo di mostruosità e aggressività e mette in
evidenza lo sviluppo della personalità eccentrica del pittore spagnolo,
talvolta aggressiva e delirante. Tale personalità è senz’altro correlabile
all’esperienza traumatica della morte della madre, avvenuta nel 1921, quando
egli aveva appena sedici anni. Da questa melagrana spicca il volo un enorme
pesce rosso, dalla cui bocca spalancata fuoriesce una feroce tigre dai denti
aguzzi. Dalle fauci spalancate di questa creatura spaventosa, salta fuori una seconda
tigre ancora più aggressiva e minacciosa della prima, intenta ad attaccare e
colpire mortalmente la giovane donna. La sequenza si conclude con la baionetta
che sfiora il braccio della donna, come ad indicare l’imminente risveglio del
pittore, causato dalla puntura dell’ape.
La successione risulta formata da due polarità opposte: da una parte la
melagrana rosso rubino, simbolo delle pulsioni di vita e dell’Eros, accentuato
dal suo stesso colore, e dall’altra la baionetta, che allude al Thanatos, le pulsioni
di morte. L’arma, però, può essere anche interpretata come una manifestazione
in forma travestita e camuffata del desiderio di Dalì di penetrare la sua
donna. L’intera scena è pervasa da una carica libidica forte e travolgente che
nasce nella melagrana e raggiunge il suo culmine nella tigre dagli occhi
infuocati di desiderio sessuale e nella baionetta, pronta a “penetrare la
donna”. Le visioni delle tigri e della baionetta potrebbero, quindi, essere un
riflesso onirico delle pulsioni di vita e di aggressività che sono state
sublimate da Dalì nella sua arte in maniera così intensa, forse proprio in
virtù del fatto che nella vita reale erano state represse da un’educazione
paterna estremamente rigida e autoritaria. In primissimo piano accanto a Gala l’immagine
di una seconda melagrana più piccola, intorno alla quale un’ape vola
nell’intento di pungerla, può essere interpretata in due modi differenti. Da
una parte l’ape è personificazione di Dalì che gira attorno alla sua amata,
indicata con il frutto rosso, che richiama la passione erotica, aspettando il
momento giusto per “pungerla” e penetrarla. Questa interpretazione sembra
essere rafforzata dall’ombra della melagrana stessa proiettata sullo scoglio,
la quale, spaccata in due metà perfette tra la superficie del mare e quella
dello scoglio, allude all’amore che il pittore provava per sua moglie. D’altra
parte, considerando la forte presenza di elementi riconducibili all’atto della
fecondazione e all’atto generatore, l’ape può essere vista anche come un simbolo
della madre di Dalì, che continua a girare intorno al frutto da lei generato,
rimanendo eternamente fedele e vicina al figlio anche in seguito alla sua morte
precoce.
Un motivo ricorrente del quadro è quello del doppio. Due infatti sono
le tigri, i chicchi di melograno che levitano sull’acqua e le gocce d’acqua
galleggianti. L’insistenza su questo numero, a mio parere, potrebbe essere
interpretata come un’indicatore della consapevolezza del pittore di avere
doppia personalità, derivata dalla convinzione instillata dai genitori di
essere la reincarnazione del fratello, morto due anni prima della sua nascita.
Sullo sfondo è rappresentato un elefante dalle lunghissime zampe d’insetto, che
sembra essere entrato nel dipinto da destra, e che cammina con noncuranza e con
la leggerezza di una farfalla, nonostante il peso dell’obelisco che regge sulla
schiena, senza creare la minima increspatura sulla superficie del mare. Grazie
all’incongrua associazione con le zampe sottili e fragili, questi animali, noti
anche per essere un tipico simbolo fallico, creano un senso di irrealtà.”
L’elefante rappresenta la distorsione dello spazio, ha spiegato una volta Dalì,
le sue zampe lunghe ed esili contrastano l’idea dell’assenza di peso con la
struttura. Si può osservare che il dettaglio delle zampe d’insetto è
riconducibile tanto all’attrazione quanto alla repulsione che il pittore
provava nei confronti di questi insetti, considerati affascinanti per la loro
natura alquanto surreale. E’ importante notare, infine, come la punta
dell’obelisco sembra perdersi oltre il limite superiore del quadro. Potrebbe
esserci, infatti, un collegamento tra l’obelisco e lo scoglio: il fatto che
Gala stia galleggiando sulla superficie di uno scoglio, generalmente simbolo di
pericolo, potrebbe indicare il superamento di diverse difficoltà incontrate
nell’arco della vita del pittore, che riuscì ad affrontare grazie alla
spiritualità e alla fede (molto care al pittore), qui rappresentate
dall’obelisco che si innalza verso il divino.
Samuele Vollert, classe V C, Liceo Scientifico “A. Vallisneri” di Lucca,
10 – 4 – 2020
Il sonno (1937)
Il sonno è un argomento molto
caro a Dalì e ai surrealisti in generale, ed è il soggetto di questo suo
disegno, olio su tela, del 1937. In quegli anni la Spagna, paese d'origine del
pittore, era impegnata in una sanguinosa guerra civile, ed è quindi
comprensibile come egli trovi nel sonno un “rifugio”, una sorta di sospensione
dagli orrori che stavano stravolgendo l'intera nazione. Il sonno, in un certo
senso, si può definire come la via di mezzo tra la realtà e il sogno,
quell'elemento che li collega, in cui ragione e fantasia coesistono e si
combattono: Dalì, in quest'opera, riuscì a rappresentare perfettamente quel
coesistere di razionalità e incoscienza tipica di tale dimensione.
La tecnica impiegata è abbastanza
credibile nel rendere i colori, i volumi e le ombre, nonostante realizzi
un'atmosfera sfumata, che sembra comunicare un dolce tepore, quasi volesse
incitare l'osservatore stesso al sonno. Ad essere surreali sono, invece, gli
elementi che compaiono sui diversi piani della scena, ovvero soggetti dalle
fattezze sconosciute o elementi del mondo reale il cui accostamento è, almeno
all'apparenza, privo di senso.
In primo piano è rappresentata una mostruosa
faccia che dorme e cammina allo stesso tempo, una creatura in cui, forse,
l'autore ha voluto rappresentare se stesso, come in altri suoi celebri dipinti;
questa, nonostante l'aspetto mostruoso, non appare minacciosa allo spettatore,
ma innocua, poiché sembra vagare senza meta, dispersa e immersa nella
malinconia. Osservandola ci si rende conto che l'occhio, che dovrebbe essere
visibile, non è volutamente dipinto, che l'orecchio è coperto da uno straccio e
che naso e bocca sono come immobilizzati da bastoni: con questi dettagli Dalì
ha voluto sottolineare l'annullamento parziale, o totale, dei sensi durante il
sonno, focalizzando l'attenzione sulla ragione, l'unica facoltà umana ancora
attiva. L'elemento centrale di tutto il dipinto sono infatti i bastoni che
sorreggono e danno forma alla faccia in primo piano, con i quali l'autore,
probabilmente, ha voluto rappresentare la ragione stessa, che si conserva
durante il sonno e permette alla realtà di sopravvivere alla completa fantasia.
I bastoni sono tutti molto esili e comunicano quindi una situazione di
fragilità, che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro, provocando il
risveglio.
Sullo sfondo è possibile
riconoscere diversi soggetti apparentemente privi di legame, forse inseriti
nello stesso dipinto per riprodurre il processo tipico dei sogni, riconosciuto
dalla psicanalisi, in cui vengono accostate immagini, persone o cose il cui
rapporto sfugge dalla nostra coscienza, ma vi si può risalire indagando nell'inconscio. Il cane che si appoggia a una stampella ha
forte valore simbolico: nel linguaggio dell'artista, la stampella simboleggia
un sostegno, una fonte di forza e stabilità da dare ai più deboli, incapaci di
sorreggersi da soli. In questo caso Dalì vuole forse richiamare l'attenzione
sui civili, rappresentati dall'animale, che durante la guerra pagano il prezzo
più alto; ma potrebbe anche riferirsi al fatto che il sonno è una sorta di
“pausa”, una via di fuga dove riposarsi dagli orrori che si consumavano in
quegli anni.
La signora dipinta dietro il cane
potrebbe simboleggiare la madre dell'artista, figura molto importante per lui,
un vero e proprio sostegno contro la dura disciplina impartitagli dal padre:
ella incoraggiò le sue aspirazioni artistiche e morì quando lui aveva
diciassette anni. Dalì ha voluto voluto inserire nel disegno quello che, forse,
è un riferimento alla madre per esprimere un desiderio di conforto, il bisogno
di una persona in grado di consolarlo dalla drammaticità del periodo che stava
vivendo. La piccola barca, sempre sullo sfondo, si può interpretare come un
riferimento alla mitologia Dantesca, di cui il pittore realizzò numerose
illustrazioni a partire dal 1957, ma potrebbe averne avuto conoscenza già
precedentemente. Nella Divina Commedia troviamo imbarcazioni di questo tipo sia
nei canti dell'inferno che del purgatorio, le quali trasportano le anime in un
preciso luogo del mondo ultraterreno: perciò essa potrebbe essere il motivo
della presenza della madre nel dipinto, una sorta di collegamento con l'aldilà.
Le abitazioni realizzate sulla destra, infine, rappresenterebbero un
riferimento inconscio a Piero della Francesca, stando alle dichiarazioni dello
stesso Dalì sul numero 10 della rivista “Minotaure”: “a destra si distingue la villa estiva ben
nota che sorge nel sogno molesto di Piero della Francesca”. Queste ultime,
forse, vogliono esprimere l'ammirazione dell'autore per il grande artista del
passato o sottolineare l'importanza della casa, della famiglia, il più grande
di tutti i beni, da salvaguardare davanti a tutte le avversità, che l'autore
avverte come “a rischio”, sia per la guerra che per i rapporti burrascosi con
il padre.
Matteo Santoni,
classe V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020
Ritratto di Gala con due costolette di agnello in equilibrio sulla spalla (1933)
Nel quadro si evidenzia in primo
piano, il viso di sua moglie Gala, probabilmente appoggiata sul suo petto, che
per l’autore è stata la donna più importante della sua vita, nonché musa
ispiratrice. Essa è rappresentata vicino a delle costolette d’agnello, ovvero,
ad uno dei piatti preferiti di Dalì, il quale ha sempre dimostrato un’ossessione
vera e propria verso il cibo, perché considerato in grado di fargli assaporare
la vita a pieno. Tutto ciò, ambientato in una splendida e calda giornata di
sole. Il provare piacere per una donna e
per il cibo possono collegarsi a due fasi freudiane: la prima è quella
genitale, nota a tutti a partire dall’età adolescenziale, la seconda è proprio
quella orale, associata al neonato che prova piacere attraverso le labbra e nel
succhiare il seno della madre. A questi aspetti
è riservata la zona sinistra del quadro mentre la destra lascia spazio a un
ambiente arido, un cortile fatiscente e abbandonato. Questo spazio potrebbe
simboleggiare tutto ciò che ha sempre recato dolore a Dalì e che per questo,
preferiva tenere lontano dal suo nucleo affettivo, incentrato principalmente
sul suo amore per Gala ( la morte del fratello nove mesi prima che lui nascesse
gli creò un forte scompenso psichico e la forte pressione esercitata dai suoi
genitori dopo la sua nascita, lo convinse ad essere lui stesso una sua
reincarnazione; la morte della madre all’età di soli sedici anni, alla quale
l’autore associava un’essenza divina, e il poco legame con il padre, contribuirono
a formare la sua personalità controversa). In questa parte del quadro troviamo
principalmente tre elementi di interesse. Il primo è il pozzo, che idealmente
potrebbe figurare un passaggio tra conscio e inconscio e, in particolare modo,
la rottura della parte destra potrebbe alludere alla voglia stessa dell’autore
di intraprendere tale esperienza, probabilmente a causa del suo interesse verso
Sigmund Freud che riuscì a incontrare di persona solo nel 1938. La seconda figura è un bambino con una
bicicletta. È una figura ridotta, poco definita come un fantasma e infatti
potrebbe essere il fratello dell’autore, da cui non riesce a distaccarsi. L’ultimo
aspetto è la facciata della casa, che fa da sfondo al quadro, in cui hanno
grande rilevanza le porte chiuse. Questo potrebbe simboleggiare una divisione
tra lui e il difficoltoso nido familiare, identificabile nell’abitazione
stessa.
Costanza Buoni, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4
– 2020
Naso di Napoleone, trasformato in una donna incinta, passeggiando con sua ombra con malinconia tra le rovine originali (1945)
Osservando quest’opera sembra di
essere spettatori di un sogno: si vedono immagini familiari fuori dal loro
abituale contesto e la creazione di un mondo illogico. Tuttavia le scene di un
sogno non sono casuali, ma il riflesso della psiche. Per questo Dalì identifica
il suo stile con quello del movimento surrealista, che aveva il fine di
rivalutare e dare spazio alla parte irrazionale dell’uomo per poter esprimere
liberamente il mondo dell’inconscio. Opera del 1945, è stata creata vicino al
punto di svolta della produzione artistica di Dalì: il passaggio dallo stile
puramente surrealista a quello classico, durante il quale cambierà il suo
metodo di interpretazione ed espressione dei pensieri. Il titolo dell’opera
sembra suggerire la “trama” del sogno; Dalì stesso afferma che “il titolo
spiega pienamente il dipinto”. Infatti
possiamo osservare una donna vista attraverso un’arcata che passeggia
circondata da un paesaggio desertico. La cosa che cattura più l’attenzione è
però la forma che il paesaggio e le figure creano: il viso di Napoleone
Bonaparte. La donna diventa il naso, le montagne gli occhi, dei rami le labbra.
Questa tecnica della “doppia immagine” viene utilizzata spesso da Dalì nei suoi
dipinti, perché coinvolge lo spettatore che è chiamato a cogliere la doppia
immagine o i molteplici significati dell’opera in base al suo “livello di
paranoia”. Infatti in questo caso l’osservatore sperimenta ciò che accade ai
paranoici, ovvero percepire significati multipli nelle cose che li circondano.
L’immagine doppia è circondata da una struttura da cui spuntano diverse
protuberanze, tra cui quella in alto a destra è chiaramente di forma fallica.
Queste forme si trovano ripetute nella sensuale figura femminile a destra, e
rappresentano i poteri generativi maschili. Molte di esse però sono supportate
da stampelle: la stampella simbolizza qualcosa di debole e che non riesce a
reggersi da solo, questo abbinato alla simbologia fallica potrebbe significare
una sessualità non totalmente sviluppata, che tenta di liberarsi ma che rimane
trattenuta da qualcosa, come la donna completamente nuda tranne per gli stivali
e il guanto, rossi come il colore della passione. Elevato su di un piedistallo
si trova Cristo in croce, che però presenta una particolarità: il seno. Anche
questo potrebbe essere una rappresentazione simbolica dell’indebolimento del
ruolo maschile nella società, promosso dalla religione. Inoltre la scelta della
figura di Napoleone potrebbe essere spiegata da una citazione dello stesso
Dalì: “A sei anni volevo fare il cuoco. A sette anni volevo essere Napoleone. E
da quel momento la mia ambizione non ha mai smesso di crescere:”. Conoscendo le
manie di grandezza manifestate da Dalì fin da giovane (che ad esempio l’hanno
portato ad essere espulso dalla scuola d’arte) non è difficile capire perché si
rispecchi in un personaggio potente ed ambizioso come Napoleone. Il generale
francese è anche un simbolo di forza e virilità, e sembra che cerchi di
contrastare le figure che lo circondano. In realtà, mentre la donna e Cristo
sono figure rappresentate in carne ed ossa, Napoleone è una statua di cui è
rimasto solo il volto e un’ombra: un’ideale perduto ed ormai irraggiungibile.
Rebecca Francesconi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca,
10 – 4 – 2020
Disintegrazione
rinocerontica di Illussos di Fidia (1954)
Questo quadro fu composto da Dalì nel 1954, quando si era
trasferito di nuovo in Spagna dopo aver passato diversi anni negli Stati Uniti.
La prima cosa che ho notato di
questo quadro in relazione alla psicoanalisi è lo scoglio presente nello
sfondo. Associandolo inevitabilmente all’iceberg freudiano che divide conscio e
inconscio, a mio parere svolge questa medesima divisione nel corpo in primo
piano. Il corpo che è fuori dall’acqua, infatti, è la punta dell’iceberg,
ovvero la parte dominata dal conscio e dalla razionalità: ciò si percepisce dal
fatto che al posto del cuore, simbolo della passionalità e dell’istintività,
c’è una figura geometrica solida, simbolo del rigore e della logica. L’uomo,
quindi, si comporta razionalmente e logicamente per la maggior parte della sua
vita, anche grazie alle regole civili e morali imposte dalla società in cui
vive. Quando però ci si immerge sott’acqua, negli abissi dell’inconscio, il
corpo umano si sgretola in tanti corni di rinoceronte. Dalì rappresentò spesso
il rinoceronte nelle sue opere, per lui animale simbolo di forza e di virilità,
ma concentrò il suo interesse nel corno. Uno dei motivi di tanto interesse è
perché esso si erige in una curva in sezione aurea (che per Dalì rappresentava
la geometria divina), ma soprattutto perché è un segno erotico con forma
fallica, di potenza sessuale: è una figura convessa che si contrappone alla
forma concava dell’universo femminile. L’essenza afrodisiaca del corno, quindi,
sta a indicare come nell’inconscio le pulsioni sessuali (soprattutto quelle
represse), i desideri e gli istinti prendano il sopravvento.
Francesca La Motta, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 – 2020
Il volto della guerra (1940)
L’opera viene eseguita quando
Dalí si trova negli Stati Uniti dopo essere fuggito dall’Europa in seguito allo
scoppio della seconda guerra mondiale. Il soggetto presente al centro del
quadro rappresenta un volto scheletrico, privo d’identità. Le cavità orbitali e
la bocca contengono al loro interno dei teschi che a loro volta ne presentano
altri, come se questi si susseguissero all’infinito, nella medesima espressione
di dolore, di angoscia, come un urlo che riflette una terribile disperazione.
Il quadro raffigura l’idea di terrore della guerra, (probabilmente la guerra
civile spagnola del 1936, che egli visse in prima persona) portatrice di morte
e sterminio. Una morte perpetua, che si ripete, come se la guerra fosse una
condizione propria dell’uomo, un qualcosa di cui non può fare a meno e che si
protrae nel tempo. I colori predominanti sono diverse tonalità di giallo e
grigio, che conferiscono un’atmosfera desolata, desertica, al di fuori della
realtà. Inoltre importante è la presenza di una fonte luminosa a noi ignota,
che si proietta da destra, al di fuori della nostra visuale, per poi colpire il
teschio e evidenziarne i tratti spigolosi, la fronte corrugata, l’espressione
di terrore; una luce che rende l’immagine immobile, al di fuori del tempo, come
bloccata e immutabile. Un altro elemento sono i piccoli serpenti che avvolgono il volto, probabilmente serpenti
velenosi il cui morso può rivelarsi mortale e così contribuiscono a enfatizzare
ulteriormente il tema della morte imminente. Da notare l’impronta di una mano
nell’angolo in basso a destra, a simboleggiare le tracce di una presenza umana, o la popolazione civile
spagnola oppure l’umanità stessa il cui destino è stato segnato dagli orrori
della guerra. Da un punto di vista psicanalitico questa sua opera si
materializza e si impone al nostro sguardo proprio come se si trattasse di un
sogno, una visione tra realtà e sogno che richiede un vera propria
interpretazione. In chiave psicoanalitica possiamo dire che quella percezione,
quel sentimento che si evoca in noi nell’osservare l’opera, possa riflettere lo
stato d’animo di chi ha vissuto la guerra sulla propria pelle, chi ha subito
gli orrori oppure chi ne ha provocati. Può essere legato ad un trauma o ad un
ricordo passato appartenente a questo periodo e che Dalí cerca di far
riaffiorare indirettamente attraverso la sua espressione artistica. L’orribile
e il ripugnante sono caratterizzati da un’esecuzione formale costituita da
elementi quali una luce materica, che provoca un senso di vuoto ma
contemporaneamente è in grado di conservare l’immagine al centro del quadro e
proiettare quel disegno onirico, frutto ed espressione dell’interiorità
dell’artista. Così come la psicoanalisi non si affidò più all’acume
dell’interprete dei sogni ma lasciò questo compito al sognatore stesso
interrogandolo sulle associazioni per ogni singolo elemento onirico, così
l’artista adopera immagini e simboli la cui traduzione deve essere compiuta
dall’osservatore.
Irene Romani, V C, Liceo “A.
Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Poesia d’America (1943)
Dalì ha dipinto il quadro negli Stati Uniti, dove si era trasferito durante la seconda guerra mondiale.
In primo piano ci sono due
uomini: uno nasconde il viso tra le braccia, l'altro non ha testa e braccia.
Dall'uomo di destra nasce una bottiglia di Coca Cola che potrebbe essere un
simbolo di modernità. I colori dei due personaggi sono quelli della bandiera americana (bianco, rosso e blu) e sullo sfondo si intravede una cartina
geografica dell'Africa che si sta sciogliendo; questo potrebbe essere un segno
premonitore di Dalì sulle difficoltà che sarebbero nate tra uomini bianchi e di
colore (gli afro americani) dopo la guerra.
Nel quadro l'uomo di spalle
potrebbe rappresentare l'inconscio, quello di sinistra il super io o il
consumismo americano. Dall'uomo vestito di bianco esce un cassetto e questo
potrebbe significare che vuole liberare qualcosa che lo sta opprimendo e, una
volta liberato, è felice. Questa felicità potrebbe essere rappresentata dal
personaggio che esce dalla sua schiena, il quale tiene in mano un uovo che sta
a simboleggiare la rinascita. Visto con gli occhi di oggi potrebbe
rappresentare un'America che preda di profondi dissidi si avvia verso una
rinascita, dopo la guerra, ma anche verso uno sfrenato consumismo (la Coca Cola
e il petrolio in cui pare liquefarsi).
Elena Giannecchini, V SA, Liceo
“A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
L'Enigma Di Guglielmo Tell (1933)
Il pittore
per me ha voluto rappresentare il rapporto conflittuale che ha avuto col padre
nel corso della vita. Per capire ciò si può fare riferimento anche al complesso
edipico di Freud (che Dalì conobbe di persona), e che prevede nei primi anni di
vita del figlio un atteggiamento di gelosia per il genitore di sesso opposto e
di ostilità nei confronti di quello dello stesso sesso. L'uomo, protagonista
dell'opera, ha la faccia di Lenin, Padre della Nazione russa e figura di spicco
nella Rivoluzione bolscevica ed assimilabile alla figura del padre di Dalì.
Egli è trafitto da una lama, segno di distacco e ripudio per la sua figura.
Inoltre si nota che l'uomo ha una natica e un cappello sproporzionati sorretti
da stampelle. Questi due elementi sono riconducibili alla sessualità, alla
virilità, alla volontà del padre di prevalere e prevaricare sul figlio; le
stampelle sono sorrette con difficoltà perché difficili da sopportare. Dalí era
in contrasto col padre anche perché quest'ultimo non approvava la sua relazione
con una donna. Questo malcontento è dimostrato dalla minuscola culla situata
sotto i piedi dell'uomo che sembra volerla schiacciare. I corvi sono anch'essi
simbolo della sessualità repressa del figlio. Infine il titolo del quadro
(scritto sopra un grande plinto) ci riporta anch'esso al padre tramite la
storia di Guglielmo Tell che doveva centrare una mela sulla testa del figlio.
Rebecca Bolognino, V C, Liceo “A.
Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Il ragno della sera promette speranza (1940)
Eugenio Cerri, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Agonia dell'amore dell'unicorno (1978)
Romeo e Giulietta
Ad un primo sguardo il dipinto può sembrare confuso, le
figure non sempre sono riconoscibili e molti dettagli che possono aiutarci sono
difficilmente individuabili, contestualizziamo dunque l’opera. Dipinta nel 1940
l’opera nasce in un clima molto cupo, la guerra era in pieno svolgimento e Dalì
si trovava esiliato negli Stati Uniti dopo essere fuggito dalla Francia, in conseguenza dell’invasione nazista. Il dipinto mostra le paure del pittore
riguardanti il presente ed il futuro tramite una composizione che richiama
quella dei sogni; esso è dominato da una figura femminile stesa sul ramo di un
albero appassito che richiama la morte, essa regge un violoncello, che secondo
l’interpretazione psicoanalitica rappresenta la femminilità, anche in questo
caso morta. Un cherubino, simbolo della purezza, indica la figura
innaturalmente scomposta e piange di fronte agli orrori della guerra, che
prende la forma di un cannone sostenuto da una stampella. Dalì era affascinato
dalle stampelle, sin da quando ne trova una nella soffitta di casa sua da
bambino; esse rappresentano per lui la stabilità e conferiscono forza, ma in
questo caso potrebbero personificarsi nel genere umano che ha fatto della guerra uno strumento usuale per risolvere le questioni generali. Il cannone spara un cavallo in via di decomposizione, uno dei
cavalli dell’Apocalisse: esso è quindi la guerra che porta discordia; la vittoria,
rappresentata dalla Nike di Samotracia, dà le spalle e sembra non interessarsi
all’avvenimento, rendendo così inutile la vittoria di fronte alla distruzione.
Visibili, nel paesaggio arido e deserto, ci sono due figure, dei possibili
Adamo ed Eva, costretti a far ricominciare il genere umano dopo la catastrofe.
Dalì in tutto questo si ritrova nel volto della donna, come un palloncino
sgonfiato, quindi arreso, si trova per terra con gli occhi chiusi sormontato da
delle formiche, un'altra fissazione giovanile, impegnate a mangiare ciò che è
morto, di conseguenza a pulire ciò che rimane, dando inizio ad un nuovo ciclo
vitale. Nonostante le paure della guerra, della morte e del nuovo inizio Dalì
sembrerebbe rimanere speranzoso, ponendo un insetto, chiamato “Daddy Longlegs”
sulla propria faccia, secondo una tradizione popolare francese che credeva che esso fosse
un buon auspicio.
Andrea Secchi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Il ragno della sera promette speranza (1940)
Salvator Dalì, pittore spagnolo surrealista, potrebbe essere
definito un esteta dannunziano per il tipo di vita che lo caratterizzò.
Nella sua produzione artistica Dalì trasferisce i concetti di Freud in campo
artistico partendo dall’effetto che uno stimolo esterno produce sul sogno
stesso. La tela diventa per il pittore il luogo dove quasi in trans riproduce
il contenuto manifesto delle sue visioni, dove l’inconscio esplicita,
attraverso forme e simboli, le più remote fantasie, speranze e preoccupazioni.
L’opera “Il ragno della sera promette speranza” venne
dipinta tra il 1939-1940, tra la fine della guerra di Spagna e l'inizio della Seconda guerra mondiale. E' questo il periodo in cui Dalì, scappato in America con sua moglie Gala per non
dover assistere alle atrocità della guerra, dipinge quadri
molto più cupi e con più riferimenti alla tematica bellica. L’atmosfera cupa
del dipinto introduce già quelle che sono il tema e le sensazioni riversate nel
quadro. Lo sfondo rappresenta un paesaggio arido e desolato dove si stagliano
due piccole figure, un uomo e una donna, che appaiono lacerate. Il riferimento
potrebbe essere ad Adamo ed Eva, metonimia per fare riferimento all’umanità in
generale, di cui rimane solo la parte inferiore probabilmente come conseguenza
agli effetti psichici devastanti della guerra sugli uomini. In questo quadro
convivono l’eros e il thanatos per sottolineare l’ambivalenza nell’animo di
Dalì. Questa ambivalenza si rispecchiava anche nella sua posizione politica,
poiché esteriormente aveva sempre dichiarato di essere un apolitico, “Né staliniano, né hitleriano ma Daliniano” e poi in concreto simpatizzava con il
dittatore Francisco Franco con il quale ebbe anche un incontro in prima
persona. Davanti però alle atrocità prodotte dalla guerra anche lui non poteva rimanere indifferente, generandosi in
lui sensazioni di disgusto e orrore. La figura del cupido riposta in un angolo
del quadro, simbolo dell’amore e quindi di eros, potrebbe rappresentare il
Super Io del pittore. Questo si copre gli occhi incapace di guardare le
atrocità che stanno di fronte a lui, quasi vergognandosi delle posizioni
politiche. Di fronte a lui si stagliano infatti diversi simboli rappresentati
il Thanatos, la guerra: sulla sinistra si staglia un cannone con la bocca
rivolta verso l’altro cannone da cui esce un cavallo con la faccia da
scheletro; l’albero sulla destra ormai privo di vita e rinsecchito, le formiche
che camminano sul volto deformato della donna. La stampella posta sotto la
bocca del cannone per sorreggerlo, simbolo dei difetti della nostra
materialità, necessaria però alla nostra stessa sussistenza, potrebbe fare
riferimento all’opportunismo mostrato da Dalì nel sostenere per esempio
personaggi come Franco. Quando infatti l’esercito di questo prese potere nel
paese, il pittore per assicurarsi un sicuro rientro in Spagna dopo la guerra
cambiò parere sul dittatore. Il cavallo, generalmente simbolo di forza e di
libertà sessuale, si staglia verso il cielo liberandosi da qualsiasi freno lo
tenga saldo alla terra. Allo stesso tempo però la faccia trasformata in un
teschio reprime le pulsioni erotiche convertendole in impulsi di morte e
assumendo una valenza negativa come portatore di morte (riferimenti al cavallo della
“Guernica” di Picasso, e al cavallo ne “L’incubo” di Fussli).
In contrasto con tutti questi simboli ci sono due figure
femminili: la prima è quella della Nike di Samotracia, simbolo di vittoria
bellica, ritrasformata e amputata di un’ala; il secondo è invece il corpo
femminile in primo piano che si copre pudicamente con un violino, simbolo della
musica, e poggia sui seni due calamai, simbolo della letteratura. Questi due
elementi sono, in confronto anche al corpo stesso della donna, ancora intatti,
non deformati, forse a voler sottolineare l’immortalità e l’intoccabilità
dell’Arte anche di fronte ad eventi esterni come la guerra. Il ricorso
all’utilizzo di una figura femminile con valori positivi, in antitesi con il
resto del quadro, potrebbe essere legato all’attaccamento di Dalì alla madre, persa
troppo prematuramente. L’unica parte che rimane illuminata del quadro, quasi
uno spiraglio di vita e di speranza, è rappresentato dal ragno che è il vero
protagonista dell’opera. Secondo le mitologie antiche il ragno di notte è
portatore di buona speranza, probabilmente incarna per il pittore l’unico
spiraglio di luce che vede. Questa speranza è però turbata dalle formiche che
lo accerchiano, simbolo invece di preoccupazioni e impedimenti, forse perché si
rendeva conto di quando l’Europa era ben lungi dal ritornare alla tranquillità.
Questo gioco di contrasti, luce oscurità, figure di eros e di thanatos,
rispecchia la concezioni freudiana secondo cui l’inconscio di ognuno di noi è
diviso in due parti, una buona e una cattiva, che coesistono.
Sabrina Caprara, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Self Portrait by Steve Kaufman
(il quadro è stato interpretato come se fosse di Dalì)
Il
quadro sembra raffigurare il pittore spagnolo Dalì, considerato uno dei più importanti artisti del XX
secolo ed uno degli esponenti di punta del Surrealismo,
intento in quella che si potrebbe chiamare “autodistruzione” di
se stesso.
Dal
suo corpo emergono diverse braccia: una dipinge in aria reggendo un pennello,
un’altra regge la grattugia dove l’ultimo braccio (“l’ultimo” raffigurato
fisicamente) sta man mano scomparendo lasciando un lago di sangue nella vasca
che lo raccoglie.
Conoscendo
la vita di Dalì e la corrente artistica del Surrealismo, movimento artistico e
letterario d’avanguardia, che afferma l’importanza dell’inconscio nel processo
di creazione in contrapposizione al dominio della ragione, si può ipotizzare
che nella figura di Dalì raffigurata “siano rappresentati” lui, pittore e il fratello
morto nove mesi prima della sua nascita a Figueres l’11 maggio 1904.
Dalì
crebbe per tutta la vita influenzato da ciò che gli fu insegnato dai genitori: egli era la
reincarnazione del fratello ed infatti aveva il suo stesso nome (Salvador).
L’esperienza
traumatica può essere associata al quadro notando che, se il fratello, che vive
spiritualmente nella persona del pittore-Dalì, distrugge il suo corpo
“fisico”/terreno e fa spuntare la mano “distrutta” sotto forma di ombra sopra
il petto di Dalì (a questo proposito il pittore stesso affermò di essersi
immedesimato a tal punto nella figura del fratello da “sentire la sua ombra in
decomposizione”), il pittore stesso dipinge “sopra” al sangue del
fratello “sparso” a cui egli si appoggia tramite la stampella. Questa (situata
sulla sua spalla sinistra) è un elemento ricorrente nella pittura di Dalì e
rappresenta dunque un “feticcio” della sua pittura che simbolizza il sostegno e la forza per qualcuno debole e incapace di reggersi da solo. Questo
sottolineerebbe il fatto che Dalì non abbia ancora superato i traumi infantili, sentendosi
in qualche modo responsabile della morte fratello mai conosciuto, di non aver
appagato le volontà del padre, perpetuando un rapporto pessimo con lui lungo
tutta la vita, e frantumando così il clima familiare già segnato dal tremendo
lutto.
Gli
stessi oggetti affilati, numerosi nel quadro (come, per esempio, quello che
poggia sulla clessidra aperta) potrebbero essere simbolo delle “pulsioni di
distruzione” (Thànatos).
Sullo
sfondo è presente una torre a forma “fallica”, rappresentante “le pulsioni di
vita” (Eros) che potrebbe essere associabile, per quanto su detto e
considerando la morte precoce della madre, nel 1921, ad un “complesso edipico”
mai superato. Essa
(la torre) è circondata da specchi levitanti per aria che potrebbero richiamare
l’egocentrismo del pittore; a questo proposito citiamo la sua celebre frase: ”Ogni mattina mi sveglio e, guardandomi allo specchio,
provo sempre lo stesso ed immenso piacere: quello di essere Salvador Dalì.”
Infine
proprio dalla “scia” di sangue lasciata dal pennello cade una goccia che sembra
essere stata preceduta da un’altra riflessa dallo “specchio molle” segno di una
“condizione fuori dal tempo e dallo spazio”. L’immagine,
in questo senso, è rafforzata dalla presenza della clessidra priva
dell’estremità inferiore (perde la sua funzione di misurare lo scorrere del tempo)
e dall’ambiente stesso dipinto come alieno, atemporale e senza confini, in cui
emerge il “perturbante”.
Erasmo Pacini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
The painter's eye (1941)
Illustrazione per S.C. Johnson & co.
Secondo Freud l’uomo nasconde nell’inconscio fatti
traumatici che vengono respinti dalla coscienza. La persona attiva una sorta di
reazione di difesa e manifesta questi istinti inconsapevolmente solo nei sogni
nei quali i desideri vengono camuffati e creano una sorta di opera d’arte che
necessita di un’interpretazione. In questo caso l’opera d’arte è questa stampa “
The painter’s eye” del 1941 di Salvador Dalì.
Nel Surrealismo l’immagine dell’occhio occupò un posto centrale come si
vede in quest’opera in cui diviene il soggetto principale. Al centro del quadro
si trova il pittore con in mano un pennello e tutto il suo corpo è
rappresentato proprio dall’occhio che è lo strumento che l’artista utilizza per
mostrare allo spettatore le “cose invisibili”. Dall’occhio scende una lacrima
che rappresenta la tristezza per gli orrori che stavano accadendo in Europa
quegli anni; la Seconda guerra mondiale stava per scoppiare e Dalì, insieme
alla sua compagna, si rifugiava negli Stati Uniti. Il telefono legato ad una delle
ciglia potrebbe voler rappresentare un richiamo per gli uomini, all’umanità. Il
braccio del pittore è sorretto da una stampella che dà al pittore sostegno,
forza e sicurezza, la stessa che dava a Dalì quando da ragazzo trovò una
vecchia stampella in soffitta e ne fu immediatamente affascinato. La stampella
simbolizza anche un qualcosa che sostiene importanti valori umani che in quegli
anni si stavano perdendo. L’albero con le radici rappresenta la famiglia ed in
particolare sua madre che ha i rami brutalmente spezzati, dato che è morta per un tumore nel 1921, lasciando un vuoto incolmabile nella sua vita. Il cassetto e le
porte che si aprono dalla corteccia rappresentano i segreti dell’animo che la
donna cerca di reprimere nell’inconscio. Dalle due porte escono due teschi, uno
si nasconde e rappresenta gli impulsi sessuali da nascondere alla società e uno
si sporge perché mostra quegli aspetti che la coscienza umana può accettare.
Nel cassetto in basso a sinistra si trovano dei pulcini appena nati che sono
appena usciti dal loro uovo. Essi rappresentano la vita intrauterina e sono un
piccolo segno di speranza. In alto si può notare un’ auto che è proprio la vettura che Dalì e sua
moglie, la sua musa ispiratrice, hanno comprato nel 1941. Di fianco
all’autovettura è rappresentata una figura umana con il corpo fatto di
mattonelle instabili e con la faccia sostituita da un orologio. La testa di
questa figura è chinata e da essa spuntano alberi ed uccelli; tutto ciò vuole
rappresentare, collegandosi alla teoria sul relativismo di Einstein, che il
tempo non è rigido ma è fluido e senza limiti, la percezione umana del tempo
cambia a seconda dell’umore e l’orologio non ha più senso di esistere. Nel
petto della sagoma è presente un’entrata
buia che può rappresentare il rifugio dei desideri profondi negati dall’IO
dell’uomo. In basso a destra sembra rappresentata una piccola chiesa che può
riportare alla mente del pittore i ricordi delle notti in cui andava a pregare
sulla tomba del fratello, morto nove mesi prima della sua nascita.
Sabrina Kollobani, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La persistenza della memoria (1931)
Sono molti gli eventi che hanno scandito la vita di Salvador
Dalì ed è per questo che si ritrovano molto spesso nei suoi elaborati; questo
dipinto è ricollegabile ad alcuni di essi. Significativo per il pittore è stato
il cattivo rapporto che ha sempre avuto con il padre, il quale, a seguito di
una scritta oltraggiosa che il figlio ha collegato al Sacro Cuore, lo caccia da
casa. In relazione a questa opera non è tanto il rapporto conflittuale ad
essere significativo quanto ciò che ne è derivato, cioè il trasferimento di
Dalì e della sua compagna di vita, Gala, a Port Lligat, luogo che rappresenta l'ambientazione
dell'opera. Gli elementi che portano a fare questo collegamento sono l'ulivo (è
celebre infatti a Port Lligat una visione della baia attraverso degli ulivi) e
le scogliere in lontananza che caratterizzano la costa spagnola, a lui molto
cara. Altri eventi significativi sono stati la morte del fratello maggiore e la
morte della madre ed è per questo che si può considerare la morte come un tema
significativo per l'artista, che riporta anche in quest'opera. Infatti, al
contrario dei fiorenti ulivi di Port Lligat, qui è rappresentato un ulivo in
punto di morte, avente un solo ramo senza foglie, e il volto che, pallido e
avente l'occhio chiuso, giace a terra
circondato da un terreno molto scuro, in contrasto con il giallo ocra
molto acceso del paesaggio. Questo viso è probabile che appartenga alla madre i
cui occhi non si apriranno più. Ulteriore elemento collegabile alla morte sono
le formiche che sovrastano quell'unico orologio chiuso, poiché questi insetti sono sempre state una delle più
grandi fobie di Dalì e che, come simbolo di morte, riporta anche nel
cortometraggio "Il cane andaluso" da lui sceneggiato insieme al
surrealista Bunuel, dove queste fuoriescono dalla mano di un uomo. Tutto questo è messo in contrasto con la luminosità dello
sfondo riconducibile alla luce della sua vita: Gala, che, incarnata dalla baia
ricca d'acqua, rappresenta la sua fonte di vita. Tuttavia, tutto il dipinto si
concentra sui cosiddetti "orologi molli" che Dalì ha dipinto dopo aver
osservato del formaggio Camembert che si stava sciogliendo e che lo hanno fatto
riflettere sulla relatività e fugacità del tempo. Gli orologi non hanno infatti
una consistenza solida ma liquida per due motivazioni, una teorica e una
stilistica. La ragione teorica è collegata alla teoria della relatività di
Einstein secondo la quale la percezione del tempo non è universale ma cambia a
seconda del soggetto e ciò, nell'immaginario di Dalì, si ha soprattutto nei
sogni, regolati dall'inconscio. La ragione stilistica dipende dal fatto che, da
surrealista, Dalì era portato a dipingere i suoi soggetti trasportandoli in
mondi irreali, visti da lui come un via di fuga dalla realtà e dal mondo che
non lo rispecchiano. È qui rappresentato un mondo, molto probabilmente un sogno
appunto, nel quale il tempo si decompone (come indicato dalla mosca
sull'orologio) e perde quindi la sua validità. Il titolo fa comprendere la
visione che Dalì aveva del tempo e cioè come questo sia sconfitto dalla memoria
che riesce prescindere il suo scorrere e quindi persiste; è infatti un orologio
quello dipinto sul volto, presumibilmente della madre, come stando a
significare che il tempo è passato ma lui di lei non perde il ricordo.
Benedetta Marraccini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Il gioco lugubre (1929)
“Il gioco lugubre” dipinto da Salvador Dalì nel 1929 fu la
sua prima opera appartenente al movimento dei surrealisti, opera che provocò
disapprovazione e sconcerto tra i componenti del movimento. Dalì per dipingere
adottava il metodo paranoico-critico (da
lui stesso inventato), per potersi immergere al meglio nel proprio inconscio e
tirarne fuori un’opera d’arte. Sigmund Freud fondatore della psicoanalisi
avrebbe potuto psicanalizzare i suoi dipinti come se fossero dei sogni, le vie
privilegiate d’accesso all’inconscio. Infatti, andando a psicanalizzare l’opera
citata in precedenza possiamo distinguere tre blocchi di elementi: la statua a
sinistra, il volto al centro e le due figure maschili a destra. Partendo dal
primo blocco la nostra vista viene canalizzata sull’enorme mano della statua,
simbolo dell’autoerotismo maschile, mentre il senso di vergogna provocato dalla
masturbazione è messa in evidenza dall’altra mano che va a coprire il volto. Ai
piedi della statua vediamo una figura nera, seduta con un oggetto cilindrico
flaccido in mano, potrebbe essere un’allegoria dell’impotenza maschile
nell’avere un’erezione. Infine il leone simbolo di forza, probabilmente
riferito al padre di Dalì. Nel secondo blocco notiamo un enorme volto
dormiente, probabilmente femminile fluttuante con una cavalletta posata sulle
labbra, la cavalletta è una delle fobie di Dalì, insetto che compare in molti
altri dei suoi dipinti. Il fatto che sia sulle labbra, simbolo erotico del
sesso femminile, può significare un senso di paura nel relazionarsi col sesso
opposto. Al di sopra del volto, l’autore raffigura un agglomerato di sogni
uscenti dalla testa. Nell’ultimo blocco a sinistra vediamo una prima figura
maschile con le mutande macchiate di escrementi (elemento che causò scalpore tra
i surrealisti); esso potrebbe far riferimento alla seconda fase dello sviluppo
psicosessuale, quella anale dove il neonato prova appagamento sessuale, quasi
gratificante, dal controllo autonomo del proprio sfintere. Nella mano della
persona, possiamo inoltre notare uno straccio insanguinato, simbolo della
castrazione. Infine abbiamo una figura umana con un foro sulla testa, avente
una forma che ricorda quella di una vagina, la quale è penetrata dall’indice
della mano, simbolo dell’autoerotismo femminile.
Federico Marchetti, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Baccanale (1939)
Bacchanale
è il primo di nove balletti ideati da Salvador Dalì, essi furono presentati a
New York tra il 1939 e il 1949. La scena del dipinto rappresenta il monte
Venere, sullo sfondo vi è il luogo di nascita di Dalì. Guardando
questo quadro mi ha stupito subito la figura del cigno in primo piano: questo
animale si può ricondurre al mito di Leda, secondo il quale Zeus, trasformatosi
in cigno, si accoppiò con Leda,
generando due uova. Non avendo nessuna
fonte certa, ho dedotto che queste due uova potessero rappresentare Dalì e suo
fratello maggiore, tesi confermata dal fatto che, essendo morto il fratello, il
cigno ha una sorta di porta oscura
rappresentante forse un cimitero.
Di solito il cigno è associato
alla purezza, alla bellezza e alla pace. Tuttavia, in questo caso, c’è un contrasto con la visione
tradizionale dell’animale: sia il paesaggio arido sullo sfondo, sia le ossa,
sia il cigno stesso rappresentato senza
occhi e con delle crepe, trasmettono un senso di angoscia. Il monte rappresenta, a mio parere, la
divisione freudiana tra conscio e inconscio: il primo, rappresentato sullo
sfondo, presenta degli uomini su cui governa la coscienza, mentre in primo
piano l’inconscio è rappresentato da questo cigno il quale, se da una parte
come detto precedentemente simboleggia la morte, potrebbe rappresentare anche la vita come dimostra il ramo che spunta
dall’ala, simbolo di una nuova vita dopo la morte. Carlo Meschi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Madonna di Port Lligat (1950)
Questo è uno
dei pochi quadri di Dalí a tema religioso, in cui ritrae la Madonna col
bambino, inserendoli nel paesaggio visto dalla sua casa a Port Lligat e
stravolgendo la composizione delle cose com’era sua consuetudine e che caratterizzava il suo surrealismo. La peculiarità del quadro, è che gli elementi sembrano fluttuare nell’aria,
come se fossero attratti l’un l’altro ma non potessero instaurare un contatto.
Qui lo si vede bene con il bambino e la madre. Il bambino è sulle sue gambe ma
non vi poggia, così come è davanti a lei e al suo ventre, ma non vi è
all’interno, nonostante vi sia una cavità. È come se percepissimo che il
bambino voglia distaccarsi dalla madre ma non possa per il cordone ombelicale
che ancora lo tiene ancorato a lei. Tuttavia secondo me emerge un forte
attaccamento del bambino alla madre, identificabile con il complesso freudiano
di Edipo, proprio per il fatto che il bambino manifesti l’attaccamento materno
quasi come se si trovasse ancora nella fase di gestazione, quando il bambino è
nella pancia della madre. Le mani in posizione di preghiera della madre fanno
come da protezione al suo corpo, come se lei stessa non fosse pronta a
lasciarlo, come se fosse ancora parte di lei. Il non contatto tra i loro corpi
è la fase iniziale di un loro distacco inevitabile dovuto alla crescita del
bambino, che entrambi non sono pronti ad affrontare.
Anche il
bambino al tempo stesso presenta una cavità nel suo ventre. Dalì sceglie di
rappresentarvi un pezzo di pane, e pone nelle mani del bambino due oggetti: una
sfera e un libro. Dando un’interpretazione religiosa a questi elementi, sorge
spontaneo ricondurre il pezzo di pane alla tradizione cristiana di Gesù e
dell’ultima cena, mentre la sfera, secondo me è associabile al nostro pianeta
Terra, scuro perché avvolto dal male, e nell’altra mano il libro, il Vangelo,
con la funzione di redimere l’uomo dal peccato, quindi uno strumento di cui si
deve avvalere il Signore, il futuro bambino, per portare il bene nel mondo.
Un’interpretazione più interessante invece può essere quella di tipo
psicanalitico: il pane nel ventre del bambino, in quanto cibo, può
rappresentare la pulsione di fame e per estensione le pulsioni in generale, che
sono parte dell’inconscio umano, e rappresentano un’esigenza che l’uomo ha ed è
costretto a soddisfare, agendo d’istinto come se fosse un animale. Queste
pulsioni innate sono compensate dall’educazione e dal rigore morale che l’uomo
riceve dall’esterno, rappresentato dagli oggetti che tiene in mano perché elementi costanti della sua vita, che sono la logica, simbolo della sfera, e la
razionalità, simbolo del libro.
Siglinde Tofanelli, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Il ritratto di Picasso (1947)
Hans-Georg Gadamer, famoso filosofo tedesco, affermava che
l'arte ha regole proprie. Dalì, come
Picasso e come tantissimi altri esponenti di diverse correnti artistiche, prima
fra tutte il Surrealismo (movimento artistico sorto nel 1924 con il fine di rivalutare
la parte irrazionale dell’uomo, per poter esprimere liberamente il mondo
dell’inconscio, della fantasia, del sogno e dell’istinto), esprime a pieno
questo concetto nella sua arte. Attraverso essa, Dalí desidera dichiarare come
l’inconscio sia presente nella vita quotidiana. Ferreo sostenitore delle teorie
di Sigmund Freud, il pittore pone particolare attenzione al sogno: la via per
accedere all'inconscio. Nel tocco artistico di Dalì è evidente il suo desiderio
di evadere da una realtà banale e conformista.
Ad un primo sguardo, il "Ritratto di Picasso" pare composto da elementi alienanti, quasi
come fossero un'accozzaglia di oggetti volti a formare un intero. Sopra il capo
è disegnato un insieme di pietre e massi, non direttamente poggiati sulla sua
testa, che potrebbero essere interpretati come una corona, dato che sappiamo
che, nonostante la complessa relazione tra questi due grandi artisti, Dalì e
Picasso godevano di reciproca stima. Picasso in questo ritratto presenta
l'attributo di un seno femminile, elemento che, nel linguaggio di Dalì,
rappresenta l'antipatia che l'artista prova verso il soggetto. Scorrendo lungo il seno troviamo un fiore,
forse segno della vita che rinasce, della speranza o della fertilità. La forma dei capelli
ricorda un serpente, e questo forse può essere riconducibile alla simbologia di
Medusa, figura mitologica greca con il potere di pietrificare chiunque incroci
il suo sguardo. Questo serpente penetra nella testa del personaggio, guardando
fuori dalla sua bocca, questo potrebbe stare a significare che le parole di
Picasso, ciò che ha sempre cercato di comunicare (magari anche attraverso la
sua arte) è sempre stato frutto di un elaborato processo di ragionamento,
oppure potrebbe significare che il gesto artistico parte prima di tutto dal
cervello. Se osserviamo questa caratteristica con un occhio freudiano, invece,
essa potrebbe essere il Super-Io, ovvero la coscienza morale, con i modelli
ideali di comportamento, che quindi guida attraverso l'inconscio la parte
cosciente in grado di comunicare. L'estremità del serpente diventa un cucchiaio
su cui giace un minuscolo mandolino; sulla base del busto, invece, si trova un
fiore rosso. Mandolino e fiore potrebbero essere essi stessi simboli dell'arte,
il mandolino come strumento capace di creare arte (musica), il fiore come fonte
di ispirazione. Insomma, quest'opera lascia grande spazio all'immaginazione e
all'interpretazione di ognuno, e in questa libertà risiede l' "incremento
di essere" della filosofia di Gadamer: quando interpretiamo un quadro,
diventiamo artisti, in grado di attribuire e creare innumerevoli significati ad
ogni caratteristica di un'opera d'arte, permettendo ad essa di non morire mai.
Sia Picasso che Dalì erano personalità forti, con il gusto dello scandalo, che
rivoluzionarono l'arte: forse è proprio questa comune caratteristica che Dalì
ha voluto evidenziare ritraendo in modo così eccentrico Pablo Picasso.
Asia Russo, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Singolarità (1936)
Il quadro ‘Singolarità’ del 1936 probabilmente a
prima vista ci trasmette poco, quindi in che modo andrebbe interpretato? Noi
non seguiremo il modo giusto ma quello che potremmo intuire entrandoci in
relazione, nella concezione di Gadamer, e vedere quale sia la nostra versione.
Intanto proviamo a capire dove ci troviamo e come è suddiviso il quadro. Si
potrebbe suddividere in tre parti principali: la costruzione rossa sulla
sinistra, i personaggi e i mobili in primo piano e la scena che si svolge sullo
sfondo. Come potremmo collocarci in uno spazio o in un tempo? Intanto
l’orologio molle sulla destra, uno dei simboli di Dalì, e il cielo stellato ci
suggeriscono una realtà temporale distorta probabilmente un sogno. Questa
parola ci riporta ad uno di coloro che Dalì considera padre della sua pittura:
Freud. Prendendo per vera questa ipotesi possiamo aiutarci con alcuni
riferimenti alla sua metodologia psicoanalitica. Partiamo dalla scena in primo
piano dove troviamo un simil-divano rosso, con due sagome, e davanti ad esso
vediamo solo, sulla destra, una figura femminile con vari elementi naturali
mentre, sulla sinistra, quello che rimane di una pianta appassita. Già dalla
formica sull’orologio molle, simbolo in Dalì di declino e istinto sessuale,
possiamo intuire che la donna sia Gala, moglie dell’artista e sua musa, che
presenta piante e fiori rigogliosi probabilmente simbolo della sua florida
attività sessuale extraconiugale. A questo punto non possiamo che teorizzare
che il tronco marrone sia il pittore e sua sessualità morente, rispecchiando un
matrimonio quasi totalmente privo di rapporti fisici. Quindi in primo piano ci
resta soltanto un piccolo puf rosso vuoto che potrebbe alludere alla mancanza
di un figlio. La seconda sezione sullo sfondo invece ci presenta una montagna,
simbolo di una personalità incombente, con due fori uno inferiore, dall’idea
freudiana di simbologia femminile, e uno superiore che assomiglia ad un
triangolo, ricordo dell’infanzia di Dalì che metteva del pane triangolare in
testa quando era bambino e che riproporrà in più opere. Realizziamo che questa
potrebbe simboleggiare la madre solo vedendo una figura adulta e un bambino ai
suoi piedi, il pittore e il padre. Notiamo anche il bambino indicare il
pianoforte simbolo di peso e cassa, forse la cassa da morto del fratello. La terza sezione sulla sinistra invece
rappresenta una struttura rossa, dove riappare il triangolo, sormontata da tre
busti: il primo con un cassetto, rappresentazione di segreti e pulsioni
nascoste ormai venute a galla, la seconda con un orologio, NON fuso, che
potrebbe indicare la realtà e la terza con un’espressione atroce e un pane in
testa, a suggerire il rimando ad un’infanzia traumatica. Questi elementi ci
portano a giudicare i peli bianchi, come purezza di istinto infantile, chiusi
da una zip a rappresentare (forse) una famiglia rigida e repressiva. Altra simbologia connessa alla
casa paterna è la sedia che se ne sta fuori come a simboleggiare un’uscita dalla
famiglia, pur rimandone legata, che potrebbe indicare il fratello, di cui gli è
stato fatto credere di essere la reincarnazione. Inoltre la luce puntata verso
l’alto sembra indicare l’ascesa verso il cielo. Seguendo questa riflessione
sull’opera possiamo dire di aver fuso le nostre idee con quelle dell’autore
dandogli nuovi significati e lasciando qualcosa di noi al suo interno.
Sara Menchini, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Bambino geopolitico guarda la nascita dell'uomo nuovo (1943)
Dato che Dalì compose questo dipinto durante il suo
soggiorno in America (1940-1948), in cui era sbarcato per sfuggire al regime
totalitario di Francisco Franco, sia il titolo che l’aspetto estetico possono
ricondursi a tale soggiorno. Egli rappresenta sé stesso, attraverso un
uomo di cui non è visibile il volto, rinchiuso all’interno di un enorme uovo su
cui sono rappresentati i continenti , il quale, come cadendo giù dal cielo (forse come una bomba in
guerra) avesse subito un impatto tale da schiudersi parzialmente e strappare
l’involucro di stoffa che lo conteneva, il quale si è scisso a sua volta in una
parte per terra e un’altra parte in aria come se fosse tenuto da qualcosa (forse
semplicemente l’aria o addirittura la mano di Dio).
L’uomo non riesce a schiudere del tutto tale contenitore, e
ne resta ancora imprigionato nonostante continui a dimenarsi (dettaglio
evidenziato dalla deformazione dell’uovo a sinistra), come a indicare la
nostalgia di casa dell’autore, ma in opposizione alla consapevolezza di non
potervi fare ritorno fino alla fine della guerra, i cui effetti sembrano resi
noti dall’ambiente desertico simile a quello di un paese povero dell’Africa o
del medio-oriente, dati i monumenti e le poche figure che appaiono.
Tra le figure che si possono notare di più, vi sono un
nativo del luogo (presumibilmente un indigeno) di sesso non definibile (dati i
genitali coperti dalla foglia), senza indumenti e dall’aspetto scheletrico e
trascurato, il quale indica con un dito il fenomeno sovrannaturale, mentre
stretto alle sue gambe, alla ricerca di protezione, appare suo figlio, un
bambino impaurito e confuso da tale avvenimento.
L’Ambiente, come nella gran parte dei dipinti di Dalì, viene
reso più “alieno”, ossia più estraneo
possibile all’osservatore, come a indicare il mondo dei sogni, in cui veniamo
trasportati nostro malgrado in ambienti, talvolta, indefiniti e infinitamente vasti.
Questa esperienza che Dalì ha vissuto potrebbe definirsi
appunto come una rinascita, vista dalla prospettiva dell’autore raffigurato
all’interno dell’uovo, come a indicare letteralmente la nascita del nuovo uomo
nel Nuovo Mondo (termine originariamente usato per riferirsi all’America in cui
tra l’altro si è stanziato), ma anche rispetto al resto dell’umanità
tenendo conto dell’effetto globale della Seconda guerra mondiale che ha
cambiato la vita di tutti i giorni.
Nel complesso questo quadro rappresenta un’allegoria, se non
addirittura una parodia, di tale conflitto: la prima spaccatura viene fatta dal braccio dell’uomo, che
fuoriesce da dove è raffigurata l’America del nord, la quale però esercita
pressione sull’Europa, schiacciandola e
dando più risalto all’America del Sud (resa esteticamente più grande come
segno della crescente importanza del terzo mondo rispetto alle precedenti
potenze) evocando anche il ruolo degli Stati Uniti, secondo lui provvidenziale e
necessario per determinare la fine Seconda guerra mondiale.
Per la costituzione di questo quadro potrebbe essere
determinante l’influenza delle teorie psicanalitiche di Freud, oltre a quelle riguardanti le visioni oniriche, che
vengono rappresentate in molte delle altre sue opere, in quanto carattere principale
dello stile surrealista.
In questo caso si potrebbero evidenziare alcune
caratteristiche del trauma della nascita, comune per tutti, ma sempre rimosso
nel nostro subconscio: prima di nascere i bambini sono tranquilli, in
costante fase di nutrimento e senza pensieri o problemi di alcun tipo, ma
quando escono provano la sofferenza data dalla durezza della vita e del mondo
che li circonda; allo stesso modo Dalì potrebbe aver raffigurato la sua
volontà di tornare a casa, ma anche quella di sfuggire agli orrori della
guerra, i cui effetti devastanti, come detto in precedenza, potrebbero essere
evocati dall’ambiente desertico e ostile al di fuori dell’uovo, in cui è costretto
a rimanere parzialmente rinchiuso.
L'opera inoltre potrebbe
raffigurare il continuo sviluppo dell’uomo, e quindi la continua rinascita
dell’uomo moderno, quello bianco appartenente alle terre più modernizzate,
in continuo contrasto con l’uomo delle terre d’origine, quello di colore appartenente
alle zone equatoriali .
Partendo dallo specifico Freud ritiene che l’uomo dalla
nascita sia dominato dal complesso edipico (o di Elettra per le donne), ossia
dalla tendenza a sopraffare il proprio genitore dello stesso sesso, con un
sentimento di odio, per potersi tenere quello di sesso opposto; ma in questo caso l'ostilità edipica si ha da parte dell'uomo occidentale verso ciò che
rimane dei propri progenitori, provenienti dall’Africa, la culla dell’umanità, per ottenere il predominio sul mondo.
Gradiva (1931)
Gradiva significa “Donna che cammina”. Per la prima volta venne realizzata sotto
forma di bassorilievo, tra il secondo secolo A.C. e il secondo secolo D.C.,
adesso situato nei musei vaticani. Questo bassorilievo, in un libro scritto da
Wilhelm Jensen nel 1903, colpisce un archeologo a tal punto da apparire con
regolarità nei suoi sogni.
Il libro fornì molti spunti a Sigmund Freud per la sua
analisi psicoanalitica, spingendolo ad affrontare i temi del rapporto tra sogno
e delirio, e dei sogni “non sognati, ma inventati da poeti”.
Questi elementi, soprattutto quelli deliranti sono molto presenti
nella pittura surrealista,
e un altro ad interpretare questo tema fu Salvador Dalì. La
figura protagonista, a differenza del bassorilievo, non sta propriamente
camminando, bensì pare che si stia lentamente alzandosi da quello che sembra
in tronco di un albero, e che divide in due parti il dipinto, quella sinistra,
colma di luce e colori, e quella destra, scura, indefinita, quasi tetra se
vogliamo. La Gradiva rappresentata potrebbe essere Gala, la donna conosciuta
due anni prima della realizzazione dell’opera e con la quale conviveva da un
anno. Durante quel periodo, Dalì venne cacciato di casa dal padre, e il loro
rapporto si incrinò rovinosamente. Il padre non approvava la sua sempre
maggiore vicinanza al movimento surrealista, e soprattutto la relazione con
Gala.
Potrebbe venire da pensare che la donna, nuda con solo il
mare a coprirla, si stia lentamente muovendo dal tronco verso la zona luminosa,
e questo possa essere un’allegoria della vita dell’autore, che tramite
l’incontro con la sua amata, si muove da un passato che ormai da molto tempo
non lo aggradava verso un futuro, che almeno nei pensieri dell’autore sarà
roseo e felice, come in una sorta di sogno che forse non è mai stato sognato, ma
inventato dall’autore.
La “donna che cammina” passa da essere un soggetto anonimo
ad essere una donna ben precisa, che non solo camminerà, ma accompagnerà
l’autore per il resto della sua vita
Samuele Nucci, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Ritratto di una femmina passionale, le mani (1945)
Dalì si accosta a diverse correnti e movimenti artistici per
l’intero arco della sua vita ma, sicuramente, l’influenza più grande fu quella
del Surrealismo. Durante questo periodo basa molte sue opere sul metodo
“paranoico-critico” che consiste nell’esplorare il subconscio per raggiungere
un maggiore livello di creatività. Dal surrealismo riprende anche il concetto
di fondere il mondo del conscio con quello dell’inconscio: incontro reso spesso
possibile dalla figura di sua moglie Gala.
L’intera opera risulta nel suo complesso ordinata e
positiva, concetti sottolineati dalla presenza di colori chiari e un asse
passante tra le due mani. Esse, elementi principali dell’intero dipinto, sono
di proporzioni smisurate per rimarcarne l’importanza.
Le mani, che si suppone siano della moglie, Dalì decide di
rappresentarle leggiadre e sensuali, ma comunque segnate dal tempo. Esse,
sfiorandosi, formano una specie di arco che racchiude quasi tutti gli elementi
sottostanti, come un portale che rimanda ai ricordi vissuti dall’artista. Il
paesaggio è l’unico punto d’incontro con il mondo reale ma anch’esso è
movimentato da sagome più simili a immagini evanescenti che ad elementi veri e
propri. Le unghie laccate di rosso,
chiaro simbolo di passionalità, aggraziano ulteriormente le mani,
rappresentazione della femminilità e inno dello stesso artista all’ammirazione
per l’amata. Sono presenti, inoltre, stampelle a sostegno della mano e delle
dita. Esse sono un evidente simbolo di bisogno di sostegno: la fragilità delle
passioni nel tempo ha bisogno di un supporto che spesso si cerca di nascondere
attraverso l’eleganza e la frivolezza dell’esteriorità. I polsi sono entrambi
ornati con gioielli color oro che richiamano, anch’essi, al concetto di
eleganza ma, su quello di sinistra, è presente qualcosa di molto più
significativo: la riproduzione di orologi molli è molto frequente nelle opere
di Dalì che, con essi, tende a richiamare il concetto di tempo come qualcosa di
soggettivo e non rigido. Il fatto che l’orologio venga rappresentato molle,
sottolinea che la sua funzione perde di ogni significato, come se le figure
bianche fossero intrappolate in un tempo al di fuori di quello scandito nella
realtà ma presente solo nella percezione umana: quella del ricordo.
È inoltre presente una formica, altro simbolo utilizzato
molteplici volte nei suoi quadri, che incarna sia l’irrefrenabile desiderio
sessuale, che si lega immediatamente alle mani, ma anche la morte e il declino
umano basato sulla temporaneità. La morte è un concetto che accompagna la vita
di Dalì fin dall’infanzia, per colpa di un trauma legato alla morte del
fratello prima della sua effettiva nascita. Ma essa, forse, è intrinseca nella
sua mente anche per un altro motivo: essendo Gala undici anni più grande,
probabilmente, l’inconscio dell’artista vive nella continua paura di perdere
ciò che lui definiva quasi un’ossessione: la sua compagna e musa.
L’intero quadro è quindi la raffigurazione sia della paura
sia della presa di coscienza dell’artista di perdere le passioni e i momenti
passati, non riuscendo a bloccarli all’interno del tempo.
Sara Candida De Matteo, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile (1936)
Per analizzare l'opera penso sia utile partire dalla
descrizione che Dalì stesso diede del proprio quadro: ''Nel quadro rappresentai
un enorme corpo umano che irrompeva all'esterno con numerose escrescenze di
braccia e gambe che si laceravano in un delirio di autostrangolamento''. A
partire da questa definizione si è formata l'interpretazione più accreditata:
Dalì in questa opera, mostrando due parti separate dello stesso corpo in un
conflitto mortale, sta parlando della Spagna, nella quale, a causa guerra civile
che darà origine alla dittatura di Francisco Franco, persone dello stesso paese
intraprenderanno una guerra fratricida. Indubbiamente questa interpretazione è
fondata ma penso che dall'opera e dalle parole del poliedrico surrealista sia
possibile dare una diversa interpretazione: penso che l'opera rappresenti un
conflitto interiore, quel conflitto continuo presente nell' uomo fra forze
opposte dello stesso sistema, quello fra Super-Io ed Es. Sotto la superficie
del conscio di ognuno di noi, i nostri impulsi atavici sfidano le proibizioni
morali in un continuo duello segreto dove sta all'Io fare da arbitro. Nel
quadro credo siano presenti tutti e tre
gli aspetti della topica di Freud: l' Es è la composizione superiore, fatta da un seno e da un viso,
del quale è difficile capire l'espressione; è un momento di dolore o di
piacere? Il Super-Io più in basso che si trasforma in radice cercando di
impedire una sorta di fuga dell'Es. Volendo possiamo identificare l'Io nel
piccolo uomo in basso a sinistra, di forma più realistica ed umana; essendo la
parte più definita ed ordinata della nostra psiche. Penso che questo tipo di
interpretazione possa essere tanto interessante quanto quello più comune perché ci dà una particolare interpretazione del personaggio di Dalì. Io credo che il
conflitto nel quadro sia un conflitto
particolarmente presente nell'autore e che questo conflitto sia l'origine della
singolare personalità di Dalì. Per capire l'origine del conflitto bisogna
andare, come Freud insegna,
nell'infanzia. Salvador è nato nove mesi
dopo la morte del fratello,
anch'esso chiamato Salvador. Dalì stesso dirà ''Probabilmente lui era una prima
versione di me, ma concepito in termini assoluti''. I genitori gli
fecero credere di essere una reincarnazione imperfetta del fratello
morto; credo che questo avvenimento,
insieme all'atteggiamento fortemente severo e moralista del padre ( il cui influsso è stato sicuramente più forte dopo la dipartita della madre) ha
radicato nell'artista l'idea di essere inadeguato, incapace. La paura che questa
idea sia vera, ha spinto Dalì a fuggire
da essa. Ha quindi creato una Persona (prendo in prestito il termine Junghiano)
che, abbracciando l'Es, si sottrae dai canoni morali e sociali che sono visti
come un possibile pericolo. In conclusione,
è possibile, leggere l'opera come una rappresentazione del conflitto,
presente nell'autore, fra un Super-Io ossessivo e un Es che cerca di compensare
con gesti eccentrici e anticonvenzionali.
Mauro Giannecchini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile (1936)
Questa composizione fu completata dall’artista spagnolo
Salvator Dalì pochi mesi prima dello scoppio della rivoluzione spagnola, e si
propone di essere un grottesco, rivoltante ma interessante miscuglio di parti
umane che cercano di combattersi a vicenda come previsione della guerra che
coinvolse i cittadini spagnoli. La cruenta scena è stata gentilmente addolcita
dall’autore con l’inserimento di qualche fagiolo bollito buttato qua e là.
Dalì fu uno dei maggiori esponenti del Surrealismo,
movimento artistico dedito a liberare il potere creativo della mente inconscia,
grazie all’utilizzo di strane immagini prive di un apparente senso logico
tipico dei sogni.
L’artista non si trattiene dunque a rappresentare, anche in
maniera esplicita, le proprie pulsioni e perversioni sessuali: una delle due figure che afferra con violenza la tetta
dell’altra, il fondoschiena della figura in basso sorretto da un piede
scheletrico, la presenza di una grande figura moscia e rossa appoggiata sulla
figura in basso che potrebbe ricordare una lingua o un fallo, senza tener conto
della quantità di fagioli bolliti sparsi in giro.
Spicca però nella parte bassa del quadro una cassettiera che
sorregge una delle due figure: si tratta di un’influenza diretta da parte del simbolismo
appartenente alla teoria psicanalitica di Freud, secondo la quale i cassetti
rappresentano i desideri nascosti e la sensualità segreta delle donne, che solo
la psicanalisi è in grado di aprire.
Notiamo inoltre che uno dei due cassetti è leggermente
aperto, non si tratta di un dettaglio lasciato al caso, bensì di un messaggio
da parte di Dalì: i segreti che esso contiene, grazie alla psicanalisi, sono
conosciuti e non c’è più bisogno di temerli.
Giulio Gargani, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Televisioni - Comunicazione. Le sette arti viventi (1957)
Ho fatto fatica a trovare un punto d’incontro tra il vissuto
dell’autore cioè di Salvador Dalì e il mio vissuto per andare incontro ad una
fusione dei nostri orizzonti, ampliando la mia visione del mondo e allo stesso
tempo riuscendo a conoscere in maniera più profonda me stessa. Ma prima di giungere a questo punto di arrivo, ho cercato di
individuare il contenuto manifesto ovvero come si presenta l’opera ai miei
occhi e il cosiddetto “contenuto latente” di cui parla Freud dato che le opere
di Dalì proiettano delle visioni oniriche
sfruttate dall’ inconscio per
comunicare un desiderio dell’individuo nascosto, di cui si vergogna o di
qualcosa che non riesce ad accettare e che è stato rimosso dalla sua psiche. L’opera è stata realizzata nel 1936, anno in cui Dalì si
trovava all’esposizione surrealista di Londra, dove secondo alcune fonti
incontrò il suo amico e cliente Edward James che divulgò le sue opere in
tutto il mondo occidentale.
Osservando lo sfondo, vediamo delle giraffe che bruciano
inserite in un ambiente cupo, grigio che non ricorda l’habitat naturale in cui
vivono questi animali e questa caratteristica va ad amplificare ancora di più
il concetto di sogno poiché ci troviamo in un ambiente inusuale e bizzarro.
Questi soggetti sono molto frequenti nelle opere dell’autore basta guardare il
quadro “giraffa infuocata”, dove la figura della giraffa richiama il periodo
della guerra civile spagnola dato che anche se l’artista non si trova in Spagna
nel momento in cui realizza queste sue opere, tale situazione lo tocca
personalmente e con queste tele trasmette il suo disagio e la sua angoscia che
prova per un evento di così grande interesse e timore per lui.
In primo piano vi è sulla destra una strana figura, una
specie di cyborg che al posto della testa
possiede un occhio; il busto è in legno e ricorda la struttura che rappresenta
la base della cornetta di un tipico telefono degli anni 30 e la parte inferiore
è costituita da gambe umane caratterizzate da un colore scuro sfumato tra il
nero e il verde. Le lunghe ciglia del “monocchio” alla fine delle quali si
trovano dei telefoni, si attorcigliano attorno ad una donna coperta da un velo
solo nella parte inferiore. Questo quadro evoca il caos, la confusione delle comunicazioni,
nella società e nella vita di tutti i giorni.
Sul busto di legno dell’uomo robotizzato, notiamo un
cassetto semiaperto e da un punto di vista psicoanalitico potremmo pensare che
è lì dentro che sono contenuti i nostri segreti, i tabù e le nostre paranoie e
l’artista come un ladro ha il compito di rubarne il contenuto e di scoprire
qual è la vera essenza dell’uomo. Il cassetto come vediamo è aperto e sembra quasi che
l’artista stesso voglia mostrarci, tirare fuori
i suoi pensieri e i suoi sogni che
in questo caso potrebbero essere erotici, legati quindi alla sessualità femminile. Il grande occhio, che
rappresenta Dalì ma anche qualunque altro uomo, osserva con molta attenzione e
cura una donna, semi nuda che non assomiglia per nulla a Gala, sua moglie, che
era stata per lui una musa ispiratrice fin dal primo momento che l’aveva
vista ma allude forse alla femminilità
in generale o al ricordo di una delle sue vecchie amanti e se fosse davvero
così tale pensiero sarebbe proibito visto che era un uomo sposato e potrebbe
essere per questo che è contenuto all’interno del cassetto ed è mostrato come
contenuto latente di un sogno.
Purtroppo non sono riuscita a trovare dei significati e
delle visioni specifiche, ma ho cercato di basarmi sul maggior numero di notizie
che ho trovato di altre opere allegando delle mie visioni personali, cercando
di completare il procedimento interpretativo di cui parlava il filosofo
Gadamer.
L’occhio potrebbe alludere ad un simbolo fallico dato che
da esso fuoriesce un liquido chiaro (sperma) che va a colpire la donna che è
imprigionata dalle ciglia dell’autore come se il soggetto che la guarda non
volesse smettere di farlo, come se fosse una fissazione, una mania di cui non
riesce a liberarsi.
Le cornette in fondo
alle ciglia potrebbero rappresentare la comunicazione o più in senso
generale lo sviluppo della tecnologia che controlla e manovra non solo la donna del quadro ma tutto il
genere umano, come se Dalì volesse fare una previsione per il futuro,
spingendoci a riflettere sul fatto che l’uomo ha creato macchinari sempre più
potenti e che prima o poi questi ultimi prenderanno il sopravvento senza che
noi riusciremo più a manovrare la situazione che forse sarà ancora peggiore della guerra tra gli uomini (che vediamo rappresentata nello sfondo come se l’avesse fatto volontariamente
per conferirle una “minore” importanza rispetto a ciò che vediamo in primo
piano); perché non ci sarà nessun vincitore tra gli esseri umani e sarà una
guerra senza una fine.
Non ho potuto fare a meno di notare che la donna di questa
opera mi ricorda molto quella del “Progress americano” di John Grast che è una
rappresentazione allegorica del Destino manifesto il quale rappresenta la
convinzione che gli stati uniti d’America abbiano la missione di espandersi,
diffondendo la loro forma di libertà e di democrazia. Questa opera risale
al 1872 ed è come se Dalì avesse
riutilizzato questo soggetto molti anni dopo per rappresentarne l’evoluzione e
la degradazione di questa visione, ora la donna non ha più un aspetto angelico,
la tunica le scende dal corpo e si trova imprigionata e bloccata senza che ella
possa continuare il suo cammino, ma ciò verso cui va incontro può essere solo
caos, distruzione e una profonda decadenza universale
Caterina Cerri, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La metamorfosi di Narciso (1937)
La metamorfosi di Narciso è un dipinto realizzato tra il
1936 ed il 1937 da Salvador Dalì, il quale, dopo il suo viaggio di Italia, si
appassionò alla mitologia e all’arte classica. Esso è il primo quadro in cui utilizza del tutto il suo
metodo “critico-paranoico”, che consiste nel dipingere delle scene che derivano
dall’incomprensibile agitarsi del suo inconscio, che si traduce in un momento
di follia e paranoia, dal quale però riesce a far emergere dei contenuti
razionali e sensati. In questo caso Dalì cerca di dare una propria
interpretazione a un tema che già è stato affrontato diverse volte nella storia
dell’arte e della letteratura: il narcisismo.
Nel dipinto l’artista descrive la trasformazione di Narciso
da sinistra verso destra: la figura a sinistra ci viene presentata con colori
vivi, che stanno a evidenziare la bellezza del giovane, il quale si trova in
una posizione fetale, come se il soggetto rimpiangesse quella solitudine protetta in cui
si era trovato prima di nascere. Inoltre essa assomiglia in maniera particolare
ad una roccia, poiché, secondo il mito, Narciso dopo essersi specchiato sarebbe
morto fossilizzandosi. In basso si può vedere il suo riflesso
nell’acqua, quello di cui si innamorerà. La conclusione di questo “amore
impossibile” tuttavia è preannunciata dall’altra figura dominante sulla destra,
in cui Narciso assume le sembianze di una mano che stringe un uovo dal quale
nasce il fiore a lui omonimo. Da notare le figure presenti sullo sfondo, che
l’artista sembra voler inserire per la sua nuova passione per l’arte classica,
in particolare è rilevante quella della statua sul piedistallo, raffigurante
probabilmente lo stesso Narciso.
A primo impatto si può osservare subito che le due figure
presentano una certa somiglianza dal punto di vista estetico, ma se si analizza
meglio l’opera si può vedere che c’è anche dell'altro; Dalì infatti, come in molte altre sue opere, sceglie di inserire l’uovo, che
per lui è simbolo di speranza, amore e protezione, e per questo in riferimento
alla figura a sinistra, l’uovo si identificherebbe come l’embrione da cui
rinasce la nuova forma di Narciso, ovvero un fiore.
Tuttavia per sottolineare la conclusione della vita di
Narciso prima della sua rinascita in un’altra forma, Dalì inserisce le formiche
sulla mano; esse sono simbolo di morte e di declino, di qualcosa di mostruoso e
alieno che l’uomo non può conoscere in maniera profonda . Come rafforzativo
dell’idea della vita che viene distrutta, sulla destra raffigura un animale,
che assomiglia ad un lupo, che divora una carogna. L’interpretazione che lui dà alle formiche non è a caso ma
presenta un carattere psicanalitico, poiché sembra l’artista sembra aver avuto
una sorta di “trauma infantile”: all’età
di cinque anni rimase sconvolto nel vedere una torma di formiche divorare un
insetto di cui rimase solamente il guscio.
Per quanto concerne l’ambiente, Dalì, come fa nella maggior
parte dei suoi quadri inserisce luoghi sconosciuti, innaturali, alieni, che non si possono trovare nel mondo esterno. Sembra quasi che
egli abbia dipinto su tela la rappresentazione di un sogno, in cui
apparentemente niente ha un senso (anche se si sa che non è così).
Tuttavia l’artista probabilmente ha voluto in qualche modo
dare una rappresentazione di sé stesso attraverso il personaggio mitologico di
Narciso: basta pensare al fatto che egli per tutta la sua vita ha sempre amato
stare al centro dell’attenzione, non adeguandosi mai ai pensieri degli altri e
quindi mostrandosi anticonformista, sempre in cerca di temi ed elementi
innovativi che potessero elevare la sua arte per renderla la più bella. Ciò si
vede bene dalla sua esperienza all’interno del gruppo dei surrealisti, con cui
Dalì non condivideva molte cose, in particolare le loro posizioni politiche di
sinistra, e fu per questo che venne cacciato. Dalì aveva una personalità
stravagante ed eccentrica e cominciò a riflettersi nei suoi dipinti, cercando
continuamente consenso; aveva bisogno degli ammiratori, della stampa, della
televisione. Una celebre frase sottolinea questo aspetto della sua personalità:
“Ogni mattina, al risveglio, provo un piacere supremo, il piacere di essere
Salvador Dalì.” Inoltre Narciso non ha mai amato nessuno se non sé stesso,
rimanendo sempre nella solitudine. In un certo senso Dalì gli assomiglia anche
per questo aspetto: infatti in termine freudiani si può dire che l’artista ha
avuto delle esperienze che hanno fatto sì che si potesse fidarsi di poche
persone, sentendosi spesso solo. Probabilmente alcune di queste sono rappresentate
dal fatto che la madre morì quando Dalì era piccolo, il quale per il resto
della sua vita non ebbe mai un buon rapporto con il padre. Anche a Narciso
mancava la figura paterna, tant’è vero che è sua madre che ha sempre cercato di
proteggerlo.
Il dipinto potrebbe anche essere una stessa critica alla
società, che diventa sempre più narcisistica in cui ognuno pensa solamente a sé
stesso e non agli altri: in questo caso ciò si può vedere non solo dalla figura
di Narciso ma anche dal resto delle persone che non si degnano neanche di
andare a vedere cosa stia succedendo al giovane.
Tuttavia non è da negare che nel dipinto si trova anche una
forte componente sessuale: la mano potrebbe essere simbolo della masturbazione,
idea che è data anche dalla presenza delle formiche, che oltre alla morte, per
l’artista sono simbolo di un irrefrenabile desiderio sessuale (poiché nel
divorare le loro prede, esse non sembrano mai essere sazie). L’elemento
sessuale si può vedere anche dalle figure nude sullo sfondo. Dalì ama esprimere
liberamente la sua idea di sessualità all’interno delle sue opere. Tale punto di vista è inoltre perfettamente associabile al
personaggio stesso di Narciso, poiché secondo il mito, tutti gli uomini e donne
provavano nei suoi confronti dei desideri sessuali, anche se, come già detto
precedentemente, il giovane non li ricambiava poiché li provava solamente per
sé stesso.
Un’altra interpretazione che non è da escludere potrebbe
legarsi al fratello, che Dalì purtroppo non conobbe mai: fin da quando era
piccolo, l’artista è stato convinto di essere la reincarnazione di
quest’ultimo, il quale per motivi di salute era morto qualche anno prima della
sua nascita. Egli quindi per tutta la sua vita si è sempre sentito il peso di
dover rivestire un ruolo importante non solo per la sua famiglia, ma per il
mondo stesso che gli aveva fatto il dono della vita. Probabilmente è anche per
questo che fin da piccolo inizia a disegnare, cercando di dimostrare il suo
valore e utilizzando l’arte come uno sfogo per i suoi sentimenti: l’arte in
questo contesto non è più una manifestazione delle cose presenti nel mondo
esterno, ma uno strumento per esprimere le esperienze e i ricordi che sono
seppelliti nell’inconscio, non rappresentabili a parole. In sintesi, facendo
riferimento al dipinto, probabilmente Dalì si sente come quel fiore di Narciso
appena sbocciato, pronto per affrontare una nuova vita, diversa da colui che lo
ha preceduto.
Costanza Cerri, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La metamorfosi di Narciso (1937)
Nel 1937 Salvador Dalì dipinge
“Metamorfosi di Narciso” una delle sue opere più famose realizzata con il suo
tipico stile critico-paranoico.
Il soggetto del dipinto ritrae
Narciso nei suoi ultimi momenti di vita, infatti nella parte sinistra il corpo
si vede ancora in modo molto delineato mentre nella destra appare completamente
trasformato in questa mano che maneggia un uovo dal quale sboccia un Narciso.
Ma qual è il significato che l’autore ha voluto dare all’opera e con quale
intento?
Sicuramente l’intento è quello di
portare l’osservatore a porsi delle domande e poi tramite l’introspezione darsi
anche delle risposte infatti soffermandosi un secondo a ragionare emerge che
Narciso ha sostanzialmente sconfitto la morte poiché rinasce sotto forma di
fiore dall’uovo (simbolo della nascita).
L’idea principale da cogliere è che
una volta morti tutti rinasceremo come fiori e quindi non serve avere timore
nel domani ma vivere l’oggi; questo quadro, anche se dai colori molto cupi, è
un inno alla speranza e al non arrendersi mai e questo fiore che appena nato
deve lottare per la sopravvivenza (infatti si trova nel deserto) ne è la chiara
testimonianza.
Inoltre ci sono anche altri
riferimenti alcuni sessuali come le formiche simbolo sia di morte che di
irrefrenabile desiderio sessuale (animale molto azzeccato per Narciso che per
raggiungere il suo riflesso nell’acqua perde la vita), oppure la mano stessa
simbolo dell’ autoerotismo mentre altri sempre collegati all’idea della morte
come il cane che si divora una carcassa .
Christian Secchi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
L'invenzione dei mostri (1937)
Inventions of the monster è un un quadro di Salvador Dalì
realizzato nel 1937 nel momento in cui esso si trovava nella località montana
di Semmering in Austria alla vigilia
dell’Anschluss , annessione dell’Austria alla Germania nazista. Inoltre nello stesso periodo impazzava la
guerra civile in Spagna (nel 1937 verrà bombardata Guernica), tutti
questi avvenimenti ebbero un ruolo cruciale sulla psiche e sull’umore di Dalì
il quale perse il senso di sicurezza e stabilità; nel quadro infatti notiamo
come la terra sia diventata motivo di angoscia e come il pittore quasi
profetizzi l’arrivo della Seconda guerra mondiale .
In primo piano (in basso a sinistra) viene mostrata una
situazione di certezza simboleggiata dalla
inevitabilità della morte, che è simboleggiata dalla farfalla e dalla
clessidra, e dalle sicurezze familiari e infantili simboleggiate
rispettivamente dalla presenza di Dalì e sua moglie Dala e dalla presenza di un
uovo retto da una mano (che simboleggia per Dalì la situazione intrauterina e
quindi di sicurezza e protezione).
Proseguendo nell’analisi in secondo piano vengono mostrati i
primi mostri, al centro, l’angelo-gatto che simboleggia il mostro eterosessuale
divino e la donna-cavallo con le sue simili (in alto a destra) che simboleggiano i mostri dei fiumi; più in alto a destra viene mostrata una giraffa in fiamme, figura cara a
Dalì, che simboleggia il mostro apocalittico maschile il quale si trova davanti
a delle montagne fumanti ed incandescenti; la posizione nella composizione
data a quest’ultimi due elementi deve essere letta come una profezia, come se
il pittore sentisse l’arrivo della guerra in un mondo ormai privo di sicurezza
in cui i mostri appunto si materializzano ovunque.
Giacomo Braglia, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Cigni che riflettono elefanti (1937)
“Il fatto che neppure io, mentre dipingo, capisca il
significato dei miei quadri, non vuol dire ch’essi non ne abbiano alcuno: anzi,
il loro significato è così profondo, complesso, coerente, involontario da
sfuggire alla semplice analisi dell’intuizione logica”. Con questa frase Dalì
riassume in poche parole il senso del suo metodo paranoico-critico. Con questa
tecnica, che usa dall’inizio degli anni 30, le scelte di Dalì, infatti, sono
dettate principalmente sul suo inconscio. Anche il quadro che mi è stato
assegnato, “Cigni che riflettono elefanti” del 1937, è stato dipinto con questa
tecnica, dunque inserendo elementi del proprio inconscio all’interno del
dipinto. Sono diversi i temi che si possono affrontare, a partire dal riflesso
degli elefanti; quello dell’elefante è un simbolo che si presenta più volte
nelle opere di Dalì. L’elefante, che rappresenta con la proboscide anche un
noto simbolo fallico, grazie all’incongrua associazione tra le zampe sottili e
fragili e la goffaggine e la grandezza dell’animale stesso crea un senso di
irrealtà. Se ci soffermiamo proprio sul riflesso, e sul fatto che il riflesso
dei tre cigni e degli alberi spogli dia sul lago l’immagine di tre elefanti,
possiamo fare una considerazione generale, ovvero che non sempre ciò che
vediamo corrisponde alla realtà, ma possiamo anche trovare riferimenti della
vita dell’artista, in particolare della sua infanzia; Dalì non conobbe mai suo
fratello, morto di meningite 9 mesi prima della nascita del pittore, e all’età
di 5 anni, quando i genitori lo portarono per la prima volta sulla tomba del
fratello, i genitori stessi gli fecero credere di essere la sua reincarnazione.
Dalì si convinse di ciò e da qui partirono i suoi deliri. In relazione a ciò mi
sento di dire che probabilmente, essendosi convinto di essere la reincarnazione
del fratello, Dalì, potrebbe aver rappresentato il cigno e il suo riflesso,
come lui stesso (nel dipinto il cigno) che dall’esterno si vede in maniera
diversa (nel dipinto il riflesso dell’elefante) ovvero come la reincarnazione
del fratello. Oppure, interpretandola in maniera totalmente differente, si
potrebbe pensare che Dalì cerca di riflettere, evidentemente non riuscendoci,
l’immagine e il comportamento del fratello. Inoltre, del fratello Dalì disse:
"Ci somigliavamo come due gocce d'acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi.
Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini
assoluti". A mio parere, in questo caso, si può notare facilmente la
relazione tra la frase pronunciata da Dalì e il quadro, in quanto come in
“Cigni che riflettono elefanti” l’attenzione dello spettatore è focalizzata sul
riflesso “falso e ingannevole” dei cigni sul lago, anche quello dei due
fratelli, a detta di Dalì uguali in tutto e per tutto, si può considerare ingannevole.
Sempre in relazione alla reincarnazione del fratello di Dalì in Dalì stesso, e
dunque in relazione al dualismo dell’artista, si può notare come l’uomo
raffigurato sulla sinistra sia indifferente e di spalle al cigno ed al suo
riflesso e dunque, dando un’interpretazione alla scelta di questo personaggio,
come la società (o forse il padre) sia indifferente e si volti dall’altra parte rispetto al sofferente dualismo vissuto da Dalì.
Alessandro Rosi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
L'apoteosi di Omero (1947)
Chi vuol comprendere un
testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso, così ha lasciato scritto Gadamer in Verità e metodo.
Anche se non siamo di fronte ad un testo, per immergersi più a fondo è
necessario abbandonare noi stessi a ciò che ci troviamo davanti.
Il quadro nel quale ci
“tuffiamo” è l’Apoteosi di Omero, realizzato nel 1945 da Salvador Dalí.
Pur non avendo grandi basi da
cui partire, poiché non è una delle opere sue più famose, possiamo analizzare
questo quadro cercando di capire cosa vogliono dirci i simboli.
In primo piano troviamo una
grande statua, essa è riconducibile ad un linga: presso la religione induista,
il Liṅga consiste in un oggetto dalla forma ovale, simbolo fallico considerato
una forma di Śiva. Esso rappresenta il termini metafisici, l’assoluto trascendente
senza inizio ne fine.
Conoscendo la vita
dell’autore un minimo, esso può richiamare il matrimonio lungo 53 anni con Gala
Eduard, rapporto fatto di amore, sesso, creatività e di eccessi.
Sempre questo richiamo al
sesso, è tirato in ballo dalla donna senza vestiti sdraiata per terra, alla
quale non è stata disegnata nemmeno la testa; il corpo così richiama ancora di
più l’atto sessuale corporeo.
Di diversa natura invece sono
gli altri due simboli che individuo nel quadro: “l’albero” sulla destra e i
cavalli in mezzo al mare.
Andando per interpretazione
propria senza avere un qualche documento a cui rifarmi per controllare se le
mie impressioni sono giuste, posso dire che “l’albero” può richiamare in
qualche modo i cinque sensi dell’uomo, avendo come foglie un orecchio o un
volto umano.
Gli uomini che stanno
cascando di cavallo possono indicare molte cose, ognuno da una propria
interpretazione, la mia è quella che la natura sarà sempre più forte dell’uomo.
Sebastiano Doberti, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Leda atomica (1949)
In Leda atomica è rappresentata la storia mitologica di Zeus
che, trasformatosi in un cigno,
riuscì a possedere la Dea Leda. In realtà le due divinità
rappresentano rispettivamente Dalì
e la sua amata, Gala, musa e grande fonte d’ispirazione
dell’autore che si riteneva suo "figlio,
amico, servo e compagno". La figura della donna è nel quadro,
così come anche nella vita di
Dalì, perfettamente centrale (come può suggerire la presenza
del righello nell’angolo destro)
e posta su un piedistallo su cui però non poggia, quasi come
a volerne evidenziare la
preziosità. Gala rappresentata in tutta la sua nudità, è
soprattutto l’incarnazione del potere
immaginifico dell’Eros e rispecchia l’ideale di perfezione e
armonia che Dalì fece trasparire
dall’utilizzo della sezione aurea. Le due figure sono gli
unici elementi a non avere un’ombra,
in quanto essendo divinità, sono immortali così come lo è il
loro amore. L’importanza che
ricoprì Gala nella vita di Dalì può essere riconducibile
alla perdita di sua madre, evento che
fu definito dall’autore come il suo male più grande e per la
quale è plausibile avesse
sviluppato il complesso edipico fin dall’infanzia visto il
rapporto conflittuale con il padre. Di
conseguenza l’amata non solo sarebbe stata la moglie di Dalì
ma avrebbe allo stesso tempo
ricoperto il ruolo di un’importante figura mancante della
sua vita. Nel quadro infatti, la donna
abbraccia il cigno senza però afferrarlo come se ne fosse
impossibilitata e i colori dello
sfondo potrebbero indicare la fusione tra il mondo celeste
(l’orizzonte) a cui appartiene la
madre e quello terreno (la spiaggia) appartenente al cigno.
Un altro indizio riconducibile alla
figura materna è l’uovo schiuso, posto all’estremità
centrale, che suggerirebbe una ciclicità
nel rapporto madre-figlio; nonostante la morte della donna i
due si sono ricongiunti così come
quando il figlio era nel grembo materno.
Leda dunque raffigura Gala e la tela vuol esprimere il
rapporto d’amore tra i due ma allo
stesso tempo l’amore provato per quest’ultima è
identificabile per l’amore materno che non
può più ricevere; per questo motivo Gala diventerebbe il
“centro gravitazionale” dell’autore,
attorno al quale tutto fluttua poiché ne è attratto.
Domitilla Lattanzi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La nascita del nuovo mondo (1942)
Nel 1942 Salvador Dalí dipinse ‘La nascita del nuovo mondo’ in cui dà un’interpretazione surrealista della nascita di Cristo. In questo
periodo della sua vita Dalì si avvicinò molto alla dottrina cattolica, come si
può notare dalla scelta del soggetto del dipinto: ”la nascita di Cristo”. Dalí,
nel quadro, utilizza colori contrastanti
come quelli freddi (verde, azzurro) e quelli caldi (marrone, rosso e
arancione). Tale contrasto
conferisce all’opera una dimensione onirica tipica del surrealismo.
Un altro aspetto tipico di questa corrente è la stretta
connessione con l’analisi interiore dell’uomo, per questo nell’opera si può
ritrovare materializzato lo stato che l’uomo vive nella propria interiorità. Nel
lato destro del dipinto si trova una figura che si presuppone sia Giuseppe, che
nella psicoanalisi freudiana rappresenta
il super-io.
Il super-io è
coscienza morale e può essere rivisto nella figura paterna di Giuseppe, che
come esso, ha la funzione e il compito di controllare le azioni morali, tanto del figlio quanto di se stesso.
Sugli scalini, al centro del dipinto si trova Gesù, la
personificazione dell’io, colui che è razionale ma non è cosciente di essere
sotto l’influenza del super-io, ma anche dell’es. La figura del bambino è
circondata da elementi che ricordano questa influenza, come per esempio il
vortice centrale che sembra come catturarlo o rilasciarlo dal dietro, senza che
lui abbia nessuna possibilità di scelta.
L’es, nel dipinto si può rivedere nella figura umana con
addosso un manto rosso in primo piano a sinistra, ed è colui che agisce in
profondità, l’inconscio, la parte dove sono presenti le pulsioni profonde che
premono sull’io.
Infine, ciò che resta del dipinto, è il mondo esterno, altra
componente che mette sotto pressione l’io.
Gaia Chiocca, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
“Afgano invisibile con apparizione sulla spiaggia del volto
di Garcia Lorca in forma di un piatto di frutta con tre fichi” (1938)
Osservando per la prima volta il quadro si nota subito la
presenza di un volto, che come espresso dal titolo appartiene al celebre
scrittore spagnolo omosessuale Federico Garcia Lorca che era un amico molto
intimo di Dalì e data la sua natura molti sostengono che i due erano un po’ più
che amici (a riguardo è stato realizzato nel 2008 un film “Little Ashes”).
Dando un secondo sguardo al dipinto, il volto sparisce e al suo posto si forma
una fruttiera con 3 fichi, lo spettatore incredulo guarda il quadro una terza
volta con più attenzione e stavolta nota che anche la fruttiera è sparita e
adesso è rimasta solo una spiaggia con degli uomini, una donna e dei paguri.
Gli occhi del volto diventano le teste degli uomini sulla spiaggia mentre naso
bocca e mento formano rispettivamente testa braccia e gonna della donna, la
fruttiera diventa una parte di mare e i tre fichi compongono delle isole. Il
dipinto, dunque, ripropone a ogni occhiata il proprio enigma senza fine. Non
v'è certezza; ogni forma, appena percepita, è subito polverizzata e
contraddetta. Probabilmente l’artista vuole avvisarci che anche i nostri stessi
occhi sono in grado di ingannarci. Il
quadro sembra sia stato dipinto in onore dell’amico Garcia Lorca che il 19 agosto del
1936 venne fucilato durante la notte per la sua tendenza omosessuale e il suo
corpo non venne mai ritrovato; presumibilmente la figura celata nell’ombra
nella parte sinistra della spiaggia rappresenta il giustiziere di Garcia e, a
parer mio, il fumo che sale dai paguri simboleggia l’incenso che purifica e
guida l’anima dell’amico verso il cielo. Un altro elemento facilmente
riconoscibile è la donna velata di bianco, formata dal naso, bocca e mento del
volto o dalla base della fruttiera, che può rappresentare, o la madre di Dalì la quale rispetto al padre rigido e freddo, lo incoraggiò a sviluppare le sue
doti artistiche, oppure la moglie Gala che lo accompagnò per tutta la sua vita.
Michele Suffredini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Cena da Gala (1973)
Questa è una illustrazione che fa parte di un libro di cucina illustrato da Dalì. Al centro dell'illustrazione sono collocate due uova cotte poste su
un piatto. L'uovo, dall'esterno duro e dall'interno molle, riporta alle
immagini prenatali, simboleggiando la speranza e l' amore. Nel quadro viene
rappresentata la parte molle dell' uovo che ha una valenza principalmente
sessuale. La metafora sessuale è sintetizzata dalle due uova, allusive all'
anatomia femminile e della deformazione del piatto. Il piatto si deforma in
modo circolare e, creando un semicerchio sorretto da un ramo, si dissolve formando
una specie di forma fallica, lasciando cadere delle gocce. Le gocce possono
essere collegate allo sperma maschile, le quali non cadono nel piatto ma sono
raccolte in un recipiente. Questo può riportare ad un fatto accaduto nella vita
di Dalì, dopo un litigio con il padre quest' ultimo minacciò il figlio di
diseredarlo e gli intimò di non mettere mai più piede nella casa paterna. Dalì
rispose mettendo in mano al padre un preservativo contenente il suo sperma
dicendo “tieni, ora non ti devo più nulla”. Sopra il semicerchio formato dal
piatto è presente una lumaca che riporta di nuovo al dualismo tra molle e duro.
Durante l' incontro con Freud, Dalì vide una lumaca su una bicicletta davanti
alla casa del filosofo, collegò l' animale alla testa di Freud. Il dualismo
degli opposti emerge tra il guscio forte ed il suo interno fragile. Questa
contrapposizione per l' artista simbolizzava la mente, la psiche dello stesso
Freud. Dalì era molto attratto dalle teorie di Freud e della sua psicoanalisi,
con il suo surrealismo amava sognare rappresentando il suo mondo onirico colmo
di paure, ansie e pulsioni contrastanti. Ad esempio nel quadro ci si può
ricondurre ai due concetti freudiani di Thànatos ed Èros. Sullo sfondo si può
notare una zona dove la luce schiarisce improvvisamente, questo può essere
collegato al concetto di Éros, cioè quelle pulsioni erotiche e generalmente
sessuali. Invece le ombre molto allungate, completamente scure e il pesce morto
al di fuori del piatto riportano all' idea del Thanatos cioè quelle pulsioni
che tendono a distruggere e uccidere e che sono quindi aggressive. La cornetta del telefono che si trova sopra il piatto, con il filo
spezzato molto probabilmente rimanda ai litigi continui con il padre e il
rapporto pieno di contrasti che non è riuscito mai a risaldare. L'ulivo secco
che tiene la cornetta del telefono sollevata, rievoca l'idea che il
trascorrere del tempo porta con sé distruzione e decadenza.
Giacomo Francesconi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Giovane vergine autosodomizzata dalle corna della sua stessa
castità (1954)
Le scarse notizie, dovute alla minor fama di quest’opera
rispetto alle altre del pittore surrealista, mi spingono a non partire
nell’interpretare questo quadro dalla sua raffigurazione, bensì dalla frase che
lo stesso pittore utilizzò per descrivere quest’opera: “Paradossalmente questo dipinto, che ha un apparenza
erotica, è il più casto di tutti”
Dalì è il genio onirico del surrealismo. Egli più di
chiunque altro ha messo su tela le proprie paure e ansie, dipingendo i suoi
sogni e concependo la tela come il suo psicologo, sul quale trasferire una
serie di stati d’animo (di amore e odio), insiti nel suo profondo (come avviene
nel processo di transfert). Dalì dipingendo, lascia in disparte la razionalità,
liberandosi dalle sofferenze, svegliando il suo inconscio e raffigurandolo.
È per questo che la frase del pittore, che inizialmente ci
appare paradossale o ironica, descrive in realtà correttamente la vera natura
del quadro. Il dipinto potrebbe rappresentare, come alcuni critici hanno
ipotizzato, la sorella Ana Maria, il quadro richiama infatti un’opera
precedente in cui l’artista aveva raffigurato la sorella in posa alla finestra.
Dalì parrebbe quindi voler punire la sorella, forse proprio per aver
pubblicato, in quel periodo, una biografia del fratello, rappresentandolo
negativamente.
Un’altra possibile interpretazione è quella secondo cui la
donna sarebbe la moglie del pittore, Gala, di undici anni più grande.
Quest’interpretazione troverebbe un riscontro nel fatto che per Salvador, come
scrive Dominique Bona in "Une vie de Gala", la moglie fosse “una pura forza
sessuale”. La verità è che non importa, a riprova di ciò possiamo osservare
come la donna sia girata a guardare fuori e sia impossibile riconoscerla. Dalì,
pittore onirico del surrealismo, questa volta crea un quadro che potremmo
definire esplicito, talmente esplicito da risultarci scandaloso. Il quadro
manca delle paure e angosce a cui solitamente Dalì dava vita, raffigurandole
attraverso il metodo paranoico-critico e creando delle vere fotografie
dell’irrazionale. La donna affacciata al balcone, pur non essendo visibile in
volto, ci appare serena mentre scruta incantata il cielo. La posizione delle
sue gambe ricorda quella di una bambina (impressione rafforzata dal dettaglio
delle scarpe) che ingenuamente osserva il cielo e spera in un qualcosa o sogna
ad occhi aperti. Lo sguardo della ragazza è assorto nell’osservare il cielo in
cui si trova un corno di rinoceronte volante, che per Dalì rappresenta la
castità, ma probabilmente allo stesso tempo, un’allusione al fatto che la
donna, stia sognando una perversione sessuale. Il solo pensare ad una perversione
si materializza nella perversione in sé, che Dalì dipinge contrapponendo le
natiche a dei simboli fallici dai quali derivano le corna e i due corni che
stanno per sodomizzare la ragazza. In questo modo si spiega il titolo
dell’opera, la casta ragazza, sognando quei corni dalla forma fallica in cielo
e dunque una perversione, viene sodomizzata dagli stessi corni, simboli della
sua castità.
L’esplicita violenza sessuale di quest’opera mi fa pensare
ad un collegamento con la violenza del film di Stanley Kubrick “Arancia meccanica”, in particolare il corno
mi ricorda fortemente, anche per il suo colore chiaro, la scultura di forma
fallica presente nella casa della prima vittima del terribile gruppo capitanato
da Alex.
Leonardo Da Prato, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo (1958)
Quest’opera d’arte è stata creata dal cosiddetto “Padre del
Surrealismo”, un movimento nato agli inizi del ‘900 che si basa sulla
rappresentazione pittorica e non solo della dimensione più pura dell'irrazionale che è il sogno che, come ci ha insegnato
il maestro della psicanalisi Freud, è una realtà superiore, incontrollabile in
cui la mente inconscia è totalmente libera di manifestarsi nella forma più
pura, senza poter essere limitata dalla moralità. Dalì inventa il metodo paranoico-critico, in cui riesce a tradurre razionalmente su
tela l’aspetto incosciente e irrequieto della paranoia, tecnica usata quindi
anche in questo unico dipinto che unisce la storia spagnola (Colombo
considerato catalano dalla presenza delle bandiere), la religione, l'arte, e il
mito. L'evento è rappresentato metaforicamente e la non distinzione del cielo e
del mare, suggerisce la dimensione del sogno. Colombo è raffigurato come un
adolescente in una veste classica, (così come il resto dei personaggi) a
simboleggiare l'America come un continente giovane, verso cui portare il
cristianesimo, la vera chiesa per il nuovo mondo. Al tempo stesso compaiono la figura di Gala, moglie e musa del pittore, raffigurata in modo
angelico come una Santa sullo stendardo e Dalì stesso, che si è dipinto come
monaco inginocchiato con in mano un crocifisso. Quest’ultimo è rappresentato
rannicchiato come se fosse un bambino, in totale contrasto con la moglie, il
cui volto a differenza del resto dei personaggi è definito. La grandezza con cui
essa viene rappresentata indica
l’importanza che ha avuto nella vita del pittore, tant’è vero che viene
associata alla Vergine Maria, che allude in modo evidente alla madre, persona
importantissima venuta a mancare al pittore. Per Freud essa è una figura
centrale nel “Complesso di Edipo”, una delle prime tappe nello sviluppo emotivo
di un bambino che prova quasi ostilità nei confronti del padre a causa di una
propensione amorosa nei confronti del genitore del sesso opposto.
Altri elementi onirici che rimandano alla simbologia
Freudiana sono gli assi allungati delle croci e delle bandiere che
sottintendono l’organo genitale maschile e la nave al centro dell’opera che
sembra ti stia per assalire e aggredire presupponendo un rapporto sessuale
connesso probabilmente alla sua personale “scoperta dell’America”, grazie alla
sua musa.
Infine, sulla destra, notiamo una specie di occhio azzurro
in mezzo al mare, non tagliato come nel film “Un chein andalou“ (di Luis
Buñuel) una probabile allusione all'idea che sia rappresentato un sogno.
Ornella Shau, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Il Dio della baia delle rose (1944)
In questa opera ho riscontrato tre aspetti che si potrebbero
psicoanalizzare:
1. Il fatto
che ci sia un gigante ermafrodito sopra un altare indica probabilmente il fatto
che ricevere una educazione impartita dai due genitori (in maniera che nessuno
prevalga sull’altro) porta alla felicità e all’equilibrio (tra IO, SUPER IO E
ES), gioia che si può osservare al di sotto dell’ altare dove tutti festeggiano,
ballano e si dedicano alla pazza gioia.
2. A destra
vi è un enorme megalite che è un simbolo fallico; ciò sta a indicare che
un’educazione impartita solo dal padre porterebbe alla sterilità e rigidità
della vita (ciò è messo in risalto dal fatto che non vi è nessuno ai piedi del
megalite solo dietro vi è la sua grande ombra [ciò rappresenta a sua volta la
freddezza]. Dalì ha messo in risalto questo per via dei suoi legami, non molto
amichevoli col padre.
3. Il fatto
che ci sia probabilmente un autoritratto dell’artista su una nuvola (
rappresentante i suoi desideri che non poteva più realizzare) implica il fatto
che quest’ultimo, volendosi raffigurare sull’estrema sinistra dell’opera,
avrebbe preferito avere un’educazione più equilibrata (in quanto reduce
dell’esperienza del "megalite").
Il fatto che il gigante ermafrodito stia a mezz’aria, mentre
il megalite stia fermo e ancorato saldamente al terreno, sta a simboleggiare la
volatilità dei suoi desideri in quanto il passato è fermo e ancorato saldamente
alla nostra mente.
Davide Scardigli, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Orologio molle al momento della prima esplosione (1954)
Per comprendere a pieno le opere di uno dei più grandi
pittori Surrealisti di tutti i tempi, Salvador Dalì, dobbiamo fare un passo
indietro ai suoi capolavori e focalizzarsi sulla sua vita estrapolando da essa
i messaggi, le analogie e i temi che riempiono i suoi quadri.
Anche i suoi famosi orologi che si sciolgono sono frutto di
un esperienza quotidiana del pittore : egli si ispirò a essi osservando un
pezzo di formaggio sciogliersi lentamente al sole durante una calda giornata
estiva.
Ma oltre l’immagine del formaggio c’è il simbolismo dell’artista, il messaggio che
vuole trasmettere: la vita in fuga e il tempo che fugge. Il tempo come nemico e la voglia di
combattere contro lo scorrere dei secondi erano tali da dichiarare addirittura
che “il tempo è la dimensione delirante e
surrealista per eccellenza”.
La lotta contro il tempo forse derivava dall’opprimente
azione di esso sull’artista e sulla sua mente insieme al ricordo ossessivo, che
lo divorava da dentro, della morte del fratello, antecedente alla nascita del
pittore, e successivamente della morte prematura della madre quando egli aveva
solo 16 anni. I genitori gli fecero credere di essere la reincarnazione del
fratello morto, egli se ne convinse e questa è la ragione per la quale fu cosi
afflitto dalla sua morte che lo fece impazzire. Riguardo la madre, egli disse
che la sua morte fu la disgrazia più grande che gli fosse mai capitata nella
vita.
Nel quadro è rappresentato un orologio che con una sorta di
esplosione si frantuma; il tempo è tutt’altro che rigido, è appunto molle, come il nome del quadro esplicita, e sembra diventare un tutt’uno con lo
spazio circostante. Otre alla fugacità del tempo, l’esplosione potrebbe
rappresentare la fine del tempo ma anche il suo inizio o addirittura l’inizio e
la fine dell’umanità e del mondo: un cosiddetto nuovo Big Bang, dall’
esplosione di qualcosa nasce qualcosa di meraviglioso.
Filippo Simonetti, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Atavismo al crepuscolo (1934)
Questo dipinto è una delle tante rivisitazioni che Dalì, nel
corso della sua vita, ha fatto dell’Angelus
di Millet, da lui conosciuto molto bene poiché vi era una copia del quadro nella
scuola elementare che frequentava. Inoltre il pittore stesso ha confermato, nel
Le mythe tragique de l’Angelus, che
tale dipinto gli è apparso in mente senza nessuna associazione o ricordo e,
addirittura, afferma che non gli è apparso in maniera veritiera bensì in
maniera del tutto modificata. Da quel momento, il quadro diventa per Dalì una
ossessione ed inizia, in questo modo, il così detto periodo del metodo
paranoico-pittorico, dove l’artista sfrutta l’arte come occasione per far
emergere il suo inconscio, ovvero gli permette di conoscere i fenomeni causati
dal delirio e quindi di valutarli e interpretarli per poi poterli raffigurare
sulla tela. A primo impatto il quadro sembra raffigurare due persone, una di
fronte all’altra: una donna, che è leggermente china, quasi nell’atto di una
preghiera, e un uomo, il quale, al posto del volto, ha un teschio. Ma, in
realtà, il dipinto ha una forte componente psicoanalitica, ovvero la passività
dell’uomo e la distruzione della sua riproduttività. Questa componente è data
da diverse figure: in primo luogo, l’uomo, molto probabilmente Dalì stesso, che
si copre le parti intime con un cappello, in secondo luogo, la carriola
attaccata alla testa della figura maschile che, nella simbologia di Dalì,
prelude al piacere che distrugge la virilità, e, infine, dalla donna che, a
detta del pittore, assume la posizione della mantide religiosa nel momento che
precede l’atto sessuale, paragone non causale in quanto la mantide, dopo il
rapporto, uccide il maschio. Pertanto la donna è una sorta di “mostro” che
cannibalizza la riproduttività dell’uomo. Idea associabile al concetto di
Thanatos, ovvero queste pulsazioni distruttive, personificate dalla donna, nei
confronti, in questo caso, di quelle sessuali, che l’uomo vorrebbe ma non
riesce ad averle.
L’arte, di conseguenza anche questo quadro, non è una cosa surreale
ma racconta una verità, come direbbe Gadamer, e, infatti, in questo dipinto è
rappresentato il rapporto tra il pittore e la madre, dove quest’ultima
rappresenta una sorta di Super-Io per Dalì, ovvero una coscienza morale, un
insieme di proibizioni che vengono acquisite da un individuo nei suoi primi
anni di vita. Basti pensare che la madre, quando l’artista era un bambino, gli vietò
di avvicinarsi a una pianta di latte, che per metafora si collega all’ambito
sessuale, e, nello stesso periodo, alcuni compagni di scuola raccomandavo a
Dalì di non strofinare le sue parti intime sulla pianta, perché si sarebbero
ingrossate fino a causare la morte. Pertanto questo trauma infantile ha
condotto l’artista a provare terrore nei confronti dell’atto sessuale, trauma
che poi gli causerà l’impotenza nell’età adulta.
Valentina Paladini, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Il grande masturbatore (1929)
Al centro di questo quadro vediamo un viso umano, di profilo, che guarda
verso il basso, probabilmente un autoritratto in cui Dalì si rappresenta deformato; il
motivo potrebbe essere il rimorso o addirittura l'odio verso se stesso. La figura
femminile che esce da dietro la testa potrebbe essere Gala, la musa di Dalí, che rappresenta la fantasia sessuale di masturbazione suggerita dal titolo; la
bocca della donna infatti è molto vicina alle zone intime della figura
maschile, mostrata dalla taglia in giù e vestita in modo leggero. Il leone
accostato alla donna potrebbe rappresentare la sensualità non appagata e la
lingua tesa del leone simbolo fallico. Viene anche ricordato il tema freudiano
che vede nella testa della Medusa il simbolo della castrazione. L’autore descrive la sua paura per la castrazione sessuale, dettata dal simbolismo del
sangue che scorre sulle gambe dell’uomo (ciò ha a che fare con un episodio dell'infanzia quando il padre lasciò a Salvador un libro con immagini esplicite di uomini che
soffrivano di malattie veneree, in stati gravi, per “educarlo”). Queste
immagini sconvolsero Dalí, motivo per cui continuerà ad associare l’atto sessuale
con il dolore e la putrefazione. Sotto la figura principale si trova una
cavalletta, insetto che Dalí utilizzerà spesso nei suoi quadri; essa rappresenta
avidità e desiderio e la scia di formiche che stanno divorando il suo ventre
fanno riferimento alla morte e al declino, ricordando la mortalità dell’essere
umano e la temporaneità. Le formiche rappresentano inoltre l’irrefrenabile desiderio
sessuale. Quindi vediamo come per Dalí sessualità e morte coincidevano, come l''Eros e il Thanathos coincidono in Freud. Più giù abbiamo altri due
personaggi, vicino a un uovo, simbolo della fertilità. Le due figure sono messe
in modo tale da formare un’unica ombra; probabilmente le due figure sono i
genitori che hanno avuto un forte impatto nella vita di Dalí; penso infatti che
sia questo il motivo per cui le due figure creano un’unica ombra: il carattere
rigido e severo del padre che si mescola con l’amore e la comprensione della
madre con cui Salvador aveva un forte legame. Una terza figura appare più lontana.
Dietro alla testa al centro si trova una struttura con due pietre e una pianta secca nel vaso. La pianta è messa su una delle due pietre mentre la
seconda pietra si trova in modo surrealista sulla pianta secca.
Questo potrebbe significare il bisogno di Dalì di scappare dalla realtà.
Il gancio attaccato alla testa sono le paure e le ansie che sono attaccate al
suo subconscio e le porta con sé.
Andreea Murariu, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Caravan
Dalí considerava i sogni e le immaginazioni come chiavi fondamentali
per la conoscenza del pensiero umano. Guardando il quadro la mia attenzione viene catturata dalle gambe degli elefanti. Come in un
fenomeno onirico gli animali sono deformati, hanno zampe lunghe e sottili.
Questa caratteristica accentua il contrasto tra la robustezza del corpo
e la fragilità delle gambe.
Questa concezione mi ha subito portato a pensare alla teoria freudiana
dell’IO, oppresso dal SUPER-IO. Quest’
ultimo non è altro che la coscienza morale, l’insieme di tutte le proibizioni
instaurate nell’uomo dalla sua educazione che lo inibiranno nel corso di tutta
la sua vita. Dalì esprime questa concezione attraverso il peso portato
elefanti: simboli religiosi, istituzioni
legislative.
Il Super-io è anche rappresentato dagli stessi uomini che legano con le
corde l’animale. Le gambe, l’io, è soppresso, non ha via di fuga. Cosa genera il
Super-io troppo rigido? Provoca la rimozione, così i desideri e le passioni si
rifugiano nell’inconscio. Infine percepisco una inibizione
anche in ambito sessuale, l’elefante è oppresso, mi sembra che non sia libero
di avere rapporti sessuali, di godere e di provare piacere.
Ma, proprio perché è un sogno, un’immagine della nostra mente,
l’animale lo inganna nascondendo il suo desiderio. Come? Respingendo tali
pulsioni nelle sue gambe. Esse dritte e lunghe sono più di un semplice
sostegno, sono l’appagamento camuffato.
Asia Bianchi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Lo spettro del sex appeal (1934)
Due stampelle tengono
in piedi un ammasso di membra umana cadenti,
lacerate, consumate da una misteriosa lebbra, scorticate fin all'osso. La poderosa apparizione è osservata da un
Dalì bambino. Nell'orrenda e delirante
anatomia fantasmatica, le
singole parti del
corpo si allungano, si
rigonfiano, si assottigliano fin quasi a spezzarsi, oppure assumono le forme di
altre membra, come il braccio sinistro che si trasforma in un dito inanellato
alla base dell'unghia. L’opera ha una netta relazione alla teoria del "Sex
Appeal Spettrale" elaborata dallo stesso Dalì: il fascino sessuale delle
donne deriva dalla possibilità di usare separatamente i pezzi del proprio
corpo, come se fosse un corpo smontabile che è l'aspirazione e la verifica
gelida dell'esibizionismo femminile, che diventerà furiosamente analitico,
permettendo di mostrare ogni parte separatamente. La teoria prevede
un’evoluzione del potere seduttivo femminile e la capacità di conservare o
rivendicare il proprio ruolo. Inoltre la disposizione e l’orientamento dei vari
arti richiama alla struttura triangolare, elemento classico. Il bambino vede la
figura anche come una pulsione da soddisfare, in particolare in ambito orale,
sottolineato dai due avvolgimenti di carne al posto del seno che diventano
salami; quindi Dalì necessita di soddisfare un suo desiderio associabile alla
fase orale, in cui può aver subito un trauma.
L’anello sul dito può riferirsi ad un’intromissione paterna nel rapporto
madre-figlio, un rapporto difficile, segnato dal fatto che l’anello è quasi
sulla punta del dito, oppure legato al fatto che dopo la morte della madre di
Dalì il padre sposò la sorella della defunta moglie. La figura gigante in
confronto al piccolo Dalì può essere compresa nell’insieme delle sue paranoie,
sentendosi così piccolo e attratto da ciò che è il sesso, pur avendo dei
complessi, come rappresentato dalla corda del bambino che induce ad una
rappresentazione fallica, in cui si mostrano delle difficoltà nell’erezione e
quindi nel rapporto. Inoltre nel 1929 conobbe Gala, la sua musa, che ha sempre
idolatrato e amato; quindi questa relazione lo ha influenzato. La figura
gigante viene da molti considerata quella di un’anziana e vista la differenza
di età tra Gala e Dalì è probabile che sia stata rappresentata la compagna. Ciò
fa riflettere, considerando l’ambigua fantasia di Dalì, i suoi pensieri
alternativi, e il fatto che il rapporto con Gala fosse aperto e non incentrato
sul sesso: Dalì può essersi sentito inferiore all’incredibile sex appeal
esercitato dalla compagna, da non sentirsi all’altezza in un rapporto sessuale.
Oppure ancora, le stampelle, simbolo di morte, ma anche di resurrezione,
possono alludere sia alla morte della madre (rievocata anche dal paesaggio,
molto probabilmente dell’infanzia di Dalì), sia alla resurrezione con il
fidanzamento con Gala, la quale ha ricoperto anche il ruolo di madre; il cuscino (almeno penso sia questo), lo si può intendere
come la necessità di un affetto e di sicurezza.
Mirko Del Cimmuto, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La casa di un erotomane (1932)
Maison pour érotomane (1932) risale al primo periodo Surrealista di Dalí
e raffigura un paesaggio catalano, in cui le rocce, elemento ricorrente nei
quadri del pittore, si trasformano in un paesaggio onirico; infatti queste
composizioni sembrano quasi raffigurare il regno del subconscio umano.
Quest'opera molto probabilmente fa riferimento al famoso dipinto del
diciannovesimo secolo “L'Angelus” di Jean-Francois Millet che ha inspirato
molti quadri di Dalì. Le due rocce antropomorfe sembrano dominare il paesaggio circostante:
la roccia di destra ha le sembianze di una donna raffigurata di profilo; due
lance che si estendono a partire dall'altra roccia, la quale sembra
rappresentare una figura maschile, cercano di penetrarla anche se questa sembra
essere intangibile.
Le due figure potrebbero simboleggiare Dalì e Gala; infatti questo tipo
di paesaggio ospita uno dei primi incontri tra i due e le lance, che non
riescono a tangere la roccia, potrebbero rappresentare il fatto che il
matrimonio del pittore raramente fu sessuale.
Inoltre I due personaggi in basso a sinistra potrebbero rappresentare
l'incuranza dell'amore di fronte al cambiamento. Il cavallo bianco proprio per il suo colore potrebbe rappresentare un
animale a servizio del bene mentre la parte nera dell'altra roccia simboleggia
il male in opposizione.
Angelica Sani, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Cannibalismo autunnale (1937)
Per interpretare al meglio un quadro, un testo o un opera d’arte in
generale bisogna prima lasciare che sia l’opera a “parlare”, bisogna capire
cosa vuole trasmetterci. Per far si che ciò avvenga bisogna collocare l’opera
temporalmente e geograficamente e per lo meno avere qualche nozione di base su
di essa e sull’artista che l’ha prodotta. L’opera “cannibalismo autunnale”
sappiamo essere stata prodotta da Dalì allo sgorgare della guerra civile
spagnola, probabilmente questa cosa è ricollegabile alla parola “cannibalismo”
nel titolo; l’artista vede nella guerra civile la lotta insensata tra due
fazioni che appartengono alla stessa nazione, come se due uomini si mangiassero
uno con l’altro invece che amarsi ed andare incontro al prossimo. Nel quadro
possiamo infatti vedere le due persone che sono quasi in simbiosi, si assorbono
reciprocamente e, nonostante questo, provano a mangiarsi. Dalì riporta in
questo quadro il suo pensiero sulla guerra civile: vede l’atrocità e
soprattutto l’inutilità della guerra. Nel titolo l’aggettivo “autunnale” invece
è probabilmente spiegato dall’uso prevalente dei colori marrone e giallo che
appunto creano un atmosfera autunnale che provoca un senso di tensione e paura;
senza dubbio l’aggettivo “autunnale” è dovuto anche al fatto che il quadro è
stato fatto in autunno, precisamente nell’autunno del 1936, proprio agli inizi
della guerra civile. Dopo aver spiegato brevemente il titolo possiamo passare
alla descrizione del quadro; una prima cosa che non salta subito all’occhio ma che
a mio parere non è assolutamente da sottovalutare è il fatto che il quadro in
primo piano è sorretto da un cassettone. Per poter capire un collegamento
abbastanza evidente bisogna sapere che Salvador Dalì è sempre stato un grande
estimatore di Freud tanto che il suo sogno era quello di incontrarlo di
persona; Dalì stesso disse che nelle sue opere voleva scuotere le menti
offuscate degli osservatori ed esprimere il forte legame tra realtà e sogno dichiarando che l’inconscio è presente nella vita quotidiana esercitando
continuamente un potere sull’uomo e sugli oggetti da lui creati nel mondo
reale; questa opera è l'ennesima prova di quanto la psicoanalisi Freudiana sia presente nei
quadri di Salvador Dalì. Ritornando al nostro quadro possiamo dire che Dalì
ribadisce la sua ammirazione nei confronti di Freud basando questo dipinto
(come molti altri) su dei cassetti, cassetti segreti di cui il corpo umano è
pieno e che, secondo Dalì, solo lo psicoanalista è in grado di aprire. Sopra
questi ci sono una figura maschile e una femminile che si abbracciano quasi
morbosamente e nel frattempo tentano di mangiarsi l’uno l’altra e, come detto
prima, potrebbero rappresentare le due fazioni della guerra civile che fanno
parte della stessa nazione unita ma si combattono tra loro. Inoltre vi è anche
un altro collegamento con Freud poiché questo “abbraccio” può essere visto come
una idealizzazione della pulsione sessuale. Il rapporto di reciproco interesse
dovuto all’abbraccio morboso e mutua aggressione tra le due figure culmina in un
cannibalismo erotico che, in questo caso, trasforma gli abbracci affettuosi in
atti di crudele cannibalismo. Un’altra volta la filosofia di Freud offre dei
preziosi spunti per comprendere al meglio il rapporto tra la pulsione di
crudeltà e sessualità quando vengono a creare un’unione tra sadismo e
masochismo, ovvero l’inclinazione a infliggere sofferenza all’oggetto sessuale
o a riceverne da esso. Sempre vicino alla coppia possiamo trovare altri due
simboli cari a Dalì; il primo sono le formiche come simbolo di morte e
decadenza, l’altro è il pane che è probabilmente riferito alla paura della fame
e della povertà; entrambi questi oggetti sono ricollegabili alla paura della
guerra e della distruzione che essa causa. Sempre inerente a questo tema
possiamo dire che, con ogni probabilità, la casa bianca sulla destra,
circondata da un lago di sangue, rappresenta la situazione della Spagna durante
la guerra civile che è piena di carneficine, morti e sangue; l’atmosfera tesa è
resa tale anche grazie ai pezzi di carne, uno dei quali è brutalmente
inchiodato al legno dei cassetti. Senza alcun dubbio la mela sulla testa della
figura maschile rievoca la figura del figlio di
Guglielmo Tell nel quale Dalì si è identificato più volte; le seguenti sono
parole dell’artista stesso: “Mio padre, sempre furente verso di me, cercava di
renderci la vita impossibile laggiù, giudicando la mia vicinanza una sventura,
così mi posi sul capo la mela del figlio di Guglielmo Tell, simbolo
dell’appassionata ambivalenza cannibalistica che presto o tardi conclude la
paterna vendetta.” Non c’è molto da aggiungere a queste parole che descrivono
al meglio il rapporto conflittuale ed edipico tra Dalì e suo padre. Concludo dicendo che in
questo, come in ogni quadro di Dalì ci sono simboli e particolari ambigui e di
difficile percezione che non necessariamente portano ad una interpretazione
univoca e “corretta” dell’opera.
Andrea Tintori, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Donna con testa di rose (1935)
Il dipinto
si compone di un piano di giacitura innaturalmente piatto con linee di
pavimentazione il cui punto di fuga corrisponde con il volto di un uomo in
lontananza, rappresentazione dell’artista stesso. Su questa superficie si dispongono
una serie di figure. Una donna in primo piano, dall’accentuata snellezza, è
vista di spalle nell’atto di leggere un foglio di carta, segue una strana sedia
e quindi la donna con la testa di rose che dà il titolo al quadro, figura
ambigua e leggermente inquietante, ha un vestito che lascia scoperta una gamba,
che ci appare come parte di un manichino inanimato. Alla vita e ad un braccio
le si intrecciano delle implausibili cinture a forma di mani maschili che
ricordano quelle che apparivano nei primi dipinti surrealisti dell’artista.
Secondo alcuni storici dell'arte, i fiori in questo dipinto rappresentano il
disgusto per i ricchi che era comune nel gruppo surrealista. Segue un
tavolinetto che, come la sedia, ricorda le architetture di Gaudì; sul tavolo è
appoggiato un uovo, simbolo molto utilizzato dal pittore per rappresentare
l’utero femminile e, più in generale, la fertilità. In lontananza si può
vedere, oltre all’uomo già citato, una roccia a forma di testa di leone, sulla
quale si innalzano degli alberi. Il tavolo e la sedia con solo tre gambi sono
oggetti di puro arredo, senza alcun fine pratico; questo, assieme ai fiori
che l’artista avrebbe utilizzato per esprimere il proprio disprezzo per i
ricchi, hanno fatto sì che l’opera sia stata tradizionalmente interpretata come
una denuncia all’ostentazione della classe nobiliare.
Si possono però individuare anche diversi simboli che rivelano un
significato nascosto, collegato alla vita del pittore. Innanzitutto è emblematico il fatto
che l’artista si rappresenti come un uomo solo e senza punti di riferimento,
che si scorge in lontananza. I genitori infatti gli avevano fatto credere, fin
dalla più tenera età, di essere la reincarnazione del fratello, morto nove mesi
prima della sua nascita e del quale portava il nome. Questa stravagante idea ha
inevitabilmente complicato in Dalì la costituzione di una identità personale,
il pittore si sentiva dunque disorientato e solo come la figura in lontananza.
La donna con la testa di rose rappresenta invece la sessualità come si può
capire sia dalle rose, simbolo comunemente utilizzato per rappresentare
l’organo sessuale femminile, che dalle mani maschili che avvinghiano la figura.
In questa opera, come in “Ritratto di Gala con due braciole di anello” e in
altre opere dell’artista, la donna è concepita come mero oggetto, come dimostra
sia l’assenza di un volto, che la sostituzione della gamba sinistra con un
manichino. Interessante è il confronto con l’altra figura in primo piano che,
voltata di spalle, raccolta su sé stessa e con la mano davanti al volto sembra
quasi vergognarsi, rappresentando così l’innocenza femminile, tuttavia la
brillante cintura rossa che la avvolge rimanda nuovamente alla sessualità. Alla
sfera sessuale allude anche l’uovo sulla panca, che, come già detto, Dalì
utilizza per rappresentare la fertilità e l’utero femminile. La roccia e il
bosco sopra di essa sono invece il simbolo di un ostacolo, al quale rimanda
anche la figura accasciata ai piedi della roccia che, evidentemente, non lo ha
superato. L’artista, centro visivo del dipinto, è quindi ostacolato nel
raggiungimento della sessualità e per comprendere quali possono essere le cause
di questa difficoltà è necessario riferirsi alla biografia del pittore.
Innanzitutto la sua vita fu segnata dalla precoce morte della madre che ha
probabilmente impedito il completo superamento del complesso edipico, come
dimostra anche la forte conflittualità con il padre che lo accompagnerà per
tutta la vita. La mancanza di una completa maturazione può essere quindi la
causa del mancato raggiungimento di una vita sessuale serena. Dobbiamo anche
considerare la rigida educazione etica e religiosa che fu impartita all’artista
dal padre che potrebbe aver creato un forte senso della coscienza morale, il Super
Io, che avrebbe limitato gli istinti dell’Es, la parte pulsionale della psiche,
lasciandogli libero sfogo solo nelle opere d’arte, che sono spesso incentrate
sulla tematica sessuale. In tal senso è emblematica la forma a testa di leone
della roccia, a questo felino era associato infatti, nella simbologia
medievale, il peccato della lussuria. Il dipinto assume così le caratteristiche
di un ritratto della sfera inconscia dell’artista, tormentata dalle difficoltà
nella costituzione di una ben definita identità personale e dall’impossibilità
di vivere una vita sessuale serena.
Niccolò Francesconi, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
La tentazione di Sant'Antonio (1946)
“La tentazione
di sant’Antonio” è un quadro dipinto da Salvador Dalì nel 1946. Il quadro può
essere diviso in due sezioni; a sinistra troviamo un uomo, sant’ Antonio, che
nudo solleva un crocifisso, a destra un cavallo imbizzarrito e quattro elefanti
che trasportano elementi dalla connotazione erotica sul loro dorso. Il titolo
del quadro e l’immagine rappresentata risultano alquanto eloquenti: si tratta
di un uomo che combatte contro le sue passioni e i suoi desideri. Il cavallo imbizzarrito
rappresenta l’ira e l’aggressività, gli elefanti portano con loro degli
elementi che richiamano la sessualità, sono infatti presenti sia donne nude che
strutture verticali, come un obelisco e una torre, ovvero simboli fallici. Sono
rappresentate sia le pulsioni che Freud aveva indicato con thanatos, ossia
quelle aggressive e distruttive, sia le pulsioni che coinvolgono l’eros, genericamente
sessuali. Dalì ha rappresentato quindi una chiara sintesi di ciò che Freud aveva
identificato con l’Es, l’insieme delle pulsioni e dei desideri che “tentano”
l’uomo. Ma essendo l’Es, proprio della psiche di ogni uomo, nessuno può
liberarsene totalmente, però deve essere controllato. Infatti il fatto che
sant’Antonio sia nudo dimostra come anche dentro di lui si trovi una parte che
tende verso la soddisfazione del piacere. Dalla biografia di Dalì si evince
subito come il suo rapporto con il concetto di piacere sia sempre stato difficile,
infatti sin dalla tenera età gli fu impartita una rigida disciplina che lo portò
a credere che il raggiungimento del piacere lo avrebbe portato alla morte. Di
conseguenza il suo rapporto con la moglie Gala fu raramente sessuale, e lei
ebbe molti amanti. Per fuggire dalle tentazioni sant’Antonio si affida alla
religione, simbolicamente solleva un crocifisso contro gli animali. La
religione per Freud consisteva nella realizzazione di uno dei desideri più
reconditi dell’uomo, la necessità di sentirsi protetti contro i pericoli della
vita. Ma rappresentava anche la proiezione del legame padre-figlio nel legame
uomo-dio. Il crocifisso rappresentato nel quadro è fatto di rametti tenuti
insieme da una corda, sant’Antonio è minuscolo rispetto al cavallo e agli elefanti,
ed è solo contro di loro. Sapendo che il legame tra Dalì e suo padre è stato
molto turbolento si può intuire come, nonostante le incomprensioni, Dalì
ricerchi l’approvazione e l’aiuto del padre, e come si senta solo e abbandonato.
Il cavallo bianco infatti potrebbe non solo rappresentare il concetto di
violenza inteso come pulsione generica, ma potrebbe essere il simbolo dell’evento
più violento che ha colpito l’intera umanità in quegli anni, la Seconda
guerra mondiale. Proprio con lo scoppio della guerra Dalì si riavvicina alla religione
cattolica, e rimane enormemente turbato dalla distruzione di Hiroshima e
Nagasaki. Per questo Dalì cerca nel quadro di assopire ciò che per Freud sarebbe
l’Es, attraverso delle norme o delle regole, che ricerca nella religione
e nella figura paterna, che andrebbero a rappresentare il Super-io.
Maria Franchi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
In questo quadro l’autore vuole rappresentare l’amore nel suo aspetto
più cupo e violento. La situazione descritta è surreale, l’unicorno occupa gran
parte del dipinto e rappresenta la ricerca spirituale e la conoscenza; è questo
personaggio che mette in movimento il dipinto compiendo l’azione di trafiggere
un cuore formatosi nel buco del muro, a significare la fragilità dell’amore e
la sua facile rottura ma allo stesso tempo la sua resistenza materializzata nel muro. Da questo
cuore esce del sangue come a volerlo personificare e renderlo umano. Nella
parte bassa del quadro troviamo una donna stesa a terra, come morente, a
rappresentare la sofferenza. In sostanza proprio come ci suggerisce il titolo
questo dipinto vuole la nauta più cruda dell’amore, la sua capacità di portare
sofferenza nell’animo umano. Si può però percepire un barlume di speranza dato
dai sottili raggi solare rappresentati, che infondono luce alla scena. Un altro
aspetto che si può trarre è inoltre quello della conoscenza, spiritualità e
purezza (unicorno) che prende il sopravvento nell’uomo eliminando o consolando la perduta passione
amorosa.
Teseo Paolinelli, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Mercato di schiavi con busto di Voltaire (1940)
Il dipinto è una nota illusione ottica a causa della quale si può
vedere o una coppia di donne vestite da suore in piedi al centro del dipinto, o
la testa di Voltaire. Gli osservatori raramente possono vedere entrambi in una
sola volta e la scena sembra cambiare solo quando il cervello cerca di
interpretare quello che si sta guardando. Dalì ha dipinto, a mio parere, questo
quadro con l'unico e principale intento di confondere lo spettatore; è infatti
risaputo come lui abbia notevolmente amato la tecnica dell'illusione ottica, la
quale è stata riprodotta in molteplici sua opere. Il resto della scena pare
essere di secondaria importanza e anch'esso volutamente riprodotto in modo
confuso, per accentuare il gioco ottico. L'unica parte che risulta essere più
“precisa” e con figure maggiormente delineate e riconoscibili, è quella in
primo piano (più vicina allo spettatore) ed è proprio in quella parte di
dipinto che mi è parso di vedere alcune figure riconducibili alla vita del
pittore. La prima, meno importante, riguarda l'antico bicchiere/recipiente
spezzato nel punto dove esso si dirama in larghezza, in questo modo è possibile
vedere soltanto il collo, simbolo fallico. Simbolo che ritengo, però, essere
abbastanza fine a se stesso, nel senso che non lo attribuirei ad un ricordo di
suo padre o di un'altra persona in particolare, è un simbolo inconscio inserito
nel quadro. Analisi diversa per la figura immediatamente a sinistra
dell'oggetto precedentemente trattato; la donna. Questa donna è a noi mostrata
seminuda, con il ventre in bella vista, cosa che potrebbe ricondurre al mondo
femminile del pittore. La donna non suscita però attrazione erotica, sembra
essere stanca o triste e guarda quella scena svogliatamente come se fosse
obbligata a farlo anche se non le interessa, questo suo atteggiamento e il
fatto che sia girata, trasmette un senso di lontananza e pure una lieve
tristezza. Tutto questo può essere ricondotto alla madre di Dalì, che come
sappiamo è morta quando l'artista aveva sedici anni procurandogli un dolore incredibile,
questo elemento femminile non si ha infatti la possibilità di vederlo ed è
vicino allo spettatore, ma allo stesso tempo lontano, poiché essendo un quadro non colmerà mai lo stato
della realtà fisica, procurando una sensazione di tristezza in quanto, come un
defunto, non potrà mai più essere li con lui.
Federico Farnesi, V C, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
Questa è una delle illustrazioni realizzate da Salvador Dalí per
un’edizione speciale di Romeo e Giulietta della Rizzoli. Nella scena è
rappresentata figurativamente la lotta tra i Montecchi e i Capuleti in primo
piano come omini stecchiti che lottano tra di loro ostacolando il matrimonio
tra Romeo e Giulietta rappresentato dalla chiesa in secondo piano.
Potrebbe rappresentare la lotta fra Eros e Thanatos con la lotta tra
gli omini stecchiti e la proibizione delle pulsioni rappresentata dalla chiesa
rannicchiata e circondata da mura e fortificazioni in secondo piano.
Liu Zhengxin, V SA, Liceo “A. Vallisneri” di Lucca, 10 – 4 - 2020
che trip
RispondiEliminaGrazie mille! Utilissimo e ben strutturato.
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