Platone, SIMPOSIO
Mito della nascita di Eros
Nel Simposio di Platone (428-347 a. C.), dopo aver banchettato e aver allontanato le donne, Socrate e i suoi allievi discutono sulla natura e sulla funzione dell’amore. Ma ad una donna, la sacerdotessa Diotìma, di cui Socrate riferisce le parole, viene attribuita la teoria della nascita d’Amore. Eros è figlio di Pòros e Penìa. Non è mai povero, ma neanche è mai ricco, ed è una via di mezzo tra la sapienza e l’ignoranza.
È una lunga storia - mi disse -. Adesso te la racconto. Il
giorno in cui nacque Afrodite, gli dèi si radunarono per una festa in suo
onore. Tra loro c'era Poros, il figlio di Metis. Dopo il banchetto, Penìa era
venuta a mendicare, com'è naturale in un giorno di allegra abbondanza, e stava
vicino alla porta. Poros aveva bevuto molto nettare (il vino, infatti, non
esisteva ancora) e, un po' ubriaco, se ne andò nel giardino di Zeus e si
addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe l'idea di avere un figlio da Poros:
così si sdraiò al suo fianco e restò incinta di Eros. Ecco perché Eros è
compagno di Afrodite e suo servitore: concepito durante la festa per la nascita
della dea, Eros è per natura amante della bellezza - e Afrodite è bella.
Proprio perché figlio di Poros e di Penìa, Eros si trova nella condizione che
dicevo: innanzitutto è sempre povero e non è affatto delicato e bello come si
dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi nudi, è senza casa, dorme
sempre sulla nuda terra, sotto le stelle, per strada davanti alle porte, perché
ha la natura della madre e il bisogno l'accompagna sempre. D'altra parte, come
suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è
un cacciatore di primo ordine, sempre pronto a tramare inganni; desidera il
sapere e sa trovare le strade per arrivare dove vuole, e così cerca la sapienza
per tutto il tempo della sua vita, è un meraviglioso indovino e ne sa di magie
e di sofismi. E poi, per natura, non è né immortale né mortale. Nella stessa
giornata sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi ritorna alla vita grazie
alle mille risorse che deve a suo padre, ma presto tutte le risorse fuggono
via: e così non è mai povero e non è mai ricco.
Mito degli Androgini (Platone Simposio 189d-191d)
Innanzi
tutto, i generi degli uomini erano tre, e non due come ora, ossia maschio e femmina,
ma c’era anche un terzo che accomunava i due precedenti, di cui ora è rimasto
il nome, mentre esso è scomparso. L’androgino era, allora, una
unità per figura e per nome, costituito dalla natura maschile e da quella
femminile accomunate insieme, e nella forma e nel nome, mentre ora non ne resta
che il nome, usato in senso spregiativo. Inoltre, la figura di ciascun
uomo era tutt’intera rotonda, con il dorso e i fianchi a forma di
cerchio, aveva quattro mani e tante gambe quante mani, e due volti su un collo
arrotondato del tutto uguali. E aveva un’unica testa per ambedue i visi rivolti
in senso opposto, e quattro orecchi e due organi genitali. E tutte le altre
parti ciascuno se le può immaginare da queste cose che ho detto.
Camminava
anche diritto, come ora, in quella direzione che volesse. E quando si metteva a
correre velocemente, come i saltimbanchi che volteggiano in cerchio a gambe
levate, appoggiandosi sulle membra che allora erano otto, si spostava
rapidamente ruotando in cerchio.
Perciò
i generi erano tre e di queste nature, in quanto il maschio aveva tratto la sua
origine dal sole, la femmina dalla terra e il terzo sesso che partecipa della
natura maschile e di quella femminile, dalla luna, la quale partecipa della
natura del sole e della terra. E le loro figure erano rotonde e così il loro
modo di procedere, perché assomigliavano ai loro genitori. Erano terribili
per forza e per vigore e avevano grande superbia, tanto che cercarono di
attaccare gli dèi. E quello che Omero narra di Efialte e di Oto, si dice anche
di loro, ossia che tentarono di scalare il cielo per assalire gli dèi.
Zeus e
gli altri dèi, allora, tennero consiglio per decidere sul da fare e rimasero
nel dubbio: infatti, non potevano ucciderli, e, fulminandoli come fecero con i
Giganti, annientarne la razza, perché sarebbero scomparsi anche gli onori e i
sacrifici che provenivano loro dagli uomini; e d’altra parte non potevano
permettere quelle insolenze. Dopo aver a lungo meditato, Zeus disse: ‘Mi pare
di aver a disposizione un mezzo che permetterebbe che gli uomini possano
continuare ad esistere, e, divenuti più deboli, cessino di essere così
sfrenati. Infatti ora – continuò – io li taglierò ciascuno in due,
cosicché da un canto, essi saranno più deboli, e, d’altro canto, saranno più
utili a noi, perché diventeranno maggiori di numero. E cammineranno diritti su
due gambe. Ma se riterranno ancora di comportarsi in modo insolente e non
vorranno starsene tranquilli, ancora una volta – disse – io li taglierò in due,
in modo che saranno costretti a camminare saltando su una gamba sola’. Dopo
aver detto questo, tagliò gli uomini in due, come quelli che tagliano le sorbe
per farle essiccare, o come quelli che tagliano le uova con un crine. E
per ciascuno di quelli che tagliava, dava incarico ad Apollo di rivoltare la
faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo che l’uomo,
vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto, e gli dava anche ordine di
risanare tutte le altre parti. E Apollo rivoltava la faccia, e, tirando da ogni
parte la pelle su quello che oggi vien chiamato ventre, come si fa con le borse
che si contraggono, la legava nel mezzo del ventre, facendo una specie di
bocca, il che ora si chiama ombelico. E spianava le molte altre pieghe e
modellava i petti, servendosi di uno strumento come quello che i calzolai usano
per spianare sulle forme delle scarpe le pieghe del cuoio. Ma ne lasciò
qualcuna intorno al ventre medesimo e intorno all’ombelico, in modo che
restasse un ricordo dell’antico castigo.
Allora, dopo che l’originaria natura umana fu divisa in due, ciascuna metà, desiderando fortemente l’altra metà che era sua, tendeva a raggiungerla. E gettandosi attorno le braccia e stringendosi forte l’una all’altra, desiderando fortemente di fondersi insieme, morivano di fame e di inattività, perché ciascuna delle parti non voleva fare nulla separata dall’altra. E quando una metà moriva e l’altra rimaneva in vita, quella rimasta cercava un’altra metà e si intrecciava con questa, sia che si imbattesse nella metà di una donna per intero, quella che ora chiamiamo senz’altro donna, sia che si imbattesse nella metà di un uomo. E in questo modo morivano. Allora Zeus, preso da compassione, ricorse ad un altro espediente. Trasportò gli organi del sesso sul davanti, perché fino ad allora gli uomini avevano anche questi nella parte esterna e concepivano e generavano non già fra di loro, ma in terra come fanno le cicale. Dunque, trasportò in tale modo questi organi sul davanti e fece sì che la generazione avesse luogo mediante l’uso reciproco di questi organi, per opera del maschio e della femmina. E lo fece per questo scopo, ossia affinché, se nell’amplesso si trovassero insieme un uomo e una donna, procreassero e riproducessero la stirpe. Se invece si incontrassero maschio con maschio venisse loro sazietà di quell’unione, e così cessassero e si rivolgessero al loro lavoro e si occupassero delle altre faccende della vita.
Dunque,
da così tanto tempo è connaturato negli uomini il reciproco amore degli uni per
gli altri che ci riporta all’antica natura e cerca di fare di due
uno e di risanare l’umana natura.
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