martedì 20 ottobre 2015

Dialogo tra Socrate e Critone


Socrate e Critone, tratto dal Critone, dialogo scritto da Platone.

Socrate è in attesa della esecuzione della condanna a morte. Nella sua cella riceve la visita di Critone, suo caro amico, che lo esorta ad accettare l'aiuto che stanno offrendogli i suoi discepoli che vorrebbero salvargli la vita. Socrate, adottando prima il metodo maieutico e poi incalzando l'amico con un ragionamento di inoppugnabile logicità, rifiuta l'aiuto offertogli, ponendosi come primo obiettivo quello di aderire e seguire le leggi della città.
Parallelo all'estratto dal dialogo platonico si segnala l'url di un video di youtube in cui è possibile vedere la scena tratta da un film del 1939, di Corrado D'Errico, dal titolo "Processo e morte di Socrate", che ripropone in modo fedele le parole e la situazione descritte nel testo di Platone.
La forte enfasi dedicata al finale richiamo all'amore patrio come bene supremo, non può non essere associata allo spirito dell'epoca e al contenuto propagandistico insito in diversi film realizzati nell'ambito del fascismo. Socrate è interpretato dal grande attore dell'epoca Ermete Zacconi.





SOCRATE. O caro Critone, il tuo zelo (sarebbe) molto apprezzabile se fosse con un po' di correttezza; e se no, quanto più grande, tanto più riprovevole. Bisogna dunque che noi vediamo se queste cose (sono) da fare o se no; perché io non ora per la prima volta ma anche sempre (sono) tale che a nessun altro dei miei ragionamenti dò retta che al ragionamento che a me, ragionandoci, sembri il migliore. Certamente i discorsi che facevo in passato non posso ora buttarli via perché mi è capitata questa sorte, ma mi sembrano più o meno uguali, e rispetto e stimo gli stessi che anche prima; e se in questo momento non ne abbiamo di migliori di questi da fare, sappi bene che certamente non ti darò retta, neppure se il potere dei più ci spaventasse, come bambini, con spauracchi più numerosi di quelli ora presenti, mandandoci contro incarcerazioni e condanne a morte e confische di denaro. Come dunque potremmo esaminare nel modo più assennato queste questioni? Se innanzitutto riprendiamo questo discorso che tu fai riguardo alle opinioni. Si diceva forse bene ogni volta o no, (dicendo) che ad alcune delle opinioni bisogna prestare attenzione, e ad altre no? Oppure prima che io mi trovassi a dover morire si diceva bene, e invece adesso è risultato dunque chiaro che si diceva in un altro senso, per chiacchiera, ed era in verità uno scherzo e una sciocchezza? Ma io desidero indagare insieme con te, o Critone, se il discorso mi apparirà un po' cambiato, poiché mi trovo in questa situazione, oppure lo stesso, e se lo butteremo via oppure gli daremo ascolto. E si diceva più o meno sempre così, come io credo, da parte di coloro che ritengono di dire qualcosa di sensato, come dicevo io proprio adesso, (cioè) che delle opinioni in cui gli uomini credono alcune bisogna tenerle in grande considerazione, altre invece no. Questo per gli dei, o Critone, non ti sembra che sia ben detto? - Tu infatti, almeno stando all'umana verisimiglianza, sei fuori dal dover morire domani, e non potrebbe condizionarti la presente contingenza; considera allora - non ti sembra che si dica opportunamente dicendo che non bisogna apprezzare tutte le opinioni degli uomini, ma alcune (sì), e altre invece no, né (quelle) di tutti, ma di alcuni (sì), e di altri invece no? Che dici? Queste cose non sono ben dette? Tu infatti, stando alle situazioni umane, sei al di fuori dall'essere sul punto di morire domani, e non potrebbe portarti fuori strada la presente circostanza; considera allora - non ti sembra che si dica opportunamente (dicendo) che non tutte le opinioni degli uomini bisogna apprezzarle, ma alcune (sì) e altre no, né di tutti, ma di alcuni (sì), e di altri no? Cosa dici? Queste cose non sono ben dette?
CRITONE Sì, bene.
SO. Dunque bisogna apprezzare quelle buone, e quelle cattive no?
CR. Sì.
SO. E buone non (sono) quelle dei saggi, e cattive quelle degli sciocchi?
CR. E come no?
SO. Ma dimmi, come allora si dicevano le cose di questo genere? Un uomo che si dedica alla ginnastica e che pratica questa attività presta attenzione all'elogio e al biasimo e all'opinione di qualsiasi uomo o di quell'unico solo che si trovi ad essere medico o allenatore?
CR. Di quell'unico solo.
SO. Dunque bisogna temere i rimproveri e gradire gli elogi di quell'unico e non quelli dei più.
CR. Evidentemente.
SO. Dunque egli deve agire e allenarsi e mangiare e bere in quel modo in cui sembri opportuno a quell'unico, all'esperto e intenditore, piuttosto che nel modo in cui (sembri opportuno) a tutti quanti gli altri.
CR. È così…

SOCRATE: E se le Leggi dicessero: «Ma erano questi i nostri patti, Socrate, o non piuttosto che tu avresti rispettato le sentenze che la tua patria avrebbe emesse

E se noi, a queste parole, mostrassimo di meravigliarci, forse, esse potrebbero dirci: «Non stupirti di questo che abbiamo detto, Socrate, ma rispondici, perché, proprio tu, conosci bene il sistema di far domande e di replicare. E allora, che cosa rimproveri a noi e allo Stato, tu che tenti di distruggerci? Che forse non devi a noi, prima di tutto, la tua nascita? Non fummo noi a regolare l'unione di tuo padre e tua madre che poi ti generarono? Rispondi, hai qualcosa da ridire contro quelle leggi che regolano i matrimoni? Non ti vanno forse bene

Io dovrei rispondere che non ho proprio nulla da rimproverare.

«E contro quelle che presiedono alla cura dell'infanzia e alla sua educazione, quella che tu stesso hai ricevuto? Erano, forse, cattive quelle leggi istituite per questo e che obbligavano tuo padre a educarti nella musica e nella ginnastica

«Ottime,» io dovrei dire.

«Bene. E dal momento che sei venuto al mondo, che sei stato allevato ed educato, come puoi dire di non essere, prima di tutto, creatura nostra, in tutto obbligato a noi, tu e i tuoi antenati? E, se questo è vero, pensi proprio di avere i nostri stessi diritti, tu, di poter legittimamente fare a noi ciò che noi decidiamo nei tuoi riguardi? Verso tuo padre o verso il tuo padrone - se per caso ne hai avuto uno - non avevi i loro stessi diritti; tu non potevi comportarti con loro come loro si comportavano con te, ai rimproveri non potevi rispondere, alle percosse non potevi, a tua volta, percuotere, nulla di tutto questo. Però, verso la patria e verso le sue leggi, secondo te, tutto questo, sì, ti sarebbe concesso; così che se noi crediamo giusto che tu muoia, anche tu, dal canto tuo, puoi mandarci in rovina, noi, le tue leggi e la tua patria e, così facendo, dire che è giusto, tu proprio, che sei al servizio della virtù?

«Ma sei così sapiente da non sapere che la patria è tanto più nobile, più veneranda e più santa della madre e del padre e di tutti i nostri avi e che da dio e dagli uomini di sano intelletto è tenuta nella più alta considerazione, che bisogna rispettarla, venerarla, blandirla quando è in collera, più che il padre, convincerla dei suoi torti o fare ciò che essa comanda, sopportare in silenzio ciò che essa ci ordina di sopportare, percosse, carcere e se ci manda in guerra per essere feriti o uccisi, accettare anche questo, perché così è giusto, senza sottrarci, né cedere, né abbandonare il nostro posto ma, sia in battaglia che in tribunale, come in ogni altro luogo, fare quello che la patria comanda o, tutt'al più, persuaderla da che parte è la giustizia, ma non farle violenza: non è lecito farla alla madre o al padre e tanto meno alla patria

A tutto questo, Critone, cosa risponderemmo? Che le Leggi hanno ragione o no?

CRITONE: Anche a me sembra di sì.

SOCRATE: E le Leggi, probabilmente, continuerebbero: «Vedi, Socrate, che non è giusto, da parte tua, se è vero ciò che diciamo, quel che tu stai facendo nei nostri riguardi. Perché noi che ti abbiamo messo al mondo, che ti abbiamo allevato ed educato, che ti abbiamo fatto partecipe, con tutti gli altri cittadini, di tutti i beni che potevamo procacciarti, noi dichiariamo che chiunque degli ateniesi lo voglia, può trasferirsi dove più gli aggrada, con tutti i suoi beni se, una volta raggiunti i diritti civili e conosciuti gli ordinamenti dello Stato e noi stesse, le Leggi, non ci trovi di suo gradimento. Nessuna di noi vi impedisce di trasferirvi, magari, in una colonia, se non vi andiamo a genio, o in qualche altro luogo che vi piaccia, portandovi appresso le vostre sostanze; ma chi di voi rimane, riconoscendo il nostro modo di amministrare la giustizia e gli affari dello Stato, si impegna all'obbedienza di ciò che noi comandiamo, altrimenti dichiariamo che commette tre volte ingiustizia, prima perché non obbedisce a noi che gli abbiamo dato la vita, poi perché lo abbiamo allevato e infine perché, dopo essersi impegnato all'obbedienza, né ci persuade dei nostri torti eventuali, né ci obbedisce e mentre noi comandiamo con mitezza e lasciamo a lui la scelta tra le due soluzioni, o di persuaderci, cioè, o di obbedirci, egli non fa né l'una né l'altra cosa.»

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